venerdì 24 novembre 2017

Fra' Domenico Spatola: A sera di quel giorno

Quel giorno ti presenterai a me
qual Re,
e chiederai a sera di mia vita
dov'ero quando ardita
era tua fame
e mia appartenenza a tuo reame.
Hai avuto sete ed eri ignudo
mentre io troppo vestito ancora sudo.
Eri carcerato
o ammalato
e chiederai a me perché
estraniato
a tuo dolore.
Eri infatti tu, Signore,
che non vedevo,
perché con altra idea non conoscevo
tua logica d'amare
e navigavo in altro mare.
Ora comprendo tuo accorato appello:
mi mandi ancora l'ammalato e il poverello
e chiedi a me di porre attenzione
per non sciupare l'ultima occasione:
quella della sera del tuo arrivo
e rimpianto non sarà corrivo.

Fra' Domenico Spatola
Nella foto: Giotto - Il giudizio universale

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della XXXIV Domenica del tempo ordinario: Matteo 25, 31-46

Il Giudizio finale. Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi». 37Allora i giusti gli risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?». 40E il re risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato». 44Anch'essi allora risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?». 45Allora egli risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me». 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Era nota, nei circoli culturali ebraici, la parabola che sintetizza il giudizio di Jahvè avverso tutti i popoli, mentre Israele, già salvato, è al suo fianco. Il parametro era costituito (secondo il "Talmud", autorevole interprete della Torah) dalla Legge sulla cui osservanza venivano esaminate le genti. Il discrimine era di rigore e senza appello. Dio, seduto in trono come un re, teneva sulle sue ginocchia il rotolo della Torah, per vagliare e premiare i giusti e castigare alla morte definitiva gli ingiusti. 
Gesù impose al racconto nuovo criterio di verifica: non la Legge di Mosè, conoscibile solo da Israele, ma l'amore compassionevole per i dolenti e gli ultimi della Terra. La coreografia spettacolare è da compimento della Storia, e il grande raduno muove a serietà di grandi rese, come la narrazione è nella dinamica del rendiconto. L'apertura è il solenne invito di Cristo a quanti, alla sua destra, di entrare nel Regno, per avere intercettato i bisogni degli affamati, assetati, nudi, ammalati o in carcere, e avervi sopperito. 
La loro meraviglia viene accresciuta dalla sorpresa di conoscere adesso che dietro ogni beneficato c'era Cristo stesso. Al negativo, viene riproposto stesso messaggio con il severo respingimento di quanti, avendo creduto di "servire" il Signore, mai si sono interessati del bene degli altri. 
La parabola non lascia alibi circa l'autentica relazione con Dio, mediata esclusivamente dall'amore per gli ultimi.

Fra' Domenico Spatola. 

venerdì 17 novembre 2017

17 novembre 2017: Morte di Totò Riina.

Ho appreso della sua morte. Sapevo. Non mi ha lasciato tuttavia indifferente né raggiante. Ho ricordato il giorno del suo arresto. Inevitabile, coincidendo con il dolore della mia vita: il 15 gennaio 1993 moriva mia madre. Ho ripensato le accuse sul suo conto, tante e da orrore, e le sentenze severe e pur sempre miti a confronto del suo trascorso: orrido per i tanti da lui uccisi e per lui. 
Ridda di sentimenti contrastanti in me e, suppongo, nei tanti viventi e contemporanei ai fatti. Ho tentato di mediare in me la riconciliazione con il dolore di quanti da lui uccisi, e ora nella pace. La sua morte è perciò diversa da quella da lui decretata per le vittime. La differenza la fanno l'amore, che le sue vittime - ne son convinto - avranno donato per lui, e il perdono già accordato a marcare distanza tra l'efferatezza disumana e la misericordia a risuonare stessa assicurazione di Gesù al ladrone croficisso: "Oggi sarai con me in Paradiso!"
A spezzare la catena d'odio e di vendetta. 

