venerdì 29 settembre 2017

Fra' Domenico Spatola: Gli Arcangeli

Gli Arcangeli sono a noi mistero,
e davvero
lottatori contro il male:
Michele condottier che vale
nella grande guerra,
iniziata in cielo
e combattuta in terra
contro le diaboliche potenze,
le cui efficienze
di dolore son di morte
ma le difese son più accorte
e non lieve
è la protezione di Michele,
dell'esercito divino combattente
e contro lui, Satana non può
concluder niente.
Messaggio qual miele
risuonò da Gabriele
alla Vergine inviato
e suo messaggio consegnato
che faceva di Maria
la madre del Messia.
L'altro è Raffaele
che del pesce usò il fiele
e di Tobia guarì la vista,
perché suo nome è nella lista:
"del Signore medicina"
e potenza sua divina
possa dare a noi ogni giorno
di servire chi d'attorno
il Signore pone accanto
sì che amore sia sol vanto.

Fra' Domenico Spatola
Nella foto: San Michele Arcangelo - Raffaello Sanzio

Fra' Domenico Spatola: Incantesimo diverso

A tutti e due i figli
mi assomigli:
a quel che dice "sì, vado in
campagna"
e ancor si lagna
di sua pigrizia,
e a quel che dice "no"
ma poi, a mestizia,
va a lavorare in tua vigna.
Quanti "sì" e "no": è una miscela
che, a tigna,
ancor dolore mi sovviene.
Furon mal poste
mie risposte,
dettate da paure
o sol sciagure
che cuore ancora ferite si
consola.
Mio buon Dio, fammi paziente a
quella scuola,
dove tuo Figlio in croce
ebbe una voce
il suo gran "Sì"
che valse mia fortuna
che ancora, sotto questa luna,
posso sperare incantesimo
diverso:
quello del cuore mio ad amore
suo già converso.

Fra' Domenico Spatola

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Domenica XXVI del tempo Ordinario: Matteo 21, 28-32

Parabola dei due figli
28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: «Figlio, oggi va' a lavorare nella vigna». 29Ed egli rispose: «Non ne ho voglia». Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: «Sì, signore». Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.

Commento al Vangelo
La tensione tra Gesù e i suoi oppositori è alle stelle. Aveva appena fatto l'ulteriore tentativo di farli ragionare sulla necessità di un effettivo cambiamento di valutazione su di lui, prendendo a spunto la domanda circa la "provenienza" se "divina" o "umana" del battesimo di Giovanni. Il dilemma era scottante per loro che avevano disatteso anche l'invito a conversione, lanciato dal Battista. Ancora una volta la loro risposta venne ostinatamente dettata dalla perseguita convenienza, a disprezzo della verità. Gesù ne denunciò l'ipocrisia, con la "parabola dei due figli, chiamati dal Padre, perché andassero a lavorare nella sua vigna". Volle stigmatizzare due comportamenti contrapposti: quello dei capi religiosi che, alla iniziale affermativa risposta, non fecero seguire i fatti, e l'altro dei peccatori, che all'istintivo diniego avevano contrappuntato conversioni sorprendenti. Gli ossequiosi si erano rivolti al Padre, chiamandolo "Signore", deferenza però seguita da totale disinteresse. I pubblicani e le prostitute lo chiamano "Padre" e, pentiti, nel messaggio di Gesù trovano risposte appaganti di felicità. 
Il "Regno dei cieli" sarà affollato da costoro, mentre i sedicenti "predestinati" che sfruttano il nome divino e la Legge di Mosè a garantire il loro opportunismo, si escludono da sé dal progetto di vita al quale il Padre chiama i due figli. 

Fra' Domenico Spatola
Nella foto: Parabola dei due figli - A. Mironov (Russia - collezione privata) 

domenica 24 settembre 2017

Fra' Domenico Spatola: Padre Pio da Pietralcina

Il cappuccino Padre Pio
amò tanto il buon Dio:
questo fu il gran segreto
che egli, lieto,
portò in cuore
e a lui il Signore
fece dono immenso
e intenso
con i segni più speciali
che rimasero in lui reali
veri simboli sovrumani:
perforati piedi e mani,
e avvolto nel dolore
di Gesù suo Salvatore,
e su di lui crocifisso,
tenne fisso
il suo sguardo
che fu traguardo
di sua vita.
Infinita
la sua voglia
di condurre a lui i fratelli;
alleggeriti dai fardelli
nella Messa con passione
e in total riconciliazione.
Padre Pio leggeva nei cuori
gli affanni della gente
e, da ispirato competente,
a ognuno di salvezza
parola dava che accarezza
di ciascuno il cuore ferito.
Padre Pio è un vero mito
che veglia ancora
su chi ognora
a lui volge la preghiera
chè amicizia sua è sincera.

