Commento al
Vangelo
di Luca 21, 5-19
della XXXIII domenica del tempo
ordinario

Affascinati dalla straordinaria bellezza
del Tempio di Gerusalemme, la cui costruzione iniziata da Erode “il Grande”
nell’anno 20 avanti Cristo si concluderà nell’anno 62 dell’era vigente, i
discepoli invitavano Gesù a condividere il loro stupore per «le belle pietre e
per i doni votivi» che l’ornavano.
«Verranno giorni nei quali, di quello
che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta», provò a
disilluderli il Maestro. L’evangelista Luca registrò di loro, più che
depressione, l’ansia di conoscere i tempi dell’accadimento: «Maestro – gli
chiesero infatti – quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno,
quando esse staranno per accadere?».
Essi, alla scuola di Israele, avevano
imparato che Iahvè non avrebbe mai abbandonato i suoi nella difficoltà, come al
tempo del temibile re assiro Sennacherib che nel VII secolo a.C., aveva dovuto
in tutta fretta togliere l’assedio a Gerusalemme per una ragione improvvisa.
L’episodio, riportato dal secondo libro dei Re al capitolo 19, aveva alimentato
nel cuore degli Ebrei la convinzione che la Città santa fosse invincibile,
perché «Dio è in mezzo ad essa, e non potrà vacillare » (Salmo 46, 6).
Gesù invita i suoi alla cautela:
«Badate di non lasciarvi ingannare», soprattutto dai tanti che
strumentalizzeranno il nome divino (“Io sono”)
per presentarsi come “messia”.
«Vi diranno che il tempo è vicino». Il
termine greco “kairos”, utilizzato per indicare il momento, è piuttosto
“opportunità” da cogliere a volo.
Nell’insegnamento di Gesù c’è il rifiuto
dell’ansia apocalittica, che prevedeva unilateralmente l’intervento
straordinario di Dio nella Storia stravolgendone il cammino per la
realizzazione del suo Regno.
Gesù, al contrario, prospetta il
messaggio “escatologico”, ossia nella linea consequenziale della Storia dove
l’uomo non è un burattino manovrato dai destini avversi, ma il soggetto attivo
del suo divenire e contempla l’impegno e la sua attiva collaborazione.
«Guerre e rivoluzioni – continua Gesù –
devono avvenire», perché parte del cammino necessario della Storia che marcia
per l’inaugurazione del Regno.
La distruzione di Gerusalemme,
anticipata in Luca (capitolo 17, 22-37)
e del suo tempio ad opera dei Romani (anno 70 e.v.) sarà la prima tappa
dell’inarrestabile processo di crescita.
I grandi sconvolgimenti sociali
annunciati da Gesù echeggiano la linea dei
profeti che predicevano l’età nuova con gli inediti scenari e le
opportunità di evangelizzazione per la nuova Comunità ecclesiale.
Il “nuovo” tuttavia subirà attacchi dal
vecchio sistema che si ribellerà, per timore che vengano scardinati “i
pilastri” sui quali regge il potere nei suoi simboli: la “religione” quando
strumentalizza Dio per dominare; la “nazione” chiusa egoisticamente su proprie
convenienze per non collaborare; la “famiglia” senza alternative al regime del
padre-padrone.
L’accesso al Regno richiede di
conseguenza l’acquisizione della “paternità” divina, sì che “Dio” non rimanga vaga idea, ma sia
accolto come il “Padre” che comunica vita. Il concetto di “patria” o di
“nazione” diventa sempre più riduttivo a confronto con le aperture del “Regno
di Dio”, l’universale ambito dell’amore senza condizioni; e infine la
tradizionale tipologia familistica ceda alla “nuova”, additata da Gesù in chi
«compie la volontà del Padre».
Quanti avvertiranno nel Vangelo
l’attentato alle proprie sicurezze di potere e di avidità lo combatteranno,
tuttavia ottimistica è la previsione del Signore: «non potranno!».
Fra Domenico Spatola
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