venerdì 29 giugno 2018

Fra' Domenico Spatola: La fanciulla morta, l'emorroissa e Gesù


Con viste corte
vedevano la morte,
cioè il nulla
come per la fanciulla
di Giairo arcisinagogo 
che, dal rogo
di ansia e di paura,
voleva sicura
la vita della figlia
e si consiglia,
seguendo suo estro,
con Gesù  maestro.
Questi da lui accorre,
seguito dalla folla
che non lo molla,
neppure per mangiare
quando a sanare
si trova, a sua insaputa, 
l'emorroissa nascosta a lui venuta.
Chiese ragione a "chi lo tocca"
e da tutta quella folla essa si sblocca.
Gesù, a lei rivolto, risoluto
disse ai presenti molto compiaciuto:
"Donna, tua fede ti ha salvato!"
Quando da casa, trafelato,      
arriva un messo:
"dimesso
è lo spirito di vita nella fanciulla
e non c'è più nulla
che si possa fare".
Gesù consigliò di credere e sperare:
"la fanciulla dorme
e le sue orme
eran lì presto a rimirare". 
Suonavano flauti e le nenie meste
come se si trattasse della peste.
Gesù fece uscire tutti dalla stanza
e sol costanza
chiese ai genitori
perché il pianto è fuori
e dentro c'è la luce
di chi conduce
a vita piena.
Gesù appena diede alla fanciulla mano
ciò ch'era morte se ne andò lontano.
Furono nozze nel mistero vero:
Gesù d'Umanità sarà sposo sincero



Fra' Domenico Spatola  
Nella foto: Resurrezione della figlia di Giairo (Polenov)


Commento di fra Domenico Spatola al Vangelo della tredicesima Domenica del Tempo Ordinario (anno B): Marco 5, 21-43

Essendo Gesù passato di nuovo in barca all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. 22E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi 23e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». 24Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
25Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni 26e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, 27udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. 28Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». 29E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
30E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». 31I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: «Chi mi ha toccato?»». 32Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. 33E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. 34Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male».
35Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». 36Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». 37E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 38Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. 39Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». 40E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. 41Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». 42E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. 43E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare

La folla sulla spiaggia è in attesa di Gesù di ritorno dalla missione in terra pagana. Nutre stesse aspettative di liberazione. Il termine "mare", attribuito al lago di Tiberiade, testimonia universalismo del suo messaggio. Anche il capo della sinagoga accorre a lui: Giaro. Si distingue dal coro dei colleghi farisei, detrattori di Gesù, e chiede disperato al "Maestro" un intervento per la "figlia dodicenne" in fin di vita. Adombra, nell'episodio, l'evangelista Marco il popolo oppresso dal legalismo religioso imperante e senza l'alternativa di vita piena che solo Gesù può dare. Alla richiesta, si fa subito  compagno, e lungo il tragitto, si evidenzia il problema degli  "emarginati dalla religione" perché "impuri" e morti per la società.
Su questo disastro operato dalla religione, Gesù chiede attenzione alla folla, che a lui si stringe, invitando colei che ne aveva toccato il lembo del mantello e ne era guarita, a venire fuori. "La tua fede ti ha salvata!" Fu l'insospettata sentenza. Premiata dalla fede, per avere trasgredito una legge disumana.
Il corteo è tentato di arresto, perché "la fanciulla è morta" e tutto è inutile per il potere della morte di fare sprofondare irreversibilmente nel regno dei morti. Gesù non è d'accordo e invita a credere e a sperare perché la morte non è l'ultima risposta, mentre il suo amore è più potente. Caccia prefiche e lugubri suonatori. E la camera "ardente", viene fatta "nuziale" sotto lo sguardo felice e attonito dei genitori e  discepoli prescelti.
Il "capo" ha lasciato il posto al padre, dinanzi al quale Gesù porge la mano alla ragazza (da marito), invitandola ad alzarsi. Era gesto nuziale. Il numero "dodici" accomunante i due episodi alla condizione di Israele e di tutti i popoli, offre anche a noi, senza alibi, ragioni di libertà e di vita.

