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venerdì 20 novembre 2020

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Festa di Cristo, Re dell'universo, XXXIV domenica dell'anno A: Matteo 25, 31-46

31
 Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. 32 E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, 33 e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. 34 Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. 35 Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, 36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. 37 Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? 39 E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? 40 Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me. 41 Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. 42 Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; 43 ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. 44 Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? 45 Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. 46 E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».

L'usanza dei pastori palestinesi, che a sera separavano negli ovili le pecore dalle capre, offre a Cristo l'idea per dettare il nuovo criterio per il "giudizio escatologico" della Storia. La trama era conosciuta in ambienti rabbinici (Talmud) e anticipava la modalità del giudizio del Dio di Israele sui pagani. Iahvè, infatti, assiso in trono, avrebbe posto la "Torah" (la Legge di Mosè) sulle ginocchia e, sulla base dei comandamenti ivi espressi,  avrebbe giudicato, condannandoli, gli inadempienti, ovvero tutti i nemici d'Israele.  
Gesù rifonda il criterio del discrimine, e, a base, pone la compassione per gli ultimi e gli infelici della Terra: "affamati, assetati, nudi, forestieri, ammalati e carcerati". Strategica la collocazione alla sua destra perché hanno condiviso con lui stessa responsabilità. Il Re dichiarerà infatti, come fatto a sé, tutto quello che essi hanno operato a beneficio dei "fratelli" bisognosi. Sorpresi, perché mai intrigati in fatti di religione, candidamente dichiareranno di non averlo mai conosciuto. Ma l'invito a entrare nell'eredità eterna per loro "benedetti dal Padre", sarà la loro piena gratificazione. Avverso il giudizio per coloro che si saranno dimostrati indifferenti alle altrui disgrazie. Verrà dichiarato fallace il loro "servizio" di Dio, perché mai tradotto in opere di compassione a favore dei fratelli. Amara perciò la conclusione inesorabile: il fallimento dell'intera esistenza: "Via, maledetti...!"

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