sabato 30 luglio 2022

Fra' Domenico Spatola: In Dio il tesoro

Gesù, eredità volevi offrire:
Parola che a me facevi udire.
Era mia vita bigia
di cupidigia 
come del ricco
che di beni avea il picco 
escogitando altri raccolti
per granai che ne avea già molti.
Disse a sé: "Non darti pena!
Ormai potrò godere con più lena!".
E di piacere ne sognava molto,
quando Dio a lui disse: "Sei uno stolto!
Questa notte per te sarà finita,
dimmi: a chi apparterrà la tua vita?".
Così, senza decoro 
muore chi in Dio non pone il suo tesoro!

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della XVIII domenica del tempo ordinario (anno C): Luca 12, 13-21

13 Uno della folla gli disse: «Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità». 14 Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15 E disse loro: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni». 16 Disse poi una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. 17 Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? 18 E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19 Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. 20 Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? 21 Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio».

Mentre Gesù parlava del Padre, invogliando ad avere fiducia in lui che, più di tutti, si prende cura dei figli, venne interrotto da un tale che gli chiese l'arbitraggio per la spartizione di una eredità con il fratello. Gesù si trasse subito fuori, perché la sua missione era di convincere che la ricchezza non è garanzia di lunga vita, perché la morte è un fattore ineludibile. L'invito era dunque di non attaccare il cuore ai beni materiali, ma di condividerli come miglior investimento. Da qui nacque la parabola del ricco dai granai stracolmi, e con l'intenzione non celata di costruire altri magazzini, per garantirsi il futuro. Nei suoi calcoli la vita infatti dipendeva da ciò che si possiede e non da quello che si sa donare. "Stolto!" Come "pazzo" gli disse. "Questa notte ti sarà chiesta la vita, e tutto quello che hai raccolto di chi sarà?". Non aveva considerato il fattore "morte", che avrebbe stravolto i suoi progetti e vanificato i suoi sforzi. "Quello che hai raccolto, di chi sarà?".

Fra' Domenico Spatola 

venerdì 22 luglio 2022

Fra' Domenico Spatola: "Padre nostro" m'insegnasti a pregare

Signore, stavi a pregare,
e ti volevo imitare.
Tu, con breve lezione,
m'insegnasti orazione.
Non sprecando parole
come in altrui scuole,
e dicesti che il "Padre"
ha il cuore di Madre.
A visibile segno 
sia l'avvento del Regno.
e ogni dì, da sua mano,
mi dà pan quotidiano.
e al fratello il perdono
ch'è paterno suo dono.
Condonar debitore
come lui salvatore,
e a fuggir tentazione, 
chiudesti orazione.
Ma di tanta costanza
sia nutrita speranza 
perché il Padre, tra miei sogni,
vuol che lo Spirito agogni!

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della XVII domenica del tempo ordinario (anno C): Luca 11, 1-13

1
 Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». 2 Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
Padre, sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
3 dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
4 e perdonaci i nostri peccati,
perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore,
e non ci indurre in tentazione».
5 Poi aggiunse: «Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte a dirgli: Amico, prestami tre pani, 6 perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti; 7 e se quegli dall'interno gli risponde: Non m'importunare, la porta è già chiusa e i miei bambini sono a letto con me, non posso alzarmi per darteli; 8 vi dico che, se anche non si alzerà a darglieli per amicizia, si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono almeno per la sua insistenza.
9 Ebbene io vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. 10 Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. 11 Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? 12 O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? 13 Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!».