Fra' Domenico Spatola 

Nella foto: Resurrezione della figlia di Giairo (Repin 1871 - Museo di Pietroburgo)


giovedì 28 giugno 2018

Fra' Domenico Spatola: I santi Pietro e Paolo


Sulla scia di Cristo
il Duo fa gioco misto:
il primo degli Ebrei,
l'altro dei rei
che sconoscono la Legge,
che Paolo corregge
con il Vangelo ai più lontani
disprezzati come pagani
in itinerari suoi indefessi.
Encomi stessi
per l'apostolo Pietro
che si pose dietro
al Salvatore
quando Cristo chiese amore
a lui più di tutti quanti
e, pur con suoi rimorsi tanti,
non smetteva di darsi pene
nel dire che a lui "voleva bene".
Allora il Risorto chiese
ed ei s'arrese
di pascere il suo gregge
qual pietra che sorregge
a confortare compagni
quando ognuno di loro lagni
sua passione.
Paolo improvvisò missione
fondando chiese
in relazioni tese
con i giudeo-cristiani
che imponevano ai pagani
la circoncisione
tremenda fu di lui la ribellione
e anche quando ricevette
pestaggi, le Lettere furon ricette
di ciò in cui crede
e del cristiano il cuore della fede.
Annunciò la libertà donata
da Cristo per ognuno conquistata,
e, dello Spirito i frutti,
ei rese noti a tutti.
A Roma, con Pietro fu martirio
per il delirio
di Nerone
che martiri ne fece a profusione.
Ora splendono in cielo gli amati Santi:
colonne della Chiesa e suoi vanti.

Fra' Domenico Spatola 
Nella foto: Mosaico presso Cappella Palatina di Palermo.

Fra' Domenico Spatola: 28 giugno 1974


Indimenticabile è quel giorno:
su di me all'intorno
la Chiesa tutta chiedeva il dono
dello Spirito, mentr'io prono
dinanzi all'altare
col cuore a battere forte e a tremare
fino alla paura era mia emozione
ma mi si chiedeva solo devozione
alle "cose sante" che avrei trattato
mentre Pappalardo vescovo su di me chinato  
imponeva sue mani
per essere presbitero
della Chiesa e a inizio
del servizio santo
col solo vanto
di testimoniar Vangelo
per il Cielo
e il suo Regno
e a pegno
di servire i poveri e affamati
che numerosi sarebbero arrivati
per consolarli a ruota
con parola mai vuota
e con la vita
nutrita da fede ardita
e col perdono assicurato
dalla croce
e dalla voce
di Cristo che perdono affida
a chiunque senza ostacolo confida.
Ma l'emozione grande fu la prima Messa
con il Vescovo e con la Chiesa stessa
che tutta mi appariva un'altra cosa:
era la nuova Sposa
che avrei servito.
Or son passati decenni da quel rito
e ogni giorno è sempre come allora:
salendo sull'altare alla buonora
chiedo  al Padre per il Figlio
lo Spirito che Umanità consola.

Fra' Domenico Spatola


venerdì 22 giugno 2018

Fra' Domenico Spatola: San Giovanni Battista

Il Battista
fu apripista

per il Cristo,   
da lui visto 
come Agnello                        
da lui additato come "quello           
che dal peccato                     
ha liberato                              
il mondo intero".                    
Suo messaggio fu sincero
quando a Erode                    
che si rode
per lasciva sua sorte
la cognata avea a consorte.       
Non temette il profeta
né fé dieta
di parole e a sgomento
imputò al tiranno il tradimento.
Chiuso nel Macheronte,
mai piegò la fronte
se non per sfidare il boia
venuto a tirare sue cuoia.    
Non era "canna al vento"
e di lui Gesù contento
per avere preannuziato
il Messia già arrivato.    
Gli toccò lui battezzare
nel Giordano ove amare  
furono le scelte  
che il Signore
prese a cuore. 
Oggi il Battista
fa conquista
di nostra fede
e ognun con suoi occhi vede
l'Agnello redentore  
crocifisso per amore.

