venerdì 27 ottobre 2017

Fra' Domenico Spatola: Quale il più grande comandamento?

Frenesia era quella
di sapere la più bella
tra le leggi del Signore
ch'era più diretta al cuore.
Era il sabbatico riposo
o l'offerta o qual altro coso
che serviva della gente
a confondere la mente
oscillante tra divieti
poco lieti
e impegni d'ogni sorta?
Bisognava trovar la porta
per comprenderle tutte quante
chè, pur sante
obbligazioni
tuttavia non ragioni
tra le scuole che i rabbini
con vocaboli sopraffini
confondevano la gente:
immantinente
necessitava di Gesù pronta risposta
per chiarire dove riposta
fosse di Dio la volontà.
Non senza viltà,
un dottore di quella Legge
che nessuno alfin protegge
per le troppe ansietà
causate a calamità,
disse: "Quale comandamento
a Dio fa rendimento
più degli altri?"
Erano scaltri
suoi intendimenti:
sperava infatti nei di lui
tentennamenti,
ma, con serenità,
Gesù disse: "Ad ogni età
necessario è amare Dio con il cuore
e, a lui solo dare pieno amore
e, con la mente,
lode ingente
e professione
di totale adorazione".
Aggiunse anche: "Il secondo
come il primo è a tutto tondo:
ama il prossimo come fratello
e, a specchio tuo, vedilo
gemello!".

Fra' Domenico Spatola
Nella foto: Gesù e i farisei (Ruben)

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Domenica XXX del tempo ordinario: Matteo 22, 34-40

Allora i farisei, avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». 37Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il grande e primo comandamento. 39Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Commento al Vangelo

Sadducei e farisei, in seno al Sinedrio, costituivano i partiti irreducibilmente avversari; tuttavia, fiutato in Gesù il comune pericolo, si allearono per tramargli contro. A staffetta, tesero a denigrarlo agli occhi della gente, rimasta ultimo baluardo della sua incolumità. Battuti i Sadducei, a conto dei farisei scese in campo il dottore della Legge, che gli domandò: "Quale è il massimo comandamento?"
Nel ginepraio dei divieti, le scuole rabbiniche si dimenavano interrogandosi sul comandamento preponderante della Legge. L'opinione più diffusa priorizzava "il riposo sabbatico" perché ritenuto osservato da Dio, che si riposò dopo i sei giorni della creazione. 
In disaccordo era Gesù che trasgrediva tale precetto, con grave scandalo degli oppositori, ritenendo prioritario il bene delle persone: "Il sabato - asseriva - è fatto per l'uomo".
Alla domanda, Gesù rispose con il testo della quotidiana professione di fede del pio ebreo: "Amerai il Signore tuo Dio, con tutto il cuore, l'anima e la mente". Condizione dichiarata assoluta e senza cedimenti a entità rivali. A seguire, il precetto che Gesù dichiarò simile al primo: "amerai il prossimo tuo come te stesso". 
Se pertinente a risolvere una questione squisitamente ebraica, la risposta tuttavia non traduceva il pensiero di Gesù, non riconducibile a nessuna asfittica concezione. 
Il suo messaggio universale infatti opera per la felicità di ogni uomo, realizzabile con il suo comandamento: "amatevi come io vi ho amato", dove l'amore proposto si colloca nell'onda di quella del Padre. 

Fra' Domenico Spatola 

Nella foto: Giovanni d'Enrico.Statue in terracotta raffiguranti farisei, Cappella XXXV Sacro Monte di Varallo. 

mercoledì 25 ottobre 2017

Fra' Domenico Spatola: Ad Anna Frank

Mi ricordo del tuo diario
vario e amico
di noi a lezione tua.
Lo lessi e piango
per vita a te negata
in giorni bui
che solo occhi tuoi
accesi a fari
pari a luce intensa.
Immensa ancora splende
a captare cielo di tua giovinezza
che raccontavi in sogni
con mano tremula
di ebbrezza
e carezza apparivi
modello parallelo
all'altro ostile
con il tuo: gentile
di dolcezza
che donavi a gente tua perseguitata,
e dall'abbaino del tuo rifugio incantata
segnali teneri mandavi
con tuoi occhi a raccontare
infanzia appena allor svezzata
di misteri che ancora
non matura tua età pianga
e nei perché rivanga
senso di agnello innocente
sacrificato al torbido
di chi sua mente
ha reso schiava
e ancor stupidità
immola falsità a orrore
e non fiorisce mai
capacità d'amore.

Fra' Domenico Spatola

venerdì 20 ottobre 2017

Fra' Domenico Spatola: Dio o Cesare?

