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venerdì 13 novembre 2020

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della XXXIII domenica del tempo ordinario (anno A): Matteo 25, 14-30

 Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito 16colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: «Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque». 21«Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone». 22Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: «Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due». 23«Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone». 24Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: «Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo». 26Il padrone gli rispose: «Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. 28Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti».

Un tale ricchissimo, prima d'intraprendere un lungo viaggio, trasferisce ai "servi" ingenti somme. Le diversifica in base alle capacità di ciascuno. Al primo, consegna cinque talenti, pari a trentamila denari o a 150 kg in oro. Al secondo due, e al terzo uno. Anche di quest'ultimo la cifra appare esorbitante,  poichè equivale a venti anni lavorativi. Non li vorrà indietro, ritorna per la soddisfazione di verificarne l'andamento, gli preme infatti di più la crescita di ciascuno. Così si mostra felice dell'esito del primo, che, a premio, coopta nella sua amministrazione. Stesso comportamento adotta con il secondo, che, come il collega ha valorizzato il dono raddoppiandolo. Il dramma inizia col terzo "servo" che, con mentalità servile bloccata da paura, manifesta il suo pregiudizio verso il padrone, accusandolo di avidità e di prepotenza. Intatto gli restituisce il talento, incapace di comprendere che gli era stato donato  senz'obbligo di resa.
L'ha seppellito, come morto, per non correre rischi. "Pigro e inutile", non meriterà la gioia, intonata dal padrone ai compagni, che si erano fidati  "rischiando". Da codardo, non trovò alternative, né una banca ove farlo fruttare. Fu il rimprovero estremo del padrone. La parabola insegna l'idea corretta di Dio. Quando infatti non lo si pensa "padre" attento alla felicità dei figli, viene temuto come un tiranno che può raggelare le capacità creative, consentite solo dalle dinamiche d'amore.

Fra' Domenico Spatola

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