Fra Domenico Spatola

Commento di fra Domenico Spatola al Vangelo della solennità della Nascita di San Giovanni Battista: Luca 1, 56-66.80

In quei giorni, per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei. All’ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: “No, si chiamerà Giovanni”. Le dissero: “Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome”.
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta, e scrisse: “Giovanni è il suo nome”. Tutti furono meravigliati. In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio.
Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Coloro che le udivano, le serbavano in cuor loro: “Che sarà mai questo bambino?” si dicevano. E davvero la mano del Signore stava con lui.

Giovanni, di Cristo precursore, a cerniera chiude e apre i due Testamenti. Ultimo e più grande tra gli antichi profeti, è primo a preconizzare "l'era messianica", perché vide e testimoniò ciò che "altri avrebbero voluto vedere e non videro". Del Cristo disse: "Io non lo conoscevo, ma chi mi ha mandato, mi ha fatto conoscere colui su cui lo Spirito è disceso".
Battezzò, suo malgrado, il Signore, subendo del Cristo l'accettazione di morte in croce. Udì la voce del Padre che presentava Gesù al mondo "Figlio prediletto da ascoltare". E poté additare in Gesù:  "Colui che battezza nello Spirito", differentemente dal suo "battesimo nell'acqua".
Fin dal grembo della madre, aveva danzato per lui e il nome "Giovanni", postogli al momento della circoncisione, è "il dono di Dio" attestante il progetto di salvezza, tematico con  "Zaccaria" il nome del padre, significante "memoria di Dio" e della madre "Elisabetta" dichiarandone "la  compassione".
E la missione? "mandato da Dio" ambasciatore in suo nome e con stesse prerogative dell'inviante. Molti lo ritennero Messia. Luca, nel Vangelo, narrò le sue gesta in parallelo con quelle di Gesù: stessa preparazione "nel deserto" e modalità di annuncio del Regno con invito a conseguente conversione. Fu invocato "testimone a difesa" dal Cristo nel drammatico scontro con i Giudei accusatori, e riconosciuto dallo stesso Gesù: "l'Elia che deve venire", dando attuazione alla profezia di Malachia. Giovanni ricambiò con attestazioni di fede per "l'Agnello che toglie il peccato del mondo", e per "il vero Sposo di Israele, al qual non può togliere il sandalo", perché non di sua competenza. La sua fede in Gesù passò anche attraverso la crisi. Dalla prigione del Macheronte,  mandò suoi discepoli a Gesù a pretendere di rivelarsi il giudice da lui indicato "col ventilabro in mano per bruciare", con l'apocalittico giudizio, "la pula", cioè i peccatori. Gesù disattese all'ultimatum e rimandò il suo messaggero a più miti e misericordiose considerazioni. Tuonò Giovanni, con probità adamantina, contro Erode, per l'Erodiade cognata, e ci rimise la testa.
Da "Amico dello Sposo", del Cristo propiziò le nozze con l'Umanità.
A lui Gesù non risparmierà elogi: "Non è canna sbattuta dal vento, né esibizionista alla moda". E, non senza amarezza, Gesù, a modo di sentenza e di monito per i discepoli, ammise che "il più piccolo del suo Regno, sarà più grande di Giovanni". Paradosso che non premia il messaggero, piantato sulla riva del Giordano, indisponibile  al passaggio a sequela di Cristo.