Fra' Domenico Spatola.

venerdì 22 settembre 2017

Fra' Domenico Spatola: C. LOREFICE "Scrivo a voi padri, scrivo a voi giovani". Lettera pastorale. Ed Paoline 2017

Un cammeo. Un prezioso regalo alla sua Comunità quello di don Corrado, vescovo pastore di Palermo. L'opuscolo, lettera alla sua Chiesa, non ha pretese o enfasi formali né di merito. Riflette il Vangelo con l'umiltà dei semplici, né conosce modalità diverse di approccio. Stesso stile, cui ci ha abituati da qualche anno papa Francesco, di cui don Corrado si rivela sempre più dono a questa nostra Chiesa. La disarmante semplicità e il coraggio di prospettive inequivocabili sono risposte di essenzialità evangelica. Una chiesa, aliena dalla retorica del potere e del controllo, annunciata con la grazia e lo stile sussurrato, compassionevole e dalla parte dell'Umanità, di cui partecipa glorie e cadute. Una Chiesa che interpreta la "cattolicità" , non come arroccamento privilegiato e a chiusura al mondo e alle sue ansie, ma in grado di offrire opportunità all'uomo di oggi, come Gesù agli uomini del suo tempo, per aiutarlo nella ricerca di pienezza di vita. 
E' quintessenza evangelica metabolizzata e mediata dal bisogno di parlare al cuore di ciascuno, nell'umiltà e dopo un ascolto purificato dai pregiudizi per non ritenersi esclusivi detentori di verità. L'opuscolo breve, scorre consequenziale e veloce ma senza pagine che non offrano indici di liberazione. I sacramenti della "iniziazione cristiana" sono luogo di partenza e di approdo (fonte e apice), in grado di parlare al credente con sensibilità umana e credibile. Dunque totale rispetto per l'uomo, interlocutore assoluto e meritevole di attenzione anche dalla Chiesa e per il suo futuro e, sul modello dell'Incarnazione del Figlio di Dio, sappia riconoscere, amando, le culture degli uomini e parlarne i linguaggi. 
Grazie, don Corrado, per questo dono che vorremmo meritare. 

Fra' Domenico Spatola.

Fra' Domenico Spatola: Davi te stesso...

Benigna
fruttò tua vigna,
o Signore,
a tutte l'ore,
nell'avverso stupore
degli operai,
primi chiamati, che guai ritennero
per sé che, con dolore,
portato avevano
del dì peso e calore,
ma stesso denaro
per sé ritenuto avaro
veniva giudicato caro,
se dato a chi lavoro
aveva visto raro.
Compresi allora
che non qualunque cosa
ma, a iosa,
te stesso offrivi
e pur, nel mugugno ostile,
era solo compenso
di tuo stile immenso.

Fra' Domenico Spatola
Nella foto: Parabola dei lavoratori della vigna, di Lambert Jacobsz – Museo di Belle Arti, Rouen (Francia)

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della XXV Domenica del tempo ordinario: Matteo 20, 1-16

Parabola dei lavoratori a giornata. 
Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. 3Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, 4e disse loro: «Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò». 5Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. 6Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: «Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?». 7Gli risposero: «Perché nessuno ci ha presi a giornata». Ed egli disse loro: «Andate anche voi nella vigna».
8Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: «Chiama i lavoratori e da' loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi». 9Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero ciascuno un denaro. 11Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone 12dicendo: «Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo». 13Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: «Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? 14Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te: 15non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?». 16Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

Commento al Vangelo
La vicenda di una giornata di lavoro secondo l'uso palestinese. Gli operai, fin dalle prime ore dell'alba, aspettavano nella piazza del villaggio chi li prendesse a lavorare a giornata. 
Alle sei del mattino il padrone di una vigna provvide a impegnare quanti operai gli occorrevano per quel giorno. Pattuì con loro la paga sindacale, ossia un denaro, e li avviò a lavorare nella vigna. Avrà provveduto, a inizio di giornata, al fabbisogno necessario. Ma la parabola fa protagonista la generosa liberalità del datore di lavoro, che più che al proprio interesse, pensa a garantire gli operai sfaccendati, così ogni tre ore ritorna a ingaggiare nuovo personale. Era evidente la sua intenzione di legittimare una pur minima fonte di guadagno, e ciò si rese più chiaro quando fu il momento della paga: volle iniziare dagli ultimi arrivati. 
Essi, con gioiosa sorpresa, ricevettero un denaro, lo stesso di quello ritirato con mugugno da quelli della prima ora, che s'aspettavano di più, avendo sopportato - dicevano - il caldo e il peso della giornata. 
Ma il padrone, legittimando il suo operato, ricordò che quella era la cifra con loro pattuita, e non consentiva a nessuno di impedirgli di fare del suo ciò che voleva: "Non è infatti egli colui che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi?"

