Quando mi dissero che la Ditta appaltatrice per sanare la mortale ferita di Palermo al ponte Corleone si chiamava "Icaro progetti", confesso che mi sono preoccupato. Forse, per superstizione già il nome Corleone, ora il nome Icaro, non mi fanno ben sperare. L'adagio latino recita: "nomen omen", ossia nel nome c'è tutto il programma. Ora dalle reminiscenze della mitologia greca si sa chi fosse Icaro, ma soprattutto la sua infausta morte in mare, dinanzi alle coste della Turchia. Riassumo brevemente per i pochi che non ricordano. Icaro era il figlio di Dedalo, che fu il più geniale architetto e ingegnere dell'antichità, di lui si ricorda, tra l'altro, anche la costruzione del Labirinto, per ospitarvi il Minotauro. Icaro era vanesio e come i suoi coetanei capriccioso. D'altra parte, a un padre come il suo poteva chiedere quanto gli passasse per la testa. Quella mattina gli manifestò il desiderio di volare. Il padre, che conosceva la temerarietà dell'incosciente figlio, suo malgrado, gli costruì un paio d'ali, ma le piume le poté attaccate con la cera. Il ragazzo baldanzoso le imbracciò e, senza dare ascolto a suo padre che gli consigliava prudenza e soprattutto di non avvicinarsi al Sole, cominciò a destreggiarsi nell'aria e fu tale l'ebbrezza della lievitazione da avvicinarsi spregiudicatamente al sole. Questi, geloso della sua privacy, non sopportò tanta arroganza e, con un sol raggio, gli trasmise tale calore da sciogliere la cera delle ali e farlo precipitare nel mare che porta il suo nome. Morale della favola: alla luce del racconto e della disperazione degli automobilisti incolonnati per ore per attraversare un tratto di ponte che non supera i venti metri, quel nome non è di buon auspicio circa i tempi del riparo, già preannunciato lungo ed estenuante. Chiediamo alla Ditta di smentire la favola, anche se i segnali non ci sembrano andare in questa direzione.
Fra' Domenico Spatola
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