Fra' Domenico Spatola

mercoledì 20 giugno 2018

Fra' Domenico Spatola: Mare Madre e Luna. Recensione di Fra' Giovanni Spagnolo

E’ con vero piacere che proviamo a recensire l’ennesima silloge poetica scaturita dal cuore vulcanico di fra Domenico Spatola, ormai noto a Palermo non solo per la facilità con la quale mette in versi i sentimenti più profondi, ma soprattutto per la sua ansia apostolica che lo spinge sempre all’annuncio della buona novella ai poveri attraverso le opere di carità, come testimonia la Missione San Francesco, divenuta negli anni il suo quartiere generale, a testimonianza di una Chiesa di periferia e in uscita.
Parafrasando l’antico adagio “de Maria numquam satis”, riferito alla Madre di Dio, fra Domenico nella sua Prefazione afferma: “Sulla ‘mamma’ mai si dice abbastanza. Ogni discorso su di lei tende a riappropriarsi dei balbettii d’infanzia rimasti in memoria, intingendo la penna nell’inchiostro del cuore” (p. 5).
E alla stessa mamma il poeta-figlio osa chiedere “gamma / più ampia di parole” per poter cantare, nel giorno della Festa della mamma, “Di tua bellezza mai sbiadita” (p. 9; vedi anche pp. 12, 25, 39, 43, 56), motivo che ricorre, quasi come libido evocativa, in infinità di versi.
Basta qui, infatti, ricordare alcuni titoli: Di te che sei…madre (p. 17), Ricordi (p. 18), Eri felice, o madre (p. 22), Continui, o madre, a parlare al mio cuore (p. 32), Alla madre (p. 39), Madre (p. 43), Onda di madre (p. 46), Ricordando, o madre (pp. 56-57).
In altri versi Nostalgia di madre prevale, riprendendo ora “balbettii audaci / di “Mamma” / assonanza che infiamma / ora età mia matura” (p. 249) o la risposta a paura ancestrale di bambino per cui “per lui, nel buio, ti fai lanterna” (p. 30) o in quel ritornare, avvolto nelle coperte rimboccate d’amore materno, in stato fetale di liquido amniotico: “mi immergevo felice in tuo grembo” (p. 31).
E che dire del Risveglio con il bacio di mamma (pp. 20-21) che si vena d’incanto, quasi a siglare Tacito accordo (p. 37) in alleanza di vita a progettare futuro? E, forse, qualcuno qui richiamerà Freud, con il suo complesso di Edipo, quando leggerà Amplesso (p. 44) o Tuo odore annusavo (p. 50) a riprova dell’ attrazione e attaccamento che ogni bambino, verso i due o tre anni, prova verso la mamma e di cui il nostro Poeta non fa mistero anche in Appiglio (p. 47).
Non mancano, come sempre nella poesia di fra Domenico Spatola, il ricordo, il pensiero e l’amorosa preghiera, in linea con la sua formazione francescana a Maria, icone di maternità, come possiamo leggere in: Alla Vergine Madre (p. 34), Alla Vergine Maria (p. 48), Alla Madre di Dio (p. 62) e Madre alle nozze di Cana (p. 65), culmine e cifra dell’attenzione del cuore di mamma verso i bisogni degli uomini, fosse pure per il “superfluo necessario” (Martini) come il vino, simbolo di gioia.
Leggendo questi versi, a partire soprattutto dalle tre parole del titolo, Madre Mare e Luna che richiamano radici semiotiche comuni, il pensiero corre inesorabilmente all’archetipo della Devouring Mother (la madre divoratrice), evocato da Carl Gustav Jung o a quello più comune dell’eterno femminino, in cifra mistica.
Fra Domenico, del resto, aveva in qualche modo suggerito questo collegamento nella poesia iniziale della raccolta La luna, la madre e il mare, quando afferma: “siete per dare / alla vita del rito / l’eterno ritorno da mito / in grembo vivace / con vita procace” (p. 6) ma poco prima anche in Prefazione: “Speculari le analogie con la Luna e col Mare, per legami accomunanti acque amniotiche, primogenie in vita di mare le cui onde con le maree la luna governa” (p. 5).
E questa potrebbe essere la chiave di lettura della seconda parte di questa silloge di fra Domenico, Alla luna e al mare, con le 23 poesie che la compongono (pp. 69-103).
Ma preferiamo condividere questo pensiero di Enzo Bianchi: “Prima di nascere siamo stati abbracciati per nove mesi nel grembo materno, poi per mesi abbracciati alla madre per nutrirci al suo seno: questa è stata la nostra prima conversazione senza parole, e per questo desideriamo sempre essere abbracciati, anche in silenzio!”.
Parole di un monaco queste, che non facciamo fatica a proporre come chiave di lettura dell’appassionato poetare di fra Domenico Spatola, nella declinazione delle infinite sfumature della tenerezza del cuore materno proiettate, in dimensioni di eternità, che il mare profondo e la chiarità della luna significano.