Dilemma fatale
fra trono e altare:
accese e non rare
le due questioni
proposte a Cristo,
in quesito misto:
tra Cesare e Dio
a chi dare l'oblio?
Farisei ed erodiani
s'eran strette le mani
e, di metterlo in crisi,
eran proprio decisi.
Su moneta e iscrizione
fu l'interrogazione:
"Di chi era?"
Risposta fiera
dei non esitanti
che dissero in tanti:
"dell'imperatore".
Pronto il Signore
fece commento:
"Non lo lasciate scontento:
gli appartiene, datelo a lui
ma restituite a Colui
cui tolto il gregge
e nessun vi corregge!"
Messaggio che tempo non mina
e la Storia ancora propina
perché quando lontano è il Vangelo
tanto cresce quel gelo
che tarpa le ali
e fa vincere i mali
d'orgoglio e di potere
ambo estranei al divino volere.

Fra' Domenico Spatola
Nella foto: Tributo a Cesare (Andrea del Sarto)

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Domenica XXIX: Matteo 22, 15-21

Il tributo a Cesare. 
Allora i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17Dunque, di' a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». 18Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20Egli domandò loro: «Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?». 21Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

Commento al Vangelo
I capi spirituali d'Israele non tollerano che Gesù li smascheri come "ladri e assassini". Se avessero potuto, l'avrebbero da tempo fatto fuori. L'ostacolo era la gente a lui favorevole. Bisognava screditarlo e, con attacchi concentrici, i rappresentanti delle caste da Gesù sconfessate, si fanno avanti per interrogarlo. Primi a esibirsi i discepoli dei farisei insieme agli erodiani, con i quali era reciproca rivalità, ma, all'occasione dismessa: Gesù rappresentava un comune pericolo. Quell'alleanza fu di facciata e la trappola ben congegnata. Qualunque delle due alternative avrebbe inesorabilmente recato un danno all'intervistato: "Il tributo a Cesare va pagato, oppure no?" Era l'imposta che i romani, a partire dall'anno 6 e.c., pretendevano dai Giudei d'età compresa fra i 12 e i 65 anni. Per tale tributo, iniquo per il popolo, diverse sommosse erano state soffocate nel sangue. La richiesta capziosa era pericolosa per Gesù. Dal dilemma era impossibile per lui uscirne indenne. Sarebbe stato infatti accusato di sedizione, qualora avesse denunciato l'ingiustizia del tributo; nemico del popolo se ne avesse legittimato l'obbligo. La terza via, da loro non contemplata, fu di Cristo.
Egli chiese una moneta per ascoltare dalle loro labbra a chi appartenessero l'effigie e l'iscrizione. Il luogo dove era accaduto il fatto era sacro, perché all'interno del recinto del tempio dove inaccettabile era la circolazione di monete con l'immagine dell'imperatore definito "divino". Fu trovata nelle tasche degli interpellanti. 
"Di chi è l'effigie e l'iscrizione?" chiese il Maestro. 
"Di Cesare" fu la risposta. 
Subito Gesù li invitò a dare a Cesare, con i benefici condivisi, anche il tributo, ma più severo il monito a restituire a Dio il popolo che essi gli avevano sottratto. 

Fra' Domenico Spatola

venerdì 13 ottobre 2017

Fra' Domenico Spatola: Le nozze del Figlio

Nozze delle sorprese:
non si badò a spese.
Era il Figlio lo sposo
e a Umanità odoroso
di zagara donava suo anello,
e del vitello
più grasso s'era fatta mattanza,
per Nuova Alleanza
con l'invitato Israele
che, infedele,
non volle accettare
per altri campi d'arare,
altre nozze a sognare
o buoi a provare.
Rinnovasti, o Re, tuo invito
ma fu più ardito
loro rifiuto
e muto
Tu non rimanesti.
Invitasti alla mensa
più intensa
folla ai crocicchi
di strade
o in attesa sui picchi
dei monti,
arresa ai tuoi sconti
riempì quella sala,
da mille convalli:
iniziarono i balli
di canti e di gioia
e sol nota di noia
un tale
senza veste nuziale
oltraggio fatale
in quel regno è ritenuto
se senza amore si è convenuto.

Fra' Domenico Spatola.
Nella foto: Parabola delle nozze del Figlio del re, icona.

