venerdì 27 settembre 2019

Fra' Domenico Spatola: Il ricco insensato e Lazzaro

Ai farisei Gesù parlò di un ricco
che del lusso raggiunto avea il picco:
vestiva porpora e in lauti banchetti
s'ingozzava sopra sontuosi letti.
Lazzaro, che di piaghe avea una sporta,
mendicava ignorato alla sua porta.
Bramava di pane anche le miche,
mangiato infatti avrebbe le formiche.
Ma erano i cani a leccar sue piaghe
ove di fatto tenevano lor saghe.
Morì il povero e, con Abramo,
felice condivise stesso ramo.
Morì il ricco e fu sepolto
e dal fuoco degl'inferi fu avvolto.
Alzando gli occhi dal luogo dei tormenti,
vide Abramo e Lazzaro contenti.
Suo grido allor risuonò forte,
perché cambiasse per lui l'atroce sorte:
"Padre Abramo, guarda me affranto
e manda Lazzaro che ti è accanto,
a dissetarmi d'acqua con suo dito
e rinfrescarmi dal fuoco inferocito".
Abramo non si scompose,
e dall'alto gli rispose:
"Figlio, in vita ricevesti i beni,
mentre di Lazzaro furon pieni
di dolori i giorni.
Ora di gioia vede i suoi dintorni
perché felicemente  sollevato
dai tormenti da cui tu sei angustiato.
E poi tra noi e voi c'è l'abisso,
qual muro invalicabile già fisso.
"Allora, Padre," replicò il beone
"mandalo per un'ammonizione
ai cinque miei fratelli
e di destino stesso non sarem gemelli".
Abramo disse: "Han Mosè che con sua Legge
li guida e li corregge".
"No! -rispose- ma se un morto,
da risorto
a loro parlerà,
ognuno certo si convertirà".
"Se non ascoltano Mosè e i profeti
- aggiunse Abramo agli altri suoi divieti -
non cambieran condotta
né muteranno rotta,
neppur se alcuno risorgesse
in sue sembianze stesse
dal regno della morte
ad annunciar tua sorte".

Fra' Domenico Spatola

Commento di Fra' Domenico Spatola al Vangelo della XXVI Domenica del Tempo ordinario (anno C): Luca 16, 19-31

Parabola del ricco e del povero
19C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. 20Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, 21bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. 24Allora gridando disse: «Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma». 25Ma Abramo rispose: «Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. 26Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi». 27E quello replicò: «Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento». 29Ma Abramo rispose: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro». 30E lui replicò: «No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno». 31Abramo rispose: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti».

Destinatari della parabola sono i Farisei, attaccati al denaro. Un ricco (senza nome) vive il lusso e non si accorge di Lazzaro che, alla sua porta, mendìca anche le eventuali briciole che cadono dalla lauta mensa. Per la cultura religiosa dei Farisei, non solo la povertà era punizione divina,  ma anche le piaghe rendevano "impuro" Lazzaro, impedendogli l'incontro con Dio. I cani erano i soli compassionevoli che gli leccavano le piaghe e, da animali "impuri", aggravavano la sua situazione. Morì e gli angeli lo portarono nel "seno di Abramo". La sua nuova condizione viene interpretata sul coevo  "Libro di Enoc", che immaginava l'oltre tomba come una caverna a due stadi: l'inferiore destinato ai peccatori immersi nella caligine e tra fiamme perenni; il superiore abitato da Abramo e dai giusti. Scandaloso era per i farisei dovere accettare che colui che era "impuro" potesse stare con Abramo, mentre il ricco  "sepolto" nella morte. Il prosieguo del racconto spiega il giudizio e la punizione. Il ricco alzò gli occhi e con Abramo vide Lazzaro. Nel bisogno s'accorse di lui sperando anche "la goccia d'acqua dal suo dito".
 "La morte - è la risposta - ha ribaltato le situazioni e il muro, che il ricco, in vita, aveva eretto da non accorgersi del povero, ora, a suo sfavore, è abisso invalicabile". Morale:  "da ricco" avrebbe dovuto accorgersi del povero e da "signore" condividere di Dio la stessa generosità.
Abituato a pretendere, provò a imporsi affinché la stessa sorte venisse risparmiata ai cinque suoi fratelli: "Lazzaro li vada ad ammonire!"
"Hanno Mosè e le Scritture. Ascoltino loro!". Fu la risposta. Ma il ricco, ritenendo più efficace qualcosa di sconvolgente, voleva imporre l'apparizione del morto.
Il verdetto non ammise alibi: "Se  non ascoltano Mosè e le Scritture,  non crederanno neanche al morto che risorge".