Fra' Giovanni Spagnolo

venerdì 15 giugno 2018

Fra' Domenico Spatola: Palermo in A


Col Frosinone                        
buone nuove:
al Barbera al fin gliele abbiam suonate,
due reti insaccate
con grande dignità.
Il gioco è scoperto:            
il Palermo a viso aperto
vuole a tutti i costi serie A
infatti son là
le nostre postazioni   
combattere solo con i campioni
e non con ragazzini 
che paion burattini.
Idea e vero gioco
si trova fioco
quando non c'è passione
ma il Palermo e i suoi fans  
ne hanno a profusione.       
Resta l'ultimo traguardo      
ma già nostro sguardo        
è a Frosinone                         
che per noi del Palermo
sarà liberazione.

Fra' Domenico Spatola 

Fra' Domenico Spatola: Il regno come senape.


Il chicco nell'orto
presto risorto
matura e poi cresce
è parola, Signore, che esce
vitale
a sconfiggere il male
e a te non ritorna
senza suo frutto.
È tutto
il messaggio
del seme che a raggio
non teme fatica
di nutrire con sua vita
gli uccelli del cielo
e protezione dal gelo
e con cibo a misura
di loro statura.
È la Parola
che ancora fa scuola
dei sentimenti del cuore
ove nasce l'amore.

Fra' Domenico Spatola 


Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della undicesima Domenica del tempo ordinario (anno B): Marco 4, 26-34

Diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; 27dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. 28Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; 29e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Parabola del granello di senape
30Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; 32ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell'orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Gesù parla con parabole
33Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.


Il "regno di Dio" e la sua attuazione è tema del Vangelo. Ne si indica la realizzazione attraverso la condivisione dei beni, il servizio d'amore e la scelta degli ultimi.
La parabola, come specchio, ne riflette le dinamiche. Colti i modelli, spesso dall'ambito contadino, individuano nel seme il prototipo di vita destinata a maturazione. Gesù aveva già parlato del seme che, caduto nella terra buona, si riproduce in maniera progressiva ed esponenziale in termini di qualità e di abbondanza. Autonoma ne è la crescita a maturazione, sì che il seminatore può "dormire o vegliare, il seme nasce, cresce e matura". Al tempo della mietitura sarà gioia per l'agricoltore.
A seguire, con un'altra parabola, Gesù si interroga sull'affermarsi e la generosità del "Regno", dalle minime origini assimilabili a quelle del granello di senape. Modello azzeccato, dal più piccolo al più grande tra gli ortaggi, in altezza raggiunge i tre metri in alcune regioni (Galilea). Come esito, è destinato a nutrire gli uccelli che vi accorrono, ghiotti dei suoi semi. La parabola polemizza con Ezechiele che, cinque secoli prima, aveva paragonato "il regno d'Israele" al "cedro del Libano". Enorme per grandezza e dominante con i poderosi rami, come Israele, a stessa vocazione di sottomissione dei popoli. Gli uccelli, evocati da Gesù, sono i pagani, che il suo Regno non domina, ma accoglie e nutre.

Fra' Domenico Spatola


mercoledì 13 giugno 2018

Fra' Domenico Spatola: Sant'Antonio da Padova


Oggi siamo tanti  
a festeggiar tra i santi
Antonio ricordato      
per i miracoli che ha realizzato                           
in vita e dopo morto.
La terra in cui era sorto    
era Lisbona
dov'era gente buona
come Antonio che, ancor figlio,
volle seguir consiglio  
del Signore che l'amò tanto                                        
da volerlo santo.                   
Studiò da intelligente   
e insegnò alla gente.    
Un giorno, da prete,
tentó altre mete:
era un mattino     
quando da vicino        
di cinque francescani
vide i corpi non sani
perché uccisi nel Marocco 
dal pascià che, da sciocco,
levò a loro la vita terrena      
ma diede la suprema.        
Venne in Italia       
non per passatempo o mangiar calia,                 
voleva servire il Signore
come Francisco a tutte l'ore
Fu mandato tra i veneziani
per lavorar con mani  
ma non era sua vocazione 
essendo bravo in predicazione. 
Si mise a girare per il mondo
parlando pure al tonno    
e ai pesci e al somaro,         
rimproverò l'avaro               
Tutti furon consolati          
dai portenti che avea perorati                   
e quando venne la sua morte
vennero pure dalla corte    
a salutare Antonino   
che a tutti continua a dare il vino  
di gioia                                   
che vince noia                     
della vita                              
che il Santo assicura infinita.

