sabato 16 marzo 2024

Fra' Domenico Spatola: Tutti attirerò a me

Quell'ora della storia 
fu di gloria
quando, a festa, 
fu richiesta
dai Greci quella
vista, 
che il Signor chiamò "conquista".
Era seme caduto in terra, 
e da serra
aperto a vita, 
più ambita 
perché non sola, 
frutto della Parola. 
L'egoismo nella vita,
è rovinosa fatica, 
mentre colui che generosa 
la dona è già fruttuosa.
Chi il Figlio segue, 
nel Padre vivrà tregue. 
Quell'ora allor disturba? 
È col Padre e non si turba.
Il Padre gli dá gloria, 
per tutta la sua storia, 
e di paterna Voce il suono, 
per la folla fu un tuono. 
Per altri, l'angelo avea parlato.
Ma per Gesù il mondo è giudicato. 
Poi parlò di sé:  
"Dalla croce, tutti attirerò a me!"

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra Domenico Spatola al Vangelo della Quinta domenica di Quaresima (anno B): Giovanni 12, 20-33

 
20 Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa, c'erano anche alcuni Greci. 21 Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli chiesero: «Signore, vogliamo vedere Gesù». 22 Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. 23 Gesù rispose: «È giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo. 24 In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. 25 Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. 26 Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà. 27 Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora! 28 Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!».
29 La folla che era presente e aveva udito diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». 30 Rispose Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. 31 Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. 32 Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me». 33 Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire.


Era Pasqua, accorsero a Gerusalemme anche gli Ellenisti. Greci della Diaspora. Si dirottarono però per altra meta. Non il tempio, ma Gesù. Volevano "vederlo". Il verbo equivaleva a "credere". Cercarono la mediazione di Filippo e di Andrea, che riferirono. Gesù parlò della svolta attesa. Il suo messaggio aveva superato i confini di Israele. I pagani chiedevano di  entrare nel suo Regno. In definitiva: "È giunta l'ora della gloria" disse. A Cana, durante le nozze, quella "ora" era stata promessa, finalmente si realizzava, e sulla  Croce avrebbe manifestato il massimo splendore. Commentò la sua morte, con un simbolo di vita: il "chicco di grano" che, caduto in terra, muore per fare esplodere l'energia che possiede. Era la parabola in favore di chi si spende per gli altri. La sua vita raggiungerà la pienezza. Chi, al contrario, predilige i propri interessi e  convenienza, disinteressandosi degli altri, si autodestina al fallimento. A quanti si proponevano per servirlo, chiese di seguirlo, cioè di imitarlo nell'amore per l''umanità. Non sfuggiva tuttavia anche egli all'angoscia della solitudine. Chiese conforto. Il Padre, gli rispose, che avrebbe fino in fondo "glorificato il suo Nome". Chi udì diede le differenti interpretazioni. Secondo le proprie convinzioni.  Alcuni infatti parlarono di "tuono", con linguaggio che evocava Mosè nel suo relazionarsi con Dio. Chi disse: "un angelo gli ha parlato", alludeva alla vecchia Alleanza che tratteneva Dio lontano dagli uomini, e per comunicare necessitava di intermediari. Nessuno però interpretò la filiazione unica di Gesù con il Padre. Tale consapevolezza la matureranno, quando egli "innalzato da terra, avrebbe attirato tutti a sé".

Fra' Domenico Spatola

sabato 9 marzo 2024

Fra' Domenico Spatola: Fare la verità

A Nicodemo di notte, 
venuto a raccontar sue lotte, 
Gesù disse del serpente 
da Mosè innalzato per la gente, 
che, da serpi morsicata, 
venía sanata. 
Stesso appiglio
trova nel Figlio 
chi gli crede 
e a lui dà fede. 
Avrà eterna
la vita paterna
che Dio ha dato
al Mondo, da lui amato, 
mandando  l'Unigenito
col dolce fremito
di sua passione, 
perché non a perdizione
sia la  vita confinata, 
ma quella eterna destinata. 
Dal Figlio il mondo, non sarà condannato, 
ma salvato.
E il giudizio
starà nel vizio 
di chi dell'oscurità 
farà sua proprietà. 
Perché a chi fa il male,
non congeniale 
è la luce, 
che produce
opere tenebrose, 
mentre luminose 
son di chi fa il vero, 
per il cuore suo  sincero.