Fra' Domenico Spatola 

venerdì 20 settembre 2019

Avviso corsi di Cresima e Prima Comunione

I corsi di Cresima inizieranno a decorrere dal 26 ottobre 2019 tutti i sabati alle ore 16.30.
Il corso per la Prima Comunione inizierà sabato 12 ottobre ore 16.30.
Le iscrizioni sono aperte il sabato pomeriggio e la domenica mattina e pomeriggio presso la parrocchia Maria SS. delle Grazie in S. Lorenzo ai Colli - Via delle Ferrovie n. 54 - Palermo.
Per informazioni chiamare:
Fra' Domenico Spatola: 3336390693
oppure le Catechiste:
Giovanna Calamia 3804590800
Eleonora Siggia 3396316257

Fra' Domenico Spatola: L'amministratore disonesto

Di Gesù il nuovo racconto
riguardò il rendiconto
dell'amministratore scaltro
accusato d'esser altro
che un servitore buono.
Dal padrone nessun condono: lo volea licenziare
ed ei pensò a cosa fare:
escogitò un abbuono
da apparir suo dono
ai debitori del padrone,
ché in nuova condizione
di infelice e licenziato,
gli avrebbero evitato
di  zappare
o la vergogna di dovere mendicare.
"Tu -diceva- quanto devi
così che ti sollevi?"
E quello: "d'olio cento barili".
Scrivi:
"Sol cinquanta"
E all'altro: "di grano scrivi ottanta".
Il Signore lodò il disonesto,
perché astuto e lesto,
ma con amarezza
disse che scaltrezza,
e a tutto tondo,
maggiore era nei figli di questo mondo.
Tenete bene in testa:
con la ricchezza disonesta
fatevi amici che in necessità
aprano a voi le porte dell'eternità.
Se sarai fedele in ciò che non vanti
lo sarai in quelle più importanti.

Fra' Domenico Spatola

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo dellaXXV domenica del Tempo ordinario (anno C): Luca 16, 1-13

Diceva anche ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. 2Lo chiamò e gli disse: «Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare». 3L'amministratore disse tra sé: «Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. 4So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua». 5Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: «Tu quanto devi al mio padrone?». 6Quello rispose: «Cento barili d'olio». Gli disse: «Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta». 7Poi disse a un altro: «Tu quanto devi?». Rispose: «Cento misure di grano». Gli disse: «Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta». 8Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. 9Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Non potete servire Dio e la ricchezza
10Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
13Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Avvertimento ai  seguaci. La parabola di Gesù è a pretesto. Un ricco si fida dell'amministratore ma deve ricredersi. Ha scoperto di essere da lui spudoratamente derubato. Non può consentirgli di continuare in quel ruolo e chiede il rendiconto della cattiva amministrazione. Ma il ladro è scaltro.
Prova a pianificare il futuro di cui ha orrore per "la sua inettitudine a zappare" o "la vergogna a mendicare". Con un guizzo di astuzia prova a ingraziarsi i debitori del padrone, affinché, a tempo debito, ricordino di restituirgli il pari. Al primo chiede: "Di olio, quanti barili devi al mio padrone?" "Cento" gli risponde. Un denaro era la paga giornaliera dell'operaio. Il debito, che corrispondeva al raccolto di 146 piante di ulivo, era di mille denari.
Gli ingiunge: "Scrivi cinquanta". 
Al secondo:
"Tu, quanto grano gli devi?"
"Cento staia", ossia 275 quintali del valore di 2.500 denari.
Scrivi: "Ottanta".
La parabola tace sulla sorpresa dei beneficati, mentre enfatizza la lode che dell'amministratore fa il Signore (Kyrios):
"Perché i figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce".
Quale scaltrezza?
Quella di chi utilizza la ricchezza "disonesta" per favorire i poveri. Per il Vangelo la ricchezza deve restare solo strumento e non assurgere a ruolo di idolo. Il corrispettivo termine aramaico "Mamon",  traduce convenienza e interesse, contrapposti a Dio, il "Signore", che non si può servire se si è schiavi dell'avidità e del denaro. Saggezza è dunque, per Gesù, la condivisione con i poveri i quali, a tempo debito, garantiranno l'ingresso nella vita eterna, a coloro che li avranno attenzionati.