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Domenica XXVIII del tempo Ordinario: Matteo 22, 1-14

Parabola delle nozze del Figlio del Re
Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: 2«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4Mandò di nuovo altri servi con quest'ordine: «Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!». 5Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8Poi disse ai suoi servi: «La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze». 10Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. 11Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l'abito nuziale. 12Gli disse: «Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?». Quello ammutolì. 13Allora il re ordinò ai servi: «Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti». 14Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

Commento al Vangelo

Parabola di gioia e di dolore. Nelle "nozze del Figlio", il Re investì la munificenza del Regno. I preparativi furono sontuosi e gli inviti accuratamente selezionati. Israele, che era in testa alla lista, rifiutò ripetutamente, anteponendo i propri interessi. Il Re esercitò grande pazienza e, a rinnovare ripetutamente l'invito, mandò i servi (i profeti) che, pur provando sistematicamente a persuadere gli invitati al cambiamento, venivano, da essi, come importuni, bastonati o uccisi. 
Il Re, offeso dai ripetuti rifiuti di quegli omicidi, mandò sue truppe a distruggere la città e quegli assassini (era ancora struggente per l'evangelista la distruzione di Gerusalemme, ad opera dei Romani nell'anno 70 d.c.). 
Alla piena soddisfazione, non bastò la vendetta regale. Le nozze del Figlio, come il suo Regno, non dovevano fallire, perciò il Re, dopo che si erano autoesclusi gli invitati della prima ora, insistette perché avessero il clamore dell'intera Umanità. L'ordine nuovo impartito fu ai servi, perché riempissero di gente la sala del banchetto. 
"Tutti invitati!" fu il perentorio comando. 
"Per le strade; oltre i crocicchi; inoltratevi nelle periferie e in ogni contrada. Obbligate ognuno ad entrare!"
Così, se al rifiuto dei primi invitati, si scioglieva la vecchia Alleanza, il Re proponeva la "Nuova", che, sostituiva i criteri di appartenenza che erano fatti di meriti e di pregiudizi razziali, con l'accoglimento del Vangelo e la conseguente conversione, il simbolico "abito nuziale" per non fallire la vita "nelle tenebre". 

Fra' Domenico Spatola
Nella foto: Parabola delle nozze del Figlio del re di P. Veronese

mercoledì 11 ottobre 2017

Fra' Domenico Spatola: La Lega come la Catalogna?

La regione Catalogna
per la Spagna è una gran rogna
ma lo è anche per l'Europa
contro cui ha lanciato l'opa
della sua indipendenza.
Oggi non si può far senza
di nessuno
eppure ovunque c'è qualcuno
che insorge
e non più porge
la sua mano all'altro
trovando più scaltro
far da solo,
dopo avere colto a volo
l'occasione sua propizia
quella che vizia
umana convivenza:
l'egoismo, quintessenza
non di miti
ma di quanti arricchiti
abbandonano cordata
perché hanno già scordata
comunione solidale
e ciò che vale
per Nazioni come l'inglese
che non vuol pagare sue spese
e per regioni
che come la Catalogna
sogna
per sé solo occasioni.
E l'Italia stia attenta
alla Lega che ci tenta
a cercare sua individualità
a sprezzo dell'Italica nazionalità.

Fra' Domenico Spatola

venerdì 6 ottobre 2017

Quella sera di ottobre (7 ottobre 1959)

Dalla corriera
che mi portava lontano,
quella sera,
dagli amplessi tuoi,
non mi parve strano,
o madre,
vederti lacrimare
e io nel cuore.
Ero di età solo due lustri
e, immaturo,
pensavo già al futuro,
senza te
per novella compagnia
in seminario e nuovi amici
che di me si sarebbero presi cura
con la premura
che però non fu la stessa,
or ti confessa
animo provato,
siccome tu facevi.
Chioccia eri: calda
per prole numerosa
e generosa per un figlio
in meno, che allor pensai
non potea costarti niente.
Non era così e fu demente
mio non pensar
perché fu tardi il ripensar
che di me fu tuo dolore
d'altro parto a oblìo.
Chiedesti, seppi appresso,
in pianto a Dio
che calmasse tuo boato:
che di noi qualcosa era spezzato
e, ancor nel mio cuore,
ora che tanti altri lustri son
passati
ricordo quella sera di ottobre
e i pianti non negati
distillano ancora in gocce amare
da sognare rimembranze
d'occasioni negate
e sol belle
in un tempo reso avaro
che dolore rende caro.

Fra' Domenico Spatola
Nella foto: Goffredo Godi "Viale alberato" - 1948

Fra' Domenico Spatola: Affidasti tua vigna

Signore, tua vigna
affidasti anche a me.
Avevi fatto di essa
il giardino d'un re.
Quando chiedesti
dei suoi frutti la parte,
fu mia arte
di fede risposta
in te sol riposta.
La vigna è tua Chiesa,
madre contesa
tra figli, agnelli
gemelli
ai lupi,
che cupi
non vedono il cielo,
del tuo Vangelo.
A lavorare speranza,
dammi costanza
nel mondo confuso
che d'amor chiede uso.