Fra' Domenico Spatola

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Quarta domenica di Quaresima (anno B): Giovanni 3,14-21

14
 E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, 15 perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».
16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. 17 Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. 18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. 19 E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. 20 Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. 21 Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio. 

Nicodemo, visitatore notturno, resisteva alla "rinascita" propostagli da Gesù. Si dichiarava soddisfatto del grembo di Israele, e perciò indisponibile ad abbandonarlo. Per Gesù era la condizione senza alternativa per l'ingresso nel suo Regno. Accattivante, si premurò di descriverlo nelle dinamiche. Rilesse per lui l'episodio di quando Mosè aveva innalzato il serpente di bronzo nel deserto per liberare da morte certa chiunque, morsicato dalle aspidi, lo avesse guardato in qualunque luogo dell'accampamento si fosse trovato. Gesù, da Crocifisso innalzato da terra, avrebbe dato la vita eterna a chi, con fede, l'avesse guardato. Si spinse a dichiarare l'inaudito:
"Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna". Descrisse le ragioni dell'invio: "Non per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui". La fede in lui avrebbe perciò dato la vita eterna, che la morte non può scalfire. Quale tuttavia il giudizio? La scelta della luce. "C'è tuttavia, aggiungeva con rammarico, chi preferisce le tenebre, per operare il male e odiare la verità". Questa traduce l'impegno per il bene degli altri, manifestando l'opera di Dio.

Fra' Domenico Spatola 

lunedì 4 marzo 2024

Fra' Domenico Spatola: Lucio Dalla, 4 marzo 1943.

Compirebbe 81 anni, Lucio Dalla. Ogni anno mi ritorna, a termentone, quel ritornello del suo primo ricordo. Narrata come favola la sua nascita. Col racconto che ti prende da fanciullo e te lo porti latente, ma lo senti vigile in cuore. Era la sua storia, ma poteva essere di tanti o di tutti. Cantata da menestrello birichino, o da visionario.
Tale respiro da sognatore regalava in libertà di canto da ininterrotta rapsodia che confermava passione: il mare. "Com'è profondo il mare!". Ne alludeva spazi infiniti di libertà all'anima sognante. Della sua Genova, il mare portava dentro. Pressoché in ogni canzone, costringendo a inseguire i suoi sogni, come pesci volteggianti gioiosi in acque limpide o tormentati nella sua fantasia. 
Mai tuttavia dettò paranoia, ma solo lucidità a volte troppo arguta da essere incompresa. Musica e canto, sua passione con versificazione in fraseggi duttili in metriche note o avveneristiche e moderne da laboratorio incessante come la vita. 
Preziosi gorgheggi e cinguettanti suoni che ad arte sortiscono balbettanti come incipienti linguaggi inediti fino a lui. Il clarinetto fu suo piffero magico da eterna favola, tra le le dita danzanti dello gnomo buono. Lo ripenso, in data resa memorabile, con nostalgia di sua canzona ancor non intonata, per questa età, nostra, di paura e di egoismo. 
Ci manca infatti la sua arguzia, che aveva anticipato guardinga attenzione, in tempi non sospetti: "Attenti al lupo!", fu la ultima profezia, per noi! 

di Domenico Spatola

sabato 2 marzo 2024

Fra' Domenico Spatola: Leggevi il cuore...