Fra' Domenico Spatola


Fra' Domenico Spatola: Sant'Antuninu di Padova


Oggi sunnu  tanti      
chi festeggiamu tra i santi 
sant'Antoniu cilibratu 
pi miraculi che ha realizzato 
mentre era in vita e dopo chi morsi.
La terra in cui sorsi    
si chiama Lisbona
unni  c'è gente bona
comu lu Santu chi picciriddu
vosi seguire u consigghiu  
di lu Signuri chi amò tantu   
ca si volli fari puru santu.                                      
Studió picchì intelligenti      
e si misi a 'nsignari alli genti.                                       
Un giornu ch'era già parrinu 
vitti ri vicinu                            
cincu frati franciscani già  morti                                       
chi aviano fattu li scorti       
pi lu celu murennu in Maroccu                                 
ammazzati du pascià chi fu loccu,                                      
picchi ci livò a vita terrena 
ma ci retti chidda suprema.    
Volli allura viniri in Italia   
non pi passatempo o manciarisi a calia,                 
vuleva sulu sirviri u Signuri    
comu Franciscu a tutti l'uri.
Fu mannato na' terra di veneziani                                
pi travagghiari cu li mani     
ma nun era a so vocazioni  
picchi bravu na' predicazioni.                          
Si misi a girari lu munnu  
pridicannu puru a lu tunnu   
e ai pisci e puru a lu sceccu,                                    
guarennu l'orbu e puru lu checcu.                                   
Tutti furunu cunsulati          
di portenti chi avia accansati                                
e quanti vinni a so morti       
vinniru puru di li corti  
a salutari lu Santu Antuninu 
chi a tutti duna u so vinu di gioia                                   
chi vinci la noia                     
di la vita                                   
chi lu Santu assicura infinita.

Fra' Domenico Spatola 
Nella foto: dipinto del Guercino 

venerdì 8 giugno 2018

Fra' Domenico Spatola: Sacro Cuore.


Cuore,
che amore
a cuore
ardore palpiti.
Cuore squarciato
da furor dell'odio
di chi su podio
ti volle in croce
e tu con voce
amica
d'amor a sussurrar fatica.
Signore Dio,
in calice mio
raccolgo stille
di sangue tuo santo
e cento e mille
a vanto
consumo rimpianto
di tuo Cuore
offerto a compassione
dalla croce
sì che in te il mio
trovi sua foce.

Fra' Domenico Spatola

Fra' Domenico Spatola: Liberasti, Signore.

Eri ostaggio di avversari,
o Gesù, che divari
sentieri correvi
e ai tuoi tutto dicevi
a coraggio
il nuovo messaggio.
Proponevi libere intese,
condivise chiedevi le spese
con te contro il male.
Ma sentenza letale
di "fautore di morte"
degli Scribi la corte
condannava sol te,
che ognuno liberavi dal sé
più odioso,
ti dicevano "il tenebroso,
e che servizio facevi in più
per il Satana che è Belzebù".
Ma a creanza
fu tua risposta a baldanza:
"Ogni regno che in sé è diviso
da qualcun  altro è conquiso.
Or se Satana scaccia se stesso,
non vuol dire solo che è fesso,
ma, fatto un debito conto,
il suo regno è al tramonto!
L'uomo forte vorrà reagire,
ma saran corte
sue speranze a venire,
Il peccato di colui che non crede
è di chi guardando non vede".
Sua famiglia mise in atto il colpaccio:
arrestarlo e legarlo col laccio.
Ma Gesù volgendo lo sguardo
additò il nuovo traguardo:
"sol chi compie il volere del Padre
a lui viene fratello e anche madre".
Fra' Domenico Spatola