Fra' Domenico Spatola


Fra' Domenico Spatola: Donò suoi talenti

Dovendo mancar non poche ore
consegnò i suoi talenti il Signore.
Del primo servo i cinque capitali
tosto divennero investimenti surreali
con l'affido a lui di nuovi beni.
Lo stesso avvenne del secondo, i cui geni
raddoppiarono in quattro quei talenti
mentre il terzo perdenti
li ritenne da non rischiare
e nella buca andò ad affogare
il solo a lui rimasto,
temeva infatti il guasto
rapporto col padrone.
Non volle perciò correre apprensione
al suo ritorno gli restituì il talento
e, scontento,
l'accusò d'essere spietato
così che spaventato
non compromesso
voleva con se stesso.
Il re, che ai due virtuosi
serbato avea generosi
elogi e altro bene,
non si trattenne
contro il fannullone
che decretato avea da sé
stessa prigione
di chi libertà sacrifica a certezza
e solo nell'ignavia pone sicurezza.

Fra' Domenico Spatola

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della XXXIII Domenica del tempo ordinario: Matteo 25, 14-30

Parabola dei cinque talenti: Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito 16colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: «Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque». 21«Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone». 22Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: «Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due». 23«Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone». 24Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: «Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo». 26Il padrone gli rispose: «Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. 28Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti».  

Commento al Vangelo

Con un'altra parabola, rivolta ai suoi, Gesù raccontò il "Regno", svelandone dinamiche e potenzialità. 
L'azione prodigale del ricco signore è la stessa di Dio. La lunga sua assenza offre opportunità di agire con impegno e responsabilità: far fruttare i "talenti" dal valore da capogiro, uno solo era pari a trenta chili d'oro, equivalente alla paga di venti anni lavorativi. 
Ai tre vennero affidati, rispettivamente, cinque, due e un talento. 
Non si trattava di un prestito, ma dell'elargizione della quale il donatore, con magnanimità, si compiaceva a promuovere le capacità di ciascuno. 
I due, fruitori iniziali, si rivelarono all'altezza della consegna, raddoppiando il ricevuto. Il terzo, cui era stato dato un solo talento, fece dell'affido la lettura sbagliata. Ebbe il sospetto di un tranello del padrone, e lo accusò di spietatezza e avidità per volere "raccogliere dove non aveva seminato". Giustificava a se stesso pusillanimità, per avere sepolto il talento e poterlo restituire intatto e a riparo da rischi. Ritornato il Signore, i servi, felici e orgogliosi del raddoppiato capitale, furono gratificati con altri beni e con l'affido del governo delle città, mentre il pavido campione d'ignavia, avendo sciupato l'occasione della vita, approntava con l'insulto la giustificazione del fallimento. 

Fra' Domenico Spatola 

giovedì 16 novembre 2017

La nuova opera di Fra' Domenico Spatola: Vangelo di Marco in versi.

Lo scritto, che nell'antichità cristiana offriva ai primi evangelizzatori la trama su cui tessere la "Buona Novella" ha interessato la mia "rilettura in versi". 
La tendenza al ritmo, sperimentata in gioiosa cadenza musicale che accresce magia alla parola in versi e con rime, ha consentito inediti portali e insospettate intuizioni. 
Il Vangelo di Marco, preferito per strategica essenzialità di narrazione, discorre in elegante sequenza di quadretti o finestre per la luce del messaggio che, anche con simboli, traduce ansia di bellezza nella fedeltà al testo in ermeneutica da diletto e passione. 
Il libro servirà ai piccoli e agli adulti, e ciò ripagherà la mia fatica e quella degli editori che vi hanno creduto. 
Vada però, anche per esso, l'augurio di Orazio, poeta latino: "habent sua fata libelli". Condividiamo anche noi che "ogni libro ha il suo destino". 