Gesù entrasti in scena, 
quando oscena
vedesti la parata 
di mercanzia esposta e ammonticchiata
e di animali d'ogni sorta, 
come offerta da moneta estorta. 
Dei cambiavalute rovesciasti i banchi, 
perché da quel denaro ognun s'affranchi. 
Era profano ed empio
quel mercato nel tuo tempio.
Li cacciasti con la frusta, 
dichiarando ingiusta
quella devozione
che avea il denaro per padrone. 
I giudei pretesero tue credenziali, 
volendo sapere quanto vali. 
Ma tua risposta stornò
lor quesito, 
e di essa ognun restò basito. 
Il tempio in tre giorni risorto
era il tuo corpo, martoriato e morto. 
Ma quando i fatti furono attuati, 
lasciarono i discepoli ammirati. 
Ricordarono infatti quel tuo detto, 
e per loro, quella volta, fu verdetto. 
Molti altri segni, da te compiuti, 
portarono alla fede gli irrisoluti.
Ma tu leggevi di ciascuno il cuore
e, non in tutti, albergava amore.

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Terza Domenica di Quaresima (anno B): Giovanni 2, 13-25

 
Gesù nel tempio
13 La Pasqua dei Giudei era vicina e Gesù salì a Gerusalemme. 14 Trovò nel tempio quelli che vendevano buoi, pecore, colombi, e i cambiavalute seduti. 15 Fatta una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori dal tempio, pecore e buoi; sparpagliò il denaro dei cambiavalute, rovesciò le tavole, 16 e a quelli che vendevano i colombi disse: «Portate via di qui queste cose; smettete di fare della casa del Padre mio una casa di mercato». 17 E i suoi discepoli si ricordarono che sta scritto:
«Lo zelo per la tua casa mi consuma».
18 I Giudei allora presero a dirgli: «Quale segno miracoloso ci mostri per fare queste cose?» 19 Gesù rispose loro: «Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere!» 20 Allora i Giudei dissero: «Quarantasei anni è durata la costruzione di questo tempio e tu lo faresti risorgere in tre giorni?» 21 Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22 Quando dunque fu risorto dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che egli aveva detto questo; e credettero alla Scrittura e alla parola che Gesù aveva detta.
23 Mentre egli era in Gerusalemme, alla festa di Pasqua, molti credettero nel suo nome, vedendo i segni miracolosi che egli faceva. 24 Ma Gesù non si fidava di loro, perché conosceva tutti 25 e perché non aveva bisogno della testimonianza di nessuno sull'uomo, poiché egli stesso conosceva quello che era nell'uomo.

Era nota "la sferza con cordicelle intrecciate". Ne avevano parlato i Profeti di Israele e il Talmud, come arma che avrebbe usato il venturo Messia, "restauratore" del tempio, del culto e della Legge. Gesù con turgore entrò nel tempio, ormai "mercato", dove si vendeva il perdono di Dio. La cacciata dei mercanti fu dunque, per lui, atto dovuto per iniziare. A interpretare il gesto, si improvvisarono i discepoli che vi lessero erroneamente "lo zelo della casa di Dio". L'equivoco li accomunava ai farisei che, per bocca di Nicodemo loro capo, interpreteranno il gesto "da Dio", per la "riforma" immaginata e attesa. Ma Gesù non era venuto per purificare o riformare, ma da "innovatore" per distruggere quanto ostacolava l'incontro degli uomini col Padre suo. Il tempio, allo scopo, era diventato emblematico, perché non fruibile da tutti, non era funzionale per tutti. Escludeva infatti dalla comunione con Dio, come faceva anche la Legge, peccatori e pagani. La sferza, nel loro immaginario, doveva perciò servire al Messia per distruggere i nemici di Israele e del suo tempio che lo rappresentava.  Altra era la proposta di Gesù, per incontrare Dio: la mediazione della sua Umanità. Ai capi religiosi, che chiedevano credenziali di legittimità per quanto aveva compiuto, Gesù rispondeva che "nuovo tempio era il suo corpo. Essi lo avrebbero distrutto e in tre giorni sarebbe stato riedificato". Anche i discepoli tuttavia dovranno attendere la risurrezione di Gesù per comprendere la "novità" di Dio, che in lui cercava "nuovi adoratori in spirito e verità".