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della decima domenica del Tempo Ordinario: Marco 3, 20-35

20 Entrò in una casa e si radunò di nuovo attorno a lui molta folla, al punto che non potevano neppure prendere cibo. 21 Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: «È fuori di sé».
22 Ma gli scribi, che erano discesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del principe dei demòni». 23 Ma egli, chiamatili, diceva loro in parabole: «Come può satana scacciare satana? 24 Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non può reggersi; 25 se una casa è divisa in se stessa, quella casa non può reggersi. 26 Alla stessa maniera, se satana si ribella contro se stesso ed è diviso, non può resistere, ma sta per finire. 27 Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire le sue cose se prima non avrà legato l'uomo forte; allora ne saccheggerà la casa. 28 In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno; 29 ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna». 30 Poiché dicevano: «È posseduto da uno spirito immondo».
31 Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. 32 Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: «Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano». 33 Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». 34 Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! 35 Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre».

Commento al Vangelo 
La "Casa" è la sua comunità.  Ha costituito "il nuovo Israele" con "i Dodici, chiamati perché stessero con lui e per mandarli a evangelizzare". Il fatto allarmò l'istituzione religiosa, e gli scribi, maestri ufficiali, vennero da Gerusalemne per condannare Gesù "eretico" e "fautore di scisma". Non sono leali. Sfuggono al confronto con lui e, per distruggerlo adottano l'arma vile della diffamazione. Convincono la gente che egli è posseduto da Satana, e perciò le sue guarigioni sono di magia, illecita perché a servizio di Belzebùl, il satana principe dei demoni.  Il nome della divinità fenicia è leggermente storpiato da "Beelzebùb", "il Signore delle mosche" a "Beelzebùl", colui che le attira causando infezioni. 
Gesù oppone il suo ragionamento: "scacciare satana con l' aiuto di satana" significa il disfacimento del regno del male, perché diviso. La cecità degli Scribi rende più severa la sentenza di Gesù "per chi pecca contro lo Spirito" piegando al proprio interesse la verità, che Gesù identifica con il bene verso gli altri.  La "famiglia naturale" di Gesù interviene per bloccare l'opera di Gesù e, dichiaratolo "pazzo", prova a incarcerarlo. Ma già una "nuova" famiglia si è  costituita attorno a lui, su altri vincoli, sono: "fratelli, sorelle e madre, perché compiono il volere del Padre", che in lui si manifesta.

Fra' Domenico Spatola



mercoledì 6 giugno 2018

Fra' Domenico Spatola: Venezia-Palermo

Nostro errore
fu il rigore
che Coronado
aveva tirato
troppo alto,
vietando il salto
nella serie
che in ferie
non intende ancor mandare
lasciandoci penare.
A gennaio sembrava fatta:

e l'opinione era compatta .
Mentre siamo qua
a patire in verità
per la squadra
che mai ladra
d'altrui goal
e resi polli
anzi derelitti
i nostri parvero sconfitti.
Non questa sera
sarà una chimera
ma certezza
che monnezza
farem degli avversari.
I nostri qual corsari
opporranno i lor divieti
affinché non entrin le reti
e nostra porta
renderà ancor più corta
loro azione,
mentre nostre palle a soluzione
e i giocatori più spavaldi
saranno gli araldi
di una gran vittoria
che farà storia:
con il Venezia
nuova sia spezia
e il Palermo
sarà fermo
che la serie A
questa sera ipotecherà.
A Nestaroski,
e Colorado e a Ciaicoski
a Lagumina, il beniamino,
diciamo: fate per benino
ogni cosa
e saranno color rosa
i vostri nomi nei nostri cuori
per noi siete i migliori.
E Pomini in grinta fresca

sarà saracinesca.
Egli fermi l'avversario
per l'inverso anniversario

quando scese in serie B:
ora alla A il Palermo ha detto: "Sì!".


Fra' Domenico Spatola.