Fra' Domenico Spatola 

Vangelo di Marco in versi è l'ultima pubblicazione del poeta cappuccino fra' Domenico Spatola, dove la sua vena poetica si cimenta nella grande impresa di mettere in "rima baciata" tutto il Vangelo di San Marco dal primo all'ultimo verso, lasciando inalterato il divino messaggio e arricchendolo di poesia pratica e dotta, vergata d'amore.

Pagine 163 - Prezzo di copertina € 13,00
Disponibile in libreria e dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Acquistando dal catalogo prodotti della casa editrice parte del ricavato sarà devoluto alla "Missione San Francesco", la mensa dei poveri fondata e gestita da fra' Domenico Spatola e dai volontari della missione.  


venerdì 10 novembre 2017

Fra' Domenico Spatola: Vergini stolte e sagge

Dieci le elette dal coro ideale:
erano le vergini a garanzia nuziale
per illuminare il corteo
al novello romeo
con lampade accese,
in mani protese
e canti di festa
e fior sulla testa.
Cinque eran stolte,
né sagge, né colte
e, in totale follia,
non videro qual sia
dello Sposo il ritardo.
A mezzanotte gagliardo,
fu il grido
d'affido:
"Si apran le nozze,
si attinga a tinozze
il vino del cuore
e lieto sia amore!"
Esse, in attesa,
avean fatto resa
a sonno profondo,
quando dal fondo
iniziò la gran festa,
a urgenza fu desta
l'intera nidiata
a luce votata,
ma solo di Cinque
l'olio fu pingue
per fiamma nutrire,
mentre a patire
eran le altre,
non scaltre
né attente al consiglio
per l'olio del Figlio.
Volean da compagne,
a penose lagne,
l'olio di fede.
"Non si concede,
l'olio d'amore,
né riciclato se non si ha in cuore".
Corsero altrove,
da altrui alcove
e triste fu sorte,
quando chiuse le porte
ad esse, tornate
indaffarate,
con olio futile
e richiesta inutile
per nuova apertura:
non fu copertura
alle grida atroci
di loro voci
lanciate qual dardi:
"Ormai è troppo tardi!"
replicò lo Sposo,
e, quasi non oso,
mi parve pur losco
quel: "Non vi conosco!"

Fra' Domenico Spatola
Nella foto: Five of Them Were Wise, by Walter Rane

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Domenica XXXII del tempo ordinario: Matteo 25, 1-13

Allora il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. 2Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; 3le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l'olio; 4le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l'olio in piccoli vasi. 5Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. 6A mezzanotte si alzò un grido: «Ecco lo sposo! Andategli incontro!». 7Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. 8Le stolte dissero alle sagge: «Dateci un po' del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono». 9Le sagge risposero: «No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene». 10Ora, mentre quelle andavano a comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. 11Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: «Signore, signore, aprici!». 12Ma egli rispose: «In verità io vi dico: non vi conosco». 13Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora.
 
Commento al Vangelo
 
Il "Regno dei Cieli" per la costruzione, esigeva attenzione ai modelli diversi e complementari da eguagliare alla "Nuova Alleanza", che nelle "Beatitudini" ha il fondamento. Tra le immagini a narrare il Regno, le "nozze" furono dagli Evangelisti preferite.
"Dieci" a segno di totalità le Vergini protagoniste del corteo nuziale. Di esse il compito di alimentare le fiaccole nelle ore notturne.
Inquietanti il ritardo dello sposo e l'assopimento delle Vergini fino al suo arrivo.
"Stolte" le Cinque senza l'olio per la torcia. Colpevolizzate perché distratte e sprovvedute nel costruire la "casa" come la vita sulla sabbia. Non basterà gridare: "Signore! Signore!" per entrare nel Regno, e spasmodica e vana sarà la richiesta, fuori tempo massimo, alle "sagge" dell'olio non condivisibile, perché esclusivo della libertà di ciascuno. Severa sentenza, per le Vergini "stolte" , il "non vi conosco!" monito per tutti gli invitati a non sciupare il tempo di amare, breve e avaro.
 