Fra' Domenico Spatola 

sabato 24 febbraio 2024

Fra' Domenico Spatola: La Trasfigurazione

Eri bello, sul monte, 
e, a te di fronte, 
stavano i seguaci, 
i più tenaci:
Pietro, Giacomo e Giovanni
che, alla vista dei tuoi panni,
luminosi, 
si fecero animosi
per fermare quella visione, 
disposti a costruirti l'abitazione, 
con i due che t'erano a lato: 
Mosè che avea legiferato
ed Elia che, da profeta,  
l'austera dieta, 
imposto avea per l'osservanza.
Ma Pietro, a tracotanza, 
chiedea tua sottomissione
a quella Legge ch'era sua passione.
Ma del Padre la voce s' udì forte, 
perché d'aprir le porte
al Figlio prediletto, 
di ognun fosse il progetto. 
E pretese che accolto
fosse il di lui ascolto.         
Finita la visione
fu in loro confusione,        
ma con Gesù, fatto vicino, 
ripresero il cammino.

Fra' Domenico Spatola

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Seconda domenica di Quaresima (anno B): Marco 9, 2-10

 
2 Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro 3 e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. 4 E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù. 5 Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!». 6 Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento. 7 Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: «Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!». 8 E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro.
9 Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti. 10 Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti.

Sul monte alto non andò solo. Con lui i discepoli riottosi: Pietro e i "boanerghes", Giacomo e Giovanni. Accadde il sesto giorno. Carico di simboli, per la creazione dell'uomo e la   manifestazione della gloria di Dio sul Sinai. Dopo il rimprovero a Pietro, il "satana" che non accettava la morte del Messia. Gesù volle mostrare gli effetti di quella morte. 
Sul monte alto, "l'antico" si confrontò con "il nuovo". Mosè ed Elia incarnavano del Vecchio, la Legge e la Profezia. Il vestito di Gesù si fece luminoso. Lo stesso non era ottenibile con gli sforzi umani. Era infatti il dono del Padre al Figlio. Gli illustri Anziani conversavano con Gesù, riconoscendo in lui il Dio con cui avevano sempre dialogato. Pietro fu felice per la visione. Era ciò che voleva del Messia, purché scansasse la morte. Ebbro perché confermato nelle sue aspettative, fece proposte a lui convenienti. Fermare gli eventi, perché aveva raggiunto la meta. Non riconosceva la trasfigurazione naturale conseguenza della morte. Le tre Capanne che voleva approntare per restare, erano da lui organizzate perché al centro governasse Mosè. Di lui più si fidava. Non poté l'evangelista non commentare la sua confusione. Ma fu la Voce del Padre a zittirne l'insolenza e a imporre a tutti di "ascoltare solo Gesù, il Figlio amato!". 
A luci spente, Gesù li diffiderà dal parlare della visione, perché avrebbero raccontato cose non comprese sulla Risurrezione.

Fra' Domenico Spatola

venerdì 16 febbraio 2024

Fra' Domenico Spatola: Il deserto



Ti fu fatale 
e abituale
lotta che la vita
riservava in partita.
Affrontasti, mio Signore, 
del satana il furore
e le belve, fiero, 
da indomito guerriero, 
combattesti fino a sera. 
Fu bufera
quella volta 
che chiedesti a me la svolta.
Or ti seguo verso  Pasqua, 
perché rinasca 
anche in mio cuore
stesso ardore.

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della prima domenica di Quaresima ( Anno B): Marco 1, 12-15

12
 Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto; 13 e nel deserto rimase per quaranta giorni, tentato da Satana. Stava tra le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. 14 Dopo che Giovanni fu messo in prigione, Gesù si recò in Galilea, predicando il vangelo di Dio e dicendo: 15 «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo».