Fra' Domenico Spatola

venerdì 13 settembre 2019

Fra' Domenico Spatola: Il Padre che fa festa.

Accoglieva Gesù i peccatori,
tra il mormorio di farisei e di dottori:
"Costui mangia e beve con coloro
che a mosaica Legge non dàn  decoro!"
"Chi perde - Gesù disse - una pecora dalle cento,
se la ritrova non sarà contento?
O quale donna, se perde una moneta,
finché non la ritrova resta cheta?"
Disse ancora: "Un uomo avea due figli
ai quali vanamente dava consigli.
Il più giovane gli disse:
dell'eredità dài le parti fisse
e, a tali istanze,
il padre divise ai figli le sostanze.
Non dopo molti giorni,
da quei dintorni
il figlio andò lontano
e lì suo patrimonio rese vano.
Quando in quel paese spese tutto,
di carestia ivi fu un grande lutto.
Cercò tra i lavori anche il più vile,
e finì col lavorare in un porcile.
Anche le carrubbe, a lui care,
dai porci stessi gli eran rese rare.
Disse allora a se stesso:
"Quanto son fesso!
A casa di mio padre, dai salariati
quanti i bicchier di vino tracannati,
mentr'io non ho neppur il salame
per tacitare la mia antica fame!
Mi alzerò ed andrò dal genitore,
e gli dirò: sono un impostore!
Chiudi per me il tuo severo ciglio,
degno infatti non son d'essere tuo figlio.
Trattami pure come un salariato
e non infierire contro il mio peccato!"
S'alzò verso la paterna casa
dove la gioia del padre era già  evasa.
Quando però lo vide il padre da lontano,
veloce corse a tendergli la mano.
Gli si gettò al collo e lo baciò:
fu il segno per tutti che lo perdonò.
Poi comandò ai servi il vestito bello
e di mettergli al dito anche l'anello.
Nessuno inoltre gli togliea da testa
che anche il vitello dovea fare festa,
perché il figlio ch'era morto,
ora è risorto!"
D'accordo non fu l'altro ch'era nei campi
e, al ritorno, furon tuoni e lampi
contro l'insano e ingiusto genitore
che accolto aveva il figlio senza pudore.
Ma il padre a lui disse: "Era perduto
quel tuo fratello che ora ho riavuto!"

Fra' Domenico Spatola

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della XXIV domenica del tempo ordinario ( anno C): Luca 15, 1-32

1 Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2 I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». 3 Allora egli disse loro questa parabola:
4 «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? 5 Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, 6 va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. 7 Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.
8 O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? 9 E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta. 10 Così, vi dico, c'è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
11 Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12 Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. 13 Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. 14 Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15 Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. 16 Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. 17 Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18 Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; 19 non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. 20 Partì e si incamminò verso suo padre.
Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21 Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. 22 Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. 23 Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24 perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.
25 Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26 chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. 27 Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. 28 Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. 29 Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. 30 Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. 31 Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32 ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

A chi lo accusava, scandalizzato perché  frequentava i peccatori, Gesù rispondeva con le tre "parabole della misericordia". Il Padre non è il giudice evocato dai suoi avversari, ma colui che mostra compassione. Così nella veste di "pastore che va in cerca della pecorella smarrita", o nella vicenda della "donna che ritrova la moneta perduta", e infine nella parabola (capolavoro solo di Luca) del Padre che accoglie il figlio "peccatore" tornato alla casa paterna. Motivo conduttore accomunante le tre parabole è "la gioia" di chi ritrova ciò che aveva smarrito, o ha riavuto il figlio risuscitato. Il dramma tuttavia è concentrato nel rifiuto opposto dal fratello maggiore, al ritorno dai campi. A lui provoca dolore quel ritorno insperato quanto esecrato.  Il padre gli esce incontro (non vuole infatti entrare in casa) per invitarlo a non interessarsi del passato ma a condividere la sua "gioia" perché ha riavuto il figlio ( "tuo fratello") risuscitato. Farisei e Scribi di ogni età hanno di che cambiare idea su Dio, non lusingato dai meriti, riconoscendolo "Padre", motivato da passione d'amore.