Fra' Domenico Spatola
Nella foto: Peter von Cornelius  Le CinqueVergini Savie e Le Cinque Vergini Stolte

venerdì 3 novembre 2017

Fra' Domenico Spatola: Se umiliato potrà essere esaltato

Condannavi orrore
d'ipocrisia, Signore,
in religione falsata
di quanti votata
aveano vita: rei,
Scribi e Farisei,
di soverchiare a rito
altrui spalle con pesi che loro dito
non avrebbe mai sfiorato.
Ammaliando il malcapitato
dalla sedia di Mosè
sopra lui scaricavan i lor perché
di orgoglio e di potere
sol per l'avido interesse dell'avere.
Si facevan chiamare "rabbì"
dalla gente con i "sì"
dell'accondiscendenza
ai maestri dell'incontinenza.
Ma tu dai tuoi non volevi
che alcun si ritenesse "padre"
perché quel ruolo
a Dio solo
spetta
e corretta
è la "guida"
cui il discepolo si affida
ossia il Cristo,
né gli appare tristo
farsi altrui servo:
e chi tra tutti, osservo,
vuole primeggiare
e dagli altri farsi corteggiare
ritenendosi il più grande:
scelga - dicesti - le estreme lande,
perché chi vuol essere il primo
di te si faccia mimo,
e solo se umiliato
potrà essere esaltato.

Fra' Domenico Spatola

Commento al Vangelo della XXXI domenica del tempo ordinario: Matteo 23, 1-12

Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d'onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati «rabbì» dalla gente.
8Ma voi non fatevi chiamare «rabbì», perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate «padre» nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare «guide», perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.

Commento al Vangelo

Dopo gli attacchi subiti, Gesù replicò con un discorso di inaudita violenza ai rappresentanti dell'istituzione religiosa. Il messaggio tuttavia era rivolto ai componenti delle Comunità cristiane di tutti i tempi, perché, nel momento in cui si formavano i Vangeli, Israele era già irreversibilmente in declino, con il tempio distrutto e il culto inibito. Monito dunque per i discepoli di Cristo affinché non cadano negli errori denunciati, lasciandosi irretire dalle stesse passioni che trascinarono il "Popolo eletto" alla distruzione: ambizione e avidità di potere e di denaro. Nella sua denuncia, Gesù aveva evocato la cattedra di Mosè, riservata al profeta venturo ma abusivamente occupata dagli Scribi e dai Farisei che, in ansia meritocratica arrogavano di Dio il volto del giustiziere implacabile, escludendo dalla salvezza quanti fossero incapaci di osservare le leggi da loro accresciute per la più difficile osservanza. 
Gesù condannò il loro insegnamento, bollandone la dottrina come "precetti di uomini". Pretese dai suoi che non facessero nulla di ciò che essi dicevano, né li imitassero in ciò che facevano. 
I loro insegnamenti erano come pesanti fardelli che imponevano sulle spalle altrui e da essi scandalosamente neppure sfiorati con un dito, perché l'unico interesse (è l'accusa) era la convenienza. 
Con ironia pungente venne descritto l'abbigliamento della loro tronfia prosapia fino al ridicolo: "filatteri allargati" (scatoline con i brani della Scrittura, posti a pendaglio sulla fronte o legati al braccio) e "frange allungate" a ostentare la loro fedeltà ai Comandamenti. 
"Ipocriti", li definì sferzante Gesù, smascherandone la "voracità" nell'accaparrarsi i primi posti nei banchetti, e quelli più alti nelle sinagoghe. Vanesi di referenze nelle piazze e ambiziosi dei titoli come "rabbì" o "monsignore". Gesù avvertì i suoi a non fregiarsi del titolo di "padre", ambito dai membri del Sinedrio. Quel nome è esclusivo di Dio, datore di vita, mentre quello di "guida" appartiene solo a Cristo. 
"Voi - concluse Gesù - siete tutti fratelli, e chi vuol il primo posto, sia il servo di tutti". 
Via per la gloria è infatti l'umiltà e "il servire", l'azione da imparare da Gesù, il Maestro. 