Tre le versioni che dall'antichità possediamo del "Padre nostro", in modalità lievemente differenti e mai contraddittorie. Sono doni rispettivamente di Matteo, di Luca e della "Didakè", il primo Catechismo della Chiesa. Il lascito più antico è certamente quello di Luca, perché il più sobrio. Il "Padre nostro" fu dettato da Gesù ai discepoli, che gli chiedevano: "Signore, insegnaci a pregare!". Avevano voglia di imparare a pregare ma il modello intendevano dettarlo essi stessi: "come Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli". Era infatti caratteristica dell'insegnamento di Gesù non dare mai regole dall'esterno ai suoi, perché dall'intimo di ognuno doveva maturare il suo rapporto con Dio. Li invitò perciò a rivolgersi a Dio, chiamandolo "Padre". L'appellativo era più tenero: "Abbà", il nostro "papà". Poi aggiunse di non sprecare parole superflue, come facevano i farisei, i discepoli di Giovanni e gli stessi pagani, ritenendo di venire esauditi a furia di parole. Fondamentale la prima richiesta, per la comprensione di Dio: "si santifichi il tuo Nome", ossia  del misericordioso anche con i malvagi. La richiesta dell'avvento del Regno, pur già presente in lui, fu doma conseguente perché il suo amore si possa estendere con la potenza dello Spirito Santo. Il Pane quotidiano è richiesto, non per soddisfare le esigenze alimentari, ma come Parola ed Eucaristia. Per il resto, non bisogna darsi pensiero: il Padre conosce i bisogni e li previene. Della cancellazione dei debiti altrui anche economici è fatto dovere ai discepoli, perché tra fratelli nessuno sia debitore. Vicinanza di Dio sia richiesta nella persecuzione nella prova né mai venga meno la fiducia  di ottenere e di trovare. Sarà lo Spirito Santo in definitiva il dono per attuare l'amore, e realizzare il progetto del Padre.

Fra' Domenico Spatola

martedì 19 luglio 2022

Fra' Domenico Spatola: Trentesimo anniversario della strage di via d'Amelio

Son trent'anni e la ferita è aperta. S'indaga sui moventi già noti, allo stesso Paolo Borsellino, che piangeva la morte annunciata dei cinque ragazzi, suoi angeli custodi. Tutti morti per lui. Tutti morti con lui. Quella domenica, afosa come qualunque altra di luglio, sembrava dovesse passare anonima. Il "sembrava" però si riferisce soltanto a noi, non a chi preparò e maturava meticolosamente il delitto, imbottendo la 126 rossa di tritolo, per incendiare l'inferno. Fu sufficiente infatti, come in un piano di guerra, a sventrare palazzi. Vivevo la mia giornata domenicale nei riti e con la celebrazione battesimale di cinque bambini, notai dopo la circostanza del numero: quanti gli angeli di Borsellino. Alle 17,00 dalla finestra del convento vidi lontana una densa colonna di fumo, pensai ad un incendio, ma fu il cronista in radio che raccontava il misfatto. "Morte annunciata" dallo stesso protagonista, vittima della terribile storia. Dal 23 maggio era rimasto visibilmente scosso il magistrato Borsellino, da quando cioè gli avevano ucciso il miglior confidente e amico, Giovanni Falcone con la moglie e la scorta. Non badarono infatti a spese i criminali, intenzionati a tutto. E saltò l'autostrada. Palermo fu in lutto... e il Parlamento, a camere riunite, si affrettò a darci il presidente Oscar Luigi Scalfaro. Nella ricorrenza del primo mese toccò all'amico Paolo, nell'atrio della Biblioteca comunale, tessere l'elogio di Giovanni. Ma in che clima? La tensione s'affettava e l'atmosfera era greve, come se si aspettasse qualcosa di più tremendo. Tale il sentimento di Paolo, perché il traditore, il "Giuda", come lo chiamò, era a piede libero. Non proferì il nome e, se l'ha scritto, "l'agenda rossa", sua particolare confidente, non si trovò. Né sapremo perciò a chi pensasse. Porterà nella tomba il segreto che crogiola tuttora le Cancellerie giudiziarie di mezzo Mondo. Paolo sapeva, soprattutto dopo la sorte capitata a Giovanni, che presto sarebbe toccato a lui, piangendo dei ragazzi della scorta, anzitempo il destino. Ai funerali nella cattedrale di Palermo presenziarono Scalfaro e Giuliano Amato, allora presidente del Consiglio, oltre l'immancabile cardinale Pappalardo, ormai avvezzo a esequie di servitori dello Stato. La folla era irrequieta e lungo tutto il tragitto dell'accompagnamento dei feretri il dolore era gridato a rabbia. Fui presente alla Messa e concelebrai col mio Vescovo. Or trent'anni e si ritorna a commemorare. Necessario tuttavia far memoria, per seminare speranza, di quella libertà che i martiri a noi hanno dato con la vita.  "Ma perché - mi domando - è di lutto ogni nostro ricordo?". Sicilia, Campania, Calabria, non a caso "Magna Grecia" che della originale madre delle tragedie attua i racconti. Stesso l'esito, speculare nell'arte e fatale nella vita, dove a mito l'eterno ritorno si narra a vicenda, in lamento corale e impotente, per il baro destino, con prepotente e immutato dolore.