Fra' Domenico Spatola 

venerdì 6 settembre 2019

Fra' Domenico Spatola: Natività della Vergine Maria

Come indora,
l’aurora,
preludio luminoso, 
di nuovo giorno
e dell’intorno
caligine dirada,
così o Vergine su rada
di nostro mondo nascevi,
e, ancora ignara, accoglievi,
a rivelazione,
dello Spirito la missione
del Verbo in te incarnato
per essere ospitato
da te per noi, e divenisti Madre
facendo di Dio il nostro Padre.
I tuoi natali, misteriosi ai più,
eran regali perché di Gesù 
e a te, sua futura Madre,
assegnavano, a tua insaputa
felicità voluta
da Dio, che quintessenza
ha fatto a noi, di sua benevolenza.
Oggi ti contempliamo nella culla,
sul calvario sarà basculla
la Croce
e, alla voce
del tuo Figlio
d’esserci madre, apprezzerai consiglio.

Fra' Domenico Spatola
Nella foto: dipinto di Giotto

Fra' Domenico Spatola: Il seguace


Molta folla Gesù seguiva
ed ei in maniera ultimativa:
"Chiunque - disse - viene
e non mi vuol più bene
dei genitori
e di tutti gli altri amori,
come la moglie
e i figli delle doglie,
non può essere mio seguace.
Questi infatti audace
deve portar sua croce:
solo allora udrà mia voce.
Chi di voi vuol costruire
e sua torre vuol finire,
non siede a calcolare
per poterci arrivare?
Così che i fondamenti
non si prestino a commenti
di infelice derisione
per la facile illusione.
O qual re, andando in guerra,
non tenga bene i piedi a terra
e decida se al confronto
non valga la pena fare il conto
e vedere se non sia il caso
di avere ancor più naso
e, non sentendosi capace,
messaggeri della pace
manda a lui.
Così è di colui,
che, di rinuncia non capace
non potrà esser mio seguace".

Fra' Domenico Spatola
Dipinto di Tiziano Vecellio

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della XXIII domenica del Tempo Ordinario (anno C): Lc 14, 25-33

25 Siccome molta gente andava con lui, egli si voltò e disse: 26 «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. 27 Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo.
28 Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? 29 Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: 30 Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro. 31 Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? 32 Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda un'ambasceria per la pace. 33 Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.


Delirio della folla che segue colui che essa ritiene Messia davidico: combattivo e vittorioso, prossimo a regnare su Israele.
L'equivoco è sommo e Gesù la disillude. Si volta, perché ad altro è orientato lo sguardo dei seguaci, e detta le tre condizioni per la di lui sequela.
Bisogna scegliere lui, preferendolo agli stessi affetti più cari, se sono d'impedimento alla costruzione del Regno.
La seconda condizione riguarda gli effetti della sequela, sollevare la croce vuol dire coprirsi di insulti dalla gente che non condivide i valori evangelici e ritiene avversario chiunque li professi. 
La terza condizione va nella previgenza di chi affronta la costruzione di una torre o di chi muove guerra. Studiare prima i piani per non cadere nel ridicolo. Questo trova applicazione nella rinuncia agli averi, ostacolo alla libertà di chi ha sperimentato come Gesù che c'è più gioia nel dare che nel possedere.

Fra' Domenico Spatola
Dipinto di Tiziano Vecellio

giovedì 5 settembre 2019

Fra' Domenico Spatola: Palermo torna vincitore.

Non più nuvole né cirri
a Palermo c'è già Mirri
come nuovo presidente
e, se mi si consente,
egli è il vero salvatore
che il Palermo ha preso a cuore
e le ingiustizie ricevute,
con pudore fece mute
umiliando chi gufava
e colui che tifava
perché il Palermo non rinascesse
dalle ceneri sue stesse:
e già fu colpo d'ala
la vittoria sul Marsala.
Favolosi quei tre punti,
scaramantici per gli unti
nostri bravi giocatori,
e Lucera che tra i cori
di tifosi bucò altrui porta
per inizio della scorta
che il Palermo come mito
ai tifosi darà a rito
per l'intera sua stagione.
Or la folla con ragione
tutta impazza
per Dario Mirri e per Di Piazza
e per ogni giocatore
con Pergolizzi allenatore,
e ne vedremo delle belle
e con noi saran le stelle.

Fra' Domenico Spatola