sabato 16 settembre 2017

Fra' Domenico Spatola: Padre Pino

Rosa rossa e sanguigna
sulla tomba benigna
oggi a speciale ricordo
venni a portare:
rimbomba lo sparo
impietoso e avaro
in memoria
di triste storia
a omaggio di vita
che, a sera, fatica
sorriso e speranza uguaglianza a
dolore
in martirio incompreso
ma ora reso dono
consegnato a perdono.

Fra' Domenico Spatola

venerdì 15 settembre 2017

Fra' Domenico Spatola: Padre Pino Puglisi e il suo martirio

Quel 15 settembre Palermo
non accettò consiglio
desolata piangeva un suo figlio:
don Pino, sacerdote da tutti
ammirato,
per l'impegno verso ogni
emarginato,
veniva freddato dai killer della
mafia,
perché, da buon
pastore ai suoi ragazzi aveva dato il
cuore.
Programma suo ideale
fu contro il male,
e rompere di mafia il grosso
laccio
che a Brancaccio
legava i suoi ragazzi
eran dei pazzi quanti votati a
comandare,
nella malavita li inducevano ad
entrare.
Padre Puglisi con suo
sorriso
accolse l'uccisore,
dicendo che lo stava ad
aspettare
per quel noto conto da saldare.
Arma era però
sentimento suo
d'amore, non compreso da chi ordiva il
tradimento.
Padre Pino, lo sconfitto, fu vero
vincitore:
sua arma infatti
fu lo stesso suo Signore
che parlo d'amore
anche al suo uccisore
spingendolo
fino a convertirne il cuore.

Fra' Domenico Spatola.
Poesia tratta dalla raccolta: Palermo dono di perle in versi. La raccolta di poesie di Fra' Domenico, ciascuna corredata da foto, dedicata alla città di Palermo.
La raccolta, edita I Buoni Cugini editori, è disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita on line. Acquistabile anche dal sito www.ibuonicuginieditori.it

Fra' Domenico Spatola: Quante volte Signore?

Pietro che, a usura,
chiedeva a te misura
del dovere perdonare,
timoroso d'abbondare,
basito, se ne stette
quando "settanta volte sette"
era cifra a maturare.
Il tuo racconto,
Gesù, teneva conto
delle volte del condono
che ottenemmo a tuo perdono
in enormità d'errori
ma, a sconfitta, in malumori
a fratelli debitori,
non aprimmo nostri cuori.
Diecimila i talenti,
capitali ingenti,
eran tuoi regali
a cancellare i mali.
Ma con stessa confidenza
in condono e a pazienza
noi nutriamo col fratello
cui togliere il fardello
come tu, paterno, a noi
che ritieni figli tuoi
ma non bravi a perdonare
e incapaci ancor d'amare.

Fra' Domenico Spatola
Nella foto: Parabola del servo ingrato (tavola del 1712)

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della XXIV domenica del tempo ordinario: Matteo 18, 21-35

Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». 22E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
23Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. 24Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: «Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa». 27Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
28Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: «Restituisci quello che devi!». 29Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: «Abbi pazienza con me e ti restituirò». 30Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
31Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. 32Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: «Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?». 34Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Commento al Vangelo
Gesù era stato categorico: bisognava perdonare sempre anche chi non accettava la correzione e l'integrazione nell'amore fraterno. Trattarlo come "un pubblicano", per Gesù voleva dire "amarlo come i nemici".
Pietro non ci sta. Vuole che Gesù dichiari un limite al perdono: "fino a sette volte". Cifra già esorbitante se comparata al criterio rabbinico del perdono "fino a tre volte". 
Il "fino a settanta volte sette" spiazza il discepolo e corregge Lamek che, nella Genesi, giurava che la sua uccisione sarebbe stata vendicata non "sette volte" come quella di Caino, ma "settanta volte sette" cioè sempre. 
A esemplificazione, la parabola del "funzionario insolvente" con il suo re, per un debito di diecimila talenti (pari a trecento chili d'oro), accentua in modo spropositato il confronto con l'irrilevante cifra dei cento denari (pari a tre mesi lavorativi) che allo stesso doveva un compagno di servizio. 
Avendo il funzionario chiesto dilazione per l'improbabile restituzione, ottenne prodigale condono dell'enorme debito, senza più rischiare la schiavitù. 
Ma la totale remissione non è per lui motivo di emulazione del suo re e, spietato, si accanì contro il suo debitore pretendendo per lui ciò che gli era stato risparmiato: lo fece incarcerare. 
il dramma è nella radicalizzazione del comportamento dei personaggi, perché emerga il divario tra il perdono divino e l'incapacità spesso di non riuscire, anche per molto meno, a fare lo stesso. 