Sobrio l'evangelista a descrivere le tentazioni nel deserto. Qui Gesù, per Marco, non prega né digiuna. Non vengono codificate le tentazioni come invece nei paralleli di Matteo e di Luca.
Il "sùbito" iniziale del racconto collega l'episodio con quello del battesimo, nel quale Gesù aveva ricevuto lo Spirito. Voleva comunicare l'amore del Padre all'umanità. "Quaranta" i giorni della permanenza nel deserto, come i "quaranta anni" di Israele. Conquista era la Terra promessa. Così l'evangelista immaginava l'intera esistenza di Gesù: un cammino di liberazione.  L'episodio iconico era a sintesi della intera esistenza. Il "satana", "l'avversario", compare qui, e scompare fino a quando Gesù chiamerà "satana" il suo discepolo Pietro. Aveva rifiutato la morte del Messia, in nome della sua ideologia del potere. Il satana lo sentiremo nominato ancora nella parabola dei "quattro terreni", spiegata la sua azione attraverso i suoi accoliti: gli uccelli che beccano il seme (la Parola) caduto lungo la strada. È l'evangelista che li addita refrattari al servizio. Decisiva la sentenza che emetterà su "satana, destinato a finire, come il suo regno, perché diviso in se stesso!". Quali gli indizi per individuarne la presenza, il verbo offerto è "tentare", usato tre volte per i farisei. Fondamentalisti della Legge mosaica "tenteranno" Gesù, con le loro trappole.
Il "deserto", come la vita, è popolato dalle belve, quelle del potere individuate nella visione notturna dal profeta Daniele. Gli Angeli sono le presenze buone, dei tanti anonimi che, lungo il racconto, collaboreranno con Gesù per la costruzione del Regno.

Fra' Domenico Spatola

sabato 10 febbraio 2024

Fra' Domenico Spatola: Altra lebbra io vedo...



Gesù, io lebbroso, 
e tu amoroso, 
stendesti la mano, 
non mi volevi lontano.
Il tuo abbraccio compresi, 
e al tuo amore mi arresi. 
Altra lebbra io vedo:
la guerra, a corredo
dell'uomo fallito. 
Non ha infatti udito
e sordo è a tuoi inviti di pace. 
Possesso vorace
di ricchezza e potere 
son sogni che sol suole avere, 
ma non sa che felici
si diventa se amici, 
di te che apri il cielo
a chi accoglie il Vangelo.

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Sesta domenica del tempo ordinario (anno B): Marco 1,40-45

 
40 Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!». 41 Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, guarisci!». 42 Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. 43 E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: 44 «Guarda di non dir niente a nessuno, ma va', presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro». 45 Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte.
 
Chi era affetto da lebbra, era considerato "impuro" dalla religione ebraica. Non dunque malato da curare, ma peccatore da evitare. L'impurità gli inibiva l'accesso al tempio. Impossibile per lui chiedere a Dio la "purificazione". Dannato senza speranza di redenzione. Il Dio annunciato da Gesù era diverso. Il rapporto con lui non si basava sui meriti che discriminano gli inadempienti, e il peccato non era l'ostacolo per incontrarlo e venirne liberati. Il Dio predicato da Gesù non è "giustiziere" ma Padre, attento ai bisogni dei figli. Non respingeva quindi, ma chiedeva accoglienza. L'incontro tra Gesù e il lebbroso diventò, a riguardo, chiarificatore. Anonimo il lebbroso, perché rappresentativo. Dispensato dalla religione, impotente a salvare e adatta a giudicare e condannare, corse da Gesù, chiedendo ciò che gli veniva negato: "essere purificato". Non domandava guarigione. Sarebbe stata conseguente. Ma ciò che gli veniva negato: l'incontro con Dio. Lo sperimentò in Gesù: "Se vuoi - gli disse -, puoi purificarmi!". L'evangelista in crescendo usò tre verbi: "ebbe compassione, tese la mano, lo toccò". Purificato, la lebbra scomparve. Aveva sperimentato il Dio che "non va meritato, ma accolto". Il divieto al guarito di pubblicizzare il fatto, aveva la funzione di evitare fraintendimenti, circa il suo messianismo. L'invito tuttavia, a farsi verificare dai sacerdoti, diventava la sua sfida alla loro impotenza. Gesù gli impose alla fine di scappare da quella istituzione che lo aveva penalizzato, e l'avrebbe fatto ancora. Così, portatore del nuovo messaggio, cioè che Dio non disprezza i peccatori ma li salva, annunciò il Vangelo del Dio "per noi". Per uscire, Gesù gli diede l'esempio. Nel deserto ritrovò, come in passato Israele, la libertà dalla schiavitù di una istituzione che soffocava il bene primario: la libertà. Per conquistarla, era richiesto di cercarla fuori, appresso a Gesù.

