venerdì 31 agosto 2018

Fra' Domenico Spatola: PALERMO-CREMONESE


Palermo-Cremonese: quante spese
questo campionato
già iniziato?
Ma l'auspicio
non è nel beneficio
del pareggio
ma di non fare peggio della Salernitana.
Un primo punto non è cosa vana,
purché congiunto ad altri punti ancora.
Quest'anno vogliam veder la prora
della serie A
e non restare in poppa a quelli là
che hanno chiuso gli occhi ai misfatti
dei tifosi matti
che facevan quello
che, a capriccio, gli sembrava bello.
Sette palloni in campo 
furono tirati a lampo            
per ostacolare nostra squadra
intenta a far la quadra

con un pareggio 
che della A ci avrebbe dato il seggio.
Non d'accordo fu chi presiede:
altra tenea fede

ritenendo, da immorale,
non regolare
la serietà dell'impegno. 
Della croce ci faremo il segno
per ricominciare.
Ma quest'anno non vogliamo boccheggiare
e sperare                                 

negli altrui difetti.  
Palermo, a confetti,
fai gol con tuoi campioni
e tifoseria non s'abbandoni
a disperate prove che, nel finale,                          
a noi, come sai, finiscon male.


Fra' Domenico Spatola 

Fra' Domenico Spatola: Il Creatore è buono



Vengono scribi e farisei
o Signore, a dichiarare rei
i tuoi seguaci
che, audaci,
osavano non osservare di purità le leggi
pretendendo da te che li correggi
da loro ardire.
Nuovo però è udire tua dottrina                           
che volontà divina
non è la purità legale,
perché fa vero male
ciò che esce dal cuore
e rende peccatore
l'uomo in omicidi e ruberie varie
le sole che fanno carie,
mentre ciò che in lui entra
è puro,
reso sicuro
dal Creatore
e ciò di cui con amore
ha fatto  dono,
è solo buono.

 
Fra' Domenico Spatola

Commento di fra Domenico Spatola al Vangelo della XXII Domenica del Tempo Ordinario (anno B): Marco 7, 1-8,14-15, 21-23

Si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. 2Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate 3- i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi 4e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti -, 5quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
6Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto:
Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
7Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini.
8Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». 14Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! 15Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall'uomo a renderlo impuro.  21Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, 22adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose vengono fuori dall'interno e rendono l'uomo impuro»

Grave per scribi e farisei che Gesù, comunicando vita con l'offerta del suo pane (eucaristia),  non avesse  preteso i riti della purificazione rituale.
Il pregiudizio nasceva dalla convinzione che tutto è "impuro". Ideologia che Gesù intendeva superare con nuova prospettiva: accogliere il Signore per essere da lui  purificati.
Frattanto si era scomodato il più alto magistero religioso da Gerusalemme per scomunicare l'irrequieto anticonformista Maestro di Galilea.
L'accusa: non sono rispettate le "leggi di purità" dai suoi discepoli che prendevano il cibo (il testo dice "pani") senza i dovuti rituali. L'evangelista Marco s'attarda in spiegazioni  puntigliose delle norme a guida di quei gesti.
Gesù, replicando, indirizza ai suoi accusatori le severe parole di Isaia: "Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me!".
Li bolla di teatralità  ("ipocriti") per commedie da copioni che sono "teorie umane" ("le tradizioni degli antichi") contrabbandate come leggi divine.
 Convoca successivamente la folla, per dettare  nuovi criteri di purità.  È "dal cuore" che  escono le impurità come gli omicidi o tutto ciò che è inverecondo per la dignità dell'uomo. "Dichiarava, sottolinea Marco, puri tutti gli alimenti".
Se già era blasfemo e meritevole di morte chi contraddiceva un solo punto della Legge di Mosè, con la tranciante affermazione, Gesù  cancellava un intero libro della Torah: il Levitico per le sue ampie parti  discriminanti  "cibi puri e impuri". Non sarà possibile a Gesù rimanere in Israele, senza il rischio di essere lapidato e, costretto,  ripara nel vicino e più sicuro Libano.

Fra' Domenico Spatola


venerdì 24 agosto 2018

Fra' Domenico Spatola: "Signore da chi andremo?"