Fra' Domenico Spatola

Nella foto: Parabola dei contadini malvagi icona contemporanea tempera su tavola 1990

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Domenica XXVII del Tempo ordinario: Matteo 21, 33-43

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.
Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
“La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d’angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi”?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».

Commento al Vangelo

La parabola è l'accusa dei capi dei sacerdoti e degli anziani di Israele. La storia narrata da Gesù si pone come specchio che riflette il loro comportamento. Sono accecati dalla "convenienza" fino a volere la morte degli oppositori ai loro interessi. I dettagli sono espressivi di emozioni e di sentimenti. 
La "vigna" è l'allegoria di Israele e della sua storia; la sua costruzione e cura testimoniano del padrone attenzione e tenerezza con la siepe a protezione, la buca per il torchio e la torre per l'avvistamento dei potenziali predoni. 
Strategiche la lontananza del padrone e la cura della vigna affidata ai coloni. 
Al tempo dei frutti, il padrone vuole il "suo". I servi inviati (i profeti) però non hanno fortuna, gli affittuari sono infatti ladri e omicidi. Fanno fuori tutti i messaggeri e, con l'eliminazione del Figlio, l'erede, tenteranno il colpaccio che li avrebbe resi padroni assoluti della vigna. 
Riassuntati gli eventi, Gesù denunciò la criminalità dei suoi avversari, accusati di essere mossi solo dai propri interessi. 
Ad essi, avendo compresa la denuncia, rimaneva ancora l'ultimo ostacolo: eliminando il Figlio, gli eredi sarebbero stati i padroni della vigna, come i personaggi della parabola. 

Fra' Domenico Spatola

Nella foto: La parabola dei vignaioli, placchetta smaltata, secolo XII. Firenze, Museo del Bargello

mercoledì 4 ottobre 2017

Fra' Domenico Spatola: Sinfonia




Colsi di Francesco
i palpiti:
scalpiti
in pulsanti stelle,
sorelle
e in pianeti
cheti
ruminanti infinito spazio
e non sazio
cuor comprende
e mente intende
sinfonia eterna
che materna
attinse Francesco
da stesso desco
che il divino fè sentire
e sue armonie udire
sintonizzate a cuore
in accordato suo sopore
che stupore
ancora appaga
ansia mia non paga
in me ardore
in sintonia di mondi
e affondi
in quantità diverse
e converse
aspettative a rincorsa
che morsa
per l'anima che vanto
fa mio canto
che stessa sua dolcezza
ancor carezza.

Fra' Domenico Spatola

Fra' Domenico Spatola: Francesco poverello

Francesco poverello
fu gemello
a creatura
per natura sol s'intende
e ciò rende
sua passione
per il sole
e la sua mole
che con raggi
a omaggi
sa scaldare
e la luna che addormentare fa i
bambini.
Amò l'acqua e i destini
della terra,
madre in guerra
volle i frati a portar pace
e del Vangelo essere face. Amò
l'acqua cristallina che disseta
mite e cheta.
Amò il fuoco
né fu poco
stesso ardore
e contento
amò il vento
e le stelle sue sorelle
e i pianeti tanto quieti
e stagioni tutto l'anno
che sollevano d'affanno
e amò sorella morte
umana sorte
che consente pieno ingresso
nella vita
fu infinita
lista sua d'amare
senza oblìo
egli amò tutti nel buon Dio
e nel suo figlio crocifisso
che fu suo chiodo fisso
e lo fece con tanto cuore
che sua parola fu solo amore.

Fra' Domenico Spatola

lunedì 2 ottobre 2017

Fra' Domenico Spatola: Angeli.

Angeli tanti,
umani e santi,
con loro dolcezza
a materna carezza,
a figlio che nasce
tolgono ambasce
da parto a dolore
e parlan d'amore,
con nenie e con canti
acquietano i pianti
dei bimbi in paura
con voce sicura.
In grande velame
è il loro reame
come d'api che a sciame
portano il miele
con ali che vele
di barche nei mari
tra i flutti son fari
in impervio cammino.
D'ogni bimbo il visino
riflette in bellezza
lor tenerezza
perché messaggeri
e compagni son veri
di speranza e di luce
che a Dio conduce,
e da splendido trono
a noi portan perdono:
se nne varco la soglia,
ne provo gran voglia.

Fra' Domenico Spatola