Fra' Domenico Spatola


sabato 16 luglio 2022

Fra' Domenico Spatola: Marta, tu...

Marta, la tua premura 
non rendeva più sicura
la tua vita:
la ritenevi ardita
per le troppe cose, 
ma Gesù cercava spose,
e Maria si candidava
ascoltando lui che parlava.
Ti pareva inutile suo gesto,
perciò fu lesto 
tuo agire:  
perciò  più che udire 
tu volevi fare
importante per te era operare.
Ma il Maestro ti fè scuola,
dicendo "vero cibo" sua Parola.
Maria l'aveva fatto,
restò a te prenderne atto.

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della XVI domenica del tempo ordinario (anno C): Luca 10, 38-42

 
38 Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. 39 Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; 40 Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41 Ma Gesù le rispose: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, 42 ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta».

Gesù, in cammino verso Gerusalemme, entrò nel villaggio senza nome, perché simbolo della tradizione recalcitrante alle novità e ai cambiamenti. Marta, da "padrona" come si tradurrebbe il suo nome, credette di dare ospitalità a Gesù, ma fu la sorella Maria che, seduta ai piedi di lui come discepola con il maestro,  si nutriva della sua Parola. Marta non sopportò che la sorella rompesse con il ruolo che la tradizione affidava a lei e a tutte le donne: il servizio. Mentre l'ascolto era appannaggio esclusivo dei discepoli di genere maschile. Si fece avanti dunque per difendere la tradizione e, con fare imperioso ma anche ingiurioso, accusò Gesù di causare tale novità e, senza mezzi termini, gli ingiunse di ordinare alla sorella di ricomporsi nel ruolo del servizio che da donna le compete. Marta non comprendeva che quel che essa voleva fare a Gesù, questi già lo compiva  nutrendo Maria con la sua Parola. E questa rivendicava la libertà che ne derivava. La "parte migliore", l'aveva meritata e non era più disponibile a farsela levare.

Fra' Domenico Spatola 

giovedì 14 luglio 2022

Fra' Domenico Spatola: Santa Rosalia e "u fistinu" del 15 luglio

Si poteva non andare in chiesa, ma "l'acchianata" al Monte Pellegrino era sacra e doverosa, in ogni famiglia, nella notte dal 3 al 4 settembre. Ma era il "festino" del 15 luglio e rimane tuttora l'appuntamento dei Palermitani con la loro Santuzza. Il corteo si svolgeva (uso il verbo al passato per i ricordi da ragazzo) lungo il "Cassaro", la via principale, oggi Vittorio Emanuele II, fino a intersecare con piazzetta Vigliena, i quattro Canti, splendido esempio del barocco secentesco, la via Maqueda, diventata oggi strada del bivacco e dei bibitari, per il beneficio dei turisti e buontemponi. Si celebravano i primi Vespri la sera del 14 luglio nella cattedrale dell'arcivescovo Gualtiero Offamilio, restituita al culto cristiano nel 1084 dai fratelli Ruggero, normanni, dopo essere stata per tre secoli moschea per adorare  Allah e ascoltare il suo profeta Maometto.  Dal 15 luglio 1624, custodisce le spoglie mortali di Rosalia, figlia di Sinibaldo, che fu alla corte della regina Margherita al tempo dei Normanni. Questa versione è accreditata, ma non è la sola. C'è chi la dice "monaca", con la regola di San Basilio, e amante della solitudine. Quando le venne violata alla Quisquina, sua prima sede, si trasferì sull'impervio monte, "il Pellegrino" di Palermo, proprietà dello sceicco  musulmano che, avendo fatto il devoto viaggio alla Mecca, divenne sacro "Pellegrino", e il suo titolo lo ereditò la montagna "il più bel promontorio della Terra", come lo definì non senza qualche esagerazione Goethe, venuto da turista. Poco o quasi nulla si sapeva della Santa, ma, scoppiata la peste, portata dall' infame galeone carico di frumento infestato dai topi, trovò terreno fertile nei maleodoranti tuguri della Kalsa e nelle fatiscenti abitazioni del porto. Si propagò con virulenza, da non esserci strada che non lamentasse i suoi morti. Palermo, come la Milano di quattro anni dopo (1628) descritta dal Manzoni ne "I promessi sposi". Il rimedio venne dall'Alto: Rosalia, mandata da Dio a liberare Palermo dal flagello. Si parlò di un cacciatore che nel sonno la vide indicargli, la grotta del Pellegrino, e il luogo dove riposavano i suoi resti. Sacre reliquie, portate in processione, irradiavano guarigioni. Prodigio richiesto ogni anno, per le altre pesti ancora che ci affliggono
La mafia, Hydra dalle sette teste, rinasce dalle sue apparenti sconfitte, ringalluzzita. Da due anni il Covid non dà tregua. E il pizzo? Jattura che deprime l'economia e il lavoro ai giovani e agli esercenti. E il traffico? La mala sorte di ponte Corleone (nome che ritorna a oltraggio!) e del breve tratto di autostrada (?) chiuso a tappo come un trombo nelle vene, che provocano lunghi assembramenti di macchine sotto il sole di luglio. E che dire del tram poco utilizzato, ma che con la sua esecuzione ha divorato pezzi di strade storiche e importanti della vita palermitana? L'immondizia non è la "cenerentola" delle nostre lamentele. Al passaggio la Santa, in certe strade potrebbe turarsi il naso. Strade non soltanto sporche ma groviere per buche che fanno sbullonare le auto con grande soddisfazione dei carrozzieri. Vie tutte essenziali perché senza alternative, e, bloccata una strada, si intasano le altre. Sulla sporcizia un rimprovero agli incivili che si credono furbi ostruendo le strade con i rifiuti che gli operatori ecologici ordinari non tolgono, e i cumuli di immondizia precarizzano la viabilità. I tanto invocati turisti sghignazzano al passaggio e fotografano a loro repertorio i nostri cimeli.
Stasera muoverà il carro,  quello del ricordo e che vuole attestare della Santa la vicinanza alla sua città. Ai quattro canti, ormai da prassi, il sindaco Lagalla, per la prima volta, griderà a mezzanotte: "Viva Palermo e santa Rosalia!".  Mi chiedevo perché prima Palermo? Ho capito che la Santa vuole più vivibile la città dove abitare. Come darle torto? Alla Marina ci saranno gli attesi fuochi d'artificio. Pittoresca la sequenza di bancarelle con babbaluci all'aglio e prezzemolo, preferiti a quelli al sugo; melloni rossi fortemente "agghiacciati" o "atturrunati" come si dice in gergo; gelati e spongati ai tavolini da Ilardo, o sulle terrazze delle "mura delle cattive", le vedove di allora. Su tutto mi attraeva da bambino, perché me lo portavo in tasca, il "gelato di campagna", in bellavista, dolcissimo e colorato.

Fra' Domenico Spatola

sabato 9 luglio 2022

Fra' Domenico Spatola: Gesù samaritano

Da Samaritano 
Gesù, tua mano
desti
perché, anche se mesti,
nessun volea osare.
Ero da evitare.
da chi al culto votato,
né fui aiutato,
perché davo impurità.
Sol tu, Gesù, con carità 
mi prendesti in spalle,
e per monti e valle
all'Oste mi portasti
E quando ritornasti
desti il resto.
Mi avevan fatto pesto
ma risanato
dallo Spirito donato
da te alla tua Chiesa,
con tuoi segni di ripresa.

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al vangelo della XV domenica del tempo ordinario (anno C): Luca 10, 25-37

25 Ed ecco, un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova, dicendo: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?» 26 Gesù gli disse: «Nella legge che cosa sta scritto? Come leggi?» 27 Egli rispose: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso». 28 Gesù gli disse: «Hai risposto esattamente; fa' questo, e vivrai». 29 Ma egli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?» 30 Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s'imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31 Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada, ma quando lo vide, passò oltre dal lato opposto. 32 Così pure un Levita, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato opposto. 33 Ma un Samaritano, che era in viaggio, giunse presso di lui e, vedendolo, ne ebbe pietà; 34 avvicinatosi, fasciò le sue piaghe versandovi sopra olio e vino, poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui. 35 Il giorno dopo, presi due denari, li diede all'oste e gli disse: "Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno". 36 Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s'imbatté nei ladroni?» 37 Quegli rispose: «Colui che gli usò misericordia». Gesù gli disse: «Va', e fa' anche tu la stessa cosa».