Signore, "dura" era Parola
per quei di tua scuola.
Volgesti loro il quesito:
"E se il Figlio vedeste salito
dove prima era?
È lo Spirito che dà vita vera,
e la carne non giova,
ho dato riprova,
con parola da me dette,
indicazioni corrette
di Spirito e vita.
Ma di alcuni la fede è svanita".
Conoscevi, Gesù, i non credenti
e chi tra gli udenti
ti avrebbe tradito.
E, a rito,
ripetevi tuo messo:
"A me viene colui
cui dal Padre è concesso".
Molti da quel momento
disertavan convento.
E deluso,
ma non confuso,
dicevi anche ai Dodici:
"Usate le forbici
e tagliate con me?"
"Dove andremo lontano da te?"
disse Pietro:
"Indietro
non possiamo tornare.
Dove andremo a trovare
Parole della vita,
che sol tu puoi dare infinita?
In te abbiamo creduto.
Sei da noi conosciuto
quale Santo di Dio

né vedrai mai l'oblio!".

Fra' Domenico Spatola
Nella foto: volto di Gesù da un dipinto di Antonello da Messina 


Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Domenica XXI del tempo ordinario (anno B): Giovanni 6,60-69


Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». 61Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? 62E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima? 63È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. 64Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. 65E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».
66Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. 67Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». 68Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna 69e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

Il discorso di Cafarnao, incentrato sull'Eucaristia, si rivelò un insuccesso. Gesù dovette incassare il rifiuto, non solo dei capi religiosi, ma degli stessi discepoli. "Duro" ("skleròs"), lo definiscono. Ne rigettano il distacco dai padri, per l'invito di Gesù a seguire il Padre, e la rinuncia all'ambizione di dominio, per farsi dono d'amore essi stessi ("pane"). Mormoravano tutti. Gesù tuttavia non intese cambiare programma e, dando ulteriore affondo alla loro velleità di potere, evocò la morte del Messia: "Questo vi scandalizza? E se vedeste  il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima?". La "salita" è conseguenza della "discesa" agli inferi: il binomio inscindibile che qualifica l'avventura del Messia,  con grave scandalo per tutti quelli che lo aspettavano "immortale" Mangiare la sua carne, però non basta, se non ci si fa "pane" per gli altri. Spiega: "È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla", per questo chi accoglie le sue parole che "sono spirito e vita", scopre in sé energie vitali insospettabili.
Ma tra i molti che non credono c'è anche il traditore.  Il fallimento è totale.
Anche a "i Dodici" rivolge l'invito ad andare se non condividono. Simon Pietro non ha alternative a Gesù,  tuttavia non rinuncia a chiamarlo "Santo di Dio", il titolo del "Messia davidico" a ricordargli di risollevare le sorti d'Israele.
È la sua ostinazione che lo condurrà al triplice rinnegamento.

Fra' Domenico Spatola
Nella foto: (volto di Gesù da un dipinto del Masaccio) 

venerdì 17 agosto 2018

Fra' Domenico Spatola: Pane di vita


"Pane di vita", Signor, ti svelasti
e tue origini dal ciel rivelasti
agli accaniti Giudei, diffidenti
che mostravan feroci i loro denti.
Dicevi: "Chi questo pane
mangia, sol cose sane
da me erediterà
perché mia carne sarà
vero cibo
e quel che io libo
con il mio sangue,
bevanda che non langue,
ma vita eterna
che squaderna
come il Padre è con me
e chi si nutre sarà re.
Ve lo dico senza velo:
"Questo pane vien dal cielo,
non assomiglia a quello offerto
ai vostri padri nel deserto
che son morti".
Venendo ai ferri corti
con la Legge,
Gesù la corregge:
"Sol chi mangia questo pane
non vedrà cose vane".

Fra' Domenico Spatola 

Fra' Domenico Spatola: Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della domenica XX del tempo ordinario (anno B): Giovanni 6, 51-58

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».


Giovanni, nel capitolo sesto del suo Vangelo, continua ad esplorare i significati dell'Eucaristia.
"La sua condizione divina" è rivendicata da Gesù con il verbo "Io sono", che traduce il tetragramma IAHVÈ. Il "pane di vita" è da lui offerto perché  chi lo mangia erediti la vita eterna.
Ma quel "pane" è la sua "carne", sacramento  dello Spirito che svela all'Umanità il "divino" cui essa è vocata.
I capi religiosi ("i Giudei") discutono, avversando "Costui" (senza chiamarlo mai per mome), perché non è nei loro calcoli che Dio non pretenda doni, ma  - come afferma Gesù - si faccia egli stesso "dono d'amore".
La "carne" e il "sangue", evocano, dell'Esodo biblico, "l'agnello pasquale" della cui "carne", s'era nutrito il popolo avviato a libertà, e dal suo "sangue",  tinteggiante gli  stipiti delle porte, gli Israeliti in Egitto erano stati risparmiati
dalla furia dell'Angelo sterminatore.
Antiche "figurazioni" che si fanno realtà in Gesù e nella "vita eterna" che egli comunica a chi con lui si fonde in  "unità".
Il