Fra' Domenico Spatola 

sabato 3 febbraio 2024

Fra' Domenico Spatola: Si mise a servire...

A Cafarnao, vidi la scena:
la suocera di Pietro 
che, in grande lena, 
dalla febbre abbandonata, 
a servire era tornata.
A sera ciurma di derelitti, 
Gesù, guaristi afflitti
da ogni infermità. 
Stretta era però cattività
in casa di Simone, 
che facea il padrone. 
Provasti allor la fuga nella notte. 
Ma Pietro, non s'arrese e sue lotte, 
in tua ricerca, venne a consumare. 
Volea obbligarti a ritornare.
Ma lidi altri della regione
chiedevan tua evangelizzazione
Anche lì - dicesti - il tuo messaggio
dovevi portare a omaggio.
Riprendesti perciò il tuo cammino, 
e la gente lodava in te il Divino.

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Quinta domenica del tempo ordinario (anno B): Marco 1, 29-39

 
29 E, usciti dalla sinagoga, si recarono subito in casa di Simone e di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni. 30 La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. 31 Egli, accostatosi, la sollevò prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli.
32 Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. 33 Tutta la città era riunita davanti alla porta. 34 Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
35 Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava. 36 Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce 37 e, trovatolo, gli dissero: «Tutti ti cercano!». 38 Egli disse loro: «Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». 39 E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

Aveva fretta Gesù di recarsi, con Giacomo e Giovanni, i discepoli a seguito, in casa di Simone e Andrea. In sinagoga aveva parlato di amore e l'insegnamento era sembrato "nuovo e autorevole".  Voleva anche agire di conseguenza. Non riconosceva la "legge del riposo sabatico", perché "il sabato è fatto per l'uomo e non viceversa". Non era divina, per lui, qualunque legge impedisse il bene e la salute degli uomini. In casa di Simone, quel sabato,  guarì la suocera, che era a letto con la febbre. Le prese la mano e le disse di alzarsi. Guarita, si mise a servire. "Diaconia", interpretata dall'evangelista alla stregua del servizio che Angeli prestano a Dio. Nessuno di quelli di casa rimproverò a Gesù la trasgressione, che la Legge catalogava tra le più gravi "impurità". Avevano compreso e aderito a lui. Differente invece fu la reazione della folla, che si radunò davanti la porta con i propri ammalati, soltanto dopo il tramonto, cioè quando iniziava il nuovo giorno. Non intendevano rinunciare alla Legge, nella quale pensavano di integrare la "novità" di Gesù. Volevano che egli toccasse gli ammalati per guarirli, e alcuni gli si accostavano con irruenza. A notte fonda, Gesù volle però andare via da quel luogo. Gli urgeva ritirarsi. Nel deserto cercò il conforto dal Padre, sentiva che si equivocava sulla sua missione. Pietro infatti non accettò quella sua scelta e si mise sulle sue tracce. L'espressione ricalcava quella del racconto del faraone, che, al tempo di Mosè, inseguiva Israele per ricondurlo in schiavitù.
Gesù rivendicò a Pietro la sua libertà. Altri villaggi infatti attendevano il suo Vangelo.

Fra' Domenico Spatola