Fra' Domenico Spatola 
Nella foto: Gesù e i farisei di James Tissot 


giovedì 2 novembre 2017

Il due novembre: un fiore

Rivedo fantasmi:
miasmi del tempo,
in affollati spazi
ricordi: discordi
e tumultuosi
o tacite memorie,
dell'anima storie
di ciò che non passa
dei tanti
che in affanni riportano
in mente
assenze preziose
e cosciente
lenire dolori
di ferite serbate
nei cuori,
sollecite
appaiono turgide
nel viale dell'erta fatica,
l'ultima ancora
del tramonto e onirico
riporta il vento
che invola pensieri
lontani d'età,
or sinceri di attesa
come vita
che, arresa,
a ultimo dono
compagnia dei tanti
che aspettano
un fiore
donato di cuore.

Fra' Domenico Spatola

mercoledì 1 novembre 2017

Le Beatitudini di Fra' Domenico Spatola

"Beati"
dicesti, Signore,
dal monte,
alterno e di fronte
dall'altro lontano
dove, in sua mano,
Mosè accolse la Legge.
Or la corregge
il confronto;
affronto
a divieti per servi,
perché a tuoi amici riservi
affido di pace,
e, tenera madre,
consoli afflitti
e derelitti
da avverse fortune
e di pianti sventure
che piegano vita.
"Beati" coloro
che tesoro
a loro fatica,
in risposta amica
dai tuoi seguaci,
troveranno
e confortati saranno
da chi povertà
ha scelto a libertà.

Fra' Domenico Spatola

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della festa di tutti i Santi: Matteo 5, 1-12

Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. 2Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
3«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
4Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
5Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
7Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
8Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
9Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
10Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.

Commento al Vangelo

Le "Beatitudini" sono la "Carta" del Regno. Luogo della proclamazione, indicato da Matteo, il "Monte" alternativo al Sinai, e perciò anonimo e allusivo. 
Da lì Mosè prelevò la Legge, a stipula dell'Antica Alleanza. La "nuova" di Gesù è la proposta di felicità in relazione altra tra Dio, sperimentato "Padre" e i suoi "figli". 
Otto (numero della Risurrezione) le proposizioni conosciute "beatitudini", per l'incipit che dichiara "beati" o felici quanti in essi sono riconoscibili. Interpretativa di tutte le Beatitudini è la prima, dove la povertà, scelta sul modello divino per realizzare l'altrui felicità, qualifica i discepoli che del Signore sperimentano la premura. Le tre proposizioni, a seguire, definiscono beati coloro che, a soluzione della fame di pane e per ottenere giustizia, incontreranno chi si prenderà cura di loro, abolendo le cause della loro afflizione. 
La terna successiva descrive le qualità dei discepoli dello stesso messaggio, dichiarandoli "figli" di Dio, perché costruttori di pace, e come lui misericordiosi e puri di cuore. 
Il messaggio è dunque positivo e non strutturato a divieto come il dettato dell'antica Legge. L'interesse è tutto a favore dell'umanità e dei deboli. I nuovi valori di umiltà e di servizio, combattono quelli avidi del potere e dell'ansia del prestigio. 
La persecuzione, consequenziale risposta inconvulsa di quanti combattono la "novità", testimonia il crogiuolo della veridicità e dell'appartenenza. 
"Beati i perseguitati... di essi è il Regno dei Cieli". 

Fra'  Domenico Spatola
Nella foto:  Il discorso della Montagna. Dipinto di Carl Heinrich Bloch