Fra' Domenico Spatola
Nella foto: Parabola del servo malvagio di Domenico Fetti

martedì 12 settembre 2017

Fra' Domenico Spatola: Gigi Burruano

Sembrerà strano:
io Burruano
l'ho conosciuto umano.
Era maschera indossata
della vita interpretata
sopra il palco o per le strade
quando s'alza e poi si cade,
resa dura da fatica
interpretava stessa vita
da sorriso oppur nei guai,
affrontata senza che mai
mancassero battute esilaranti
e argomenti allettanti
con modelli brutti o belli
non importa eran sempre quelli
di cui sua innata arte
interpretava ben la parte
e, da buon palermitano,
dava mano
come a specchio
a tirar l'orecchio
e a dire che questa vita
si combatte con fatica.
Sorprendeva da istrione
ma la vita gli dava ragione
e per la intelligenza rara
sua dipartita ci costa cara.

Fra' Domenico Spatola

venerdì 8 settembre 2017

Fra' Domenico Spatola: Volevi, Signore...

Volevi, Signore,
tra i tuoi il perdono:
che li facesse fratelli
e d'ideali gemelli,
superando dissidi
nei nuovi tuoi lidi,
e, per costruire la pace,
ritenuto verace
è ogni sforzo,
perché tuo
è il rinforzo
donato
che sanato
avrebbe rottura.
 Volevi matura
sequela
e, a vela
di annuncio di pace
con verace
e giocondo
al mondo
messaggio
che affratella
tua buona novella
e giorno e sera
unisce preghiera.

Fra' Domenico Spatola
Gesù e la cena di Emmaus (Rembrandt)

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della XXIII domenica del tempo ordinario: Matteo 18, 15-20

Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. 18In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
Preghiera comunitaria
19In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d'accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. 20Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

Commento al Vangelo:
Improntata al perdono fraterno è tutta la pericope evangelica. Chi è invitato dal Signore a compiere il primo passo verso la riconciliazione, è colui che si ritiene l'offeso, perché a lui potrà venire più facile, in quanto non tenuto a doversi umiliare. Le fasi di mediazione, compresa la presenza di due testimoni, devono essere tutte esperite. L'ideale per Gesù è che si raggiunga la riconciliazione. Se "l'altro" si ostinerà nel rifiuto, andrà trattato "come un pagano o un pubblicano". L'espressione, non intesa a troncare con lui ogni relazione, descrive stesso amore "unilaterale" dovuto dai discepoli non credenti. Accorato il successivo appello relativo al "non legare" il perdono di Dio, che visibilizzato tra fratelli, anche "nella misura" auspicata abbondante. Quanti disponibili all'esercizio del perdono, oltre che essere qualificati "costruttori di pace", consentiranno a Gesù in persona di "essere in mezzo a loro", come parallelo professato della "Shekinà" (la Gloria di Dio) immaginata presente "quando due o tre ebrei si riunivano per studiare la "Torah" (la legge di Mosè). 

Fra' Domenico Spatola 

Nella foto: Cena ad Emmaus Jacopo da Bassano (1510-1592)

lunedì 4 settembre 2017

Fra' Domenico Spatola: Santa Rosalia, patrona di Palermo

Dei Sinibaldi la figlia
Rosalia
protezione e compagnia
fa a Palermo:
a schermo
l'un all'altra è associato il
nome,
quando per la sua festa,
sindaco in testa,
come
nave a riva
grida: "evviva!"
Evento atteso
per il gran peso,
che ha per i Palermitani,
che altrimenti vani
credono loro sforzi,
mentre a lei rinforzi
implorano pregando.
Quante pietose lacrime
si fanno
nella sua grotta,
dove sepolta
fu dal tempo dei
Normanni,
e ormai sono tanti anni.
Fece la scelta di lasciare
corte
per l'altra sorte
quella che a lei ispirò
Gesù
lo "Sposo/Dio"
c
he la volle fare uscire
dall'oblio
così che sempre più
Palermo feste,
a lei prepara
fin da quando
liberata fu da peste.
Ora sul monte a lei caro,
il "Pellegrino"
avvia cammino
ogni anno
a scioglier canto
perché Rosalia è di
Palermo
il vanto
e preghiera sincera
a lei rivolge a sera
a diradare oscurità
consapevole che Rosalia
è il faro di questa città.

Fra' Domenico Spatola