Uno Scriba, maestro della Legge, vuole da Gesù notizia sul comandamento più grande? Era moda delle scuole rabbiniche tale argomento. I precetti/divieti erano infatti 613. Dal "Credo" di Israele, lo "Shemà", il rabbino declinò quello che egli pensava il massimo: "Ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore", ebbe l'accortezza di aggiungervi come secondo: "Ama il prossimo tuo come te stesso". Ma volle tentare Gesù sul concetto di "prossimo", che per lui era il connazionale, mentre "lontani" i pagani. Gesù gli rispose con una parabola. Quella del malcapitato e derubato dai briganti. Chi passa per quella strada sono due figure che la religione rendeva impotenti ad aiutarlo. Il sacerdote e il levita, in servizio del tempio obbligati dalla legge a non contrarre impurità. Solo uno straniero, samaritano e lontano dagli obblighi di legge, preso da compassione si prese cura di lui. La domanda la pose Gesù: "Chi si è fatto prossimo?". La risposta era scontata: "colui che si era preso cura". "Vai e fai anche tu lo stesso!". Fu il commento che ribaltò il concetto di "prossimo".

Fra' Domenico Spatola

venerdì 1 luglio 2022

Fra' Domenico Spatola: Nel suo cuore.

Settantadue i nuovi seguaci,
audaci:
a due a due
messaggeri con credenziali sue.
La messe è molta
ma d'operai non folta
la presenza,
perciò non si potea far senza
di pregare il padrone
perché uno squadrone
mandi a mietitura.
A finitura,
dava consigli 
come fa il padre coi figli:
star tra i lupi,
da agnelli tra i dirupi,
senza portar borsa,
né altra risorsa,
e, attraverso la contrada,
non salutar per strada.
Ma a qualunque casa: "pace!".
Se il figlio ne è capace,
su lui scenderà,
se no, vi tornerà. 
Mangiate ciò che hanno,
per non far danno
all'ospitalità. 
In ogni città
ove passate,
da chi v'accoglie, vi restate.
A tutti dite vangelo mio:
"è qui il Regno di Dio".
Se invece, per demenza,
non darànno l'accoglienza,
scuotete anche la sabbia
perché, con somma rabbia
per quel comportamento,
peggior di Sodoma sarà il trattamento".
Tornarono gioiosi
ché i démoni morosi,
cacciati con furore
dal Cielo ov'è soltanto amore.
A lor consolazione,
sua felicitazione:
"I lor nomi, scritti in cuore
di Dio, ch'è solo amore!".

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al vangelo della XIV domenica de tempo ordinario (anno C): Luca 10, 1-12.17-20

1 Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2 Diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. 3 Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4 non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. 5 In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. 6 Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7 Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa. 8 Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, 9 curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio. 10 Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite: 11 Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino. 12 Io vi dico che in quel giorno Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città.

17 I settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». 18 Egli disse: «Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore. 19 Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare. 20 Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli».

Dopo l'insuccesso della predicazione dei Dodici, Gesù chiamò nuovi discepoli a seguirlo: erano Samaritani. Settantadue, quante si ritenevano le Nazioni pagane. La missione con loro si qualificò "ad gentes", universale. Li inviò "a due a due", testimoni dello Spirito, e la risposta al Vangelo, con loro sarà abbondantissima, da far notare la pochezza di operai. Andava dunque pregato il Padrone della messe, per l'urgenza della missione. Avvisi sul comportamento subito chiariti: "vi mando come agnelli in mezzo ai lupi". La società, infatti minacciata nel potere e nell'ansia di possesso, avrebbe reagito violentemente. Niente paura! Lo Spirito Santo li avrebbe difesi, bisognava solo fidarsi di Dio, perciò niente borsa, né bisaccia. Vitto e alloggio garantiti dal Padre. Liberatoria la possibilità  di entrare in qualunque casa, senza divieti per quella dei pagani e "shalòm" sarà la pace da loro augurata a tutti i figli della pace. Le lungaggini nei saluti per strada sottrarrebbero tempo alla evangelizzazione. Altro muro da abbattere: la purità dei cibi "impuri". Tassativo: "rimanete mangiando e bevendo di quello che hanno". La cura dei malati avrebbe annunciato presente il Regno di Dio.  Tornarono entusiasti per avere liberato i refrattari alla buona Notizia. Non vi erano riusciti i Dodici, perché annunciavano un Messia bellicoso ed esclusivo di Israele. Con l'annunciare l'amore del Padre, i Settantadue avevano tolto al Satana accusatore, di fare lo spione con Dio, perché quel ruolo non esisteva. Gesù affermò di "averlo visto cadere dal cielo come folgore".

Fra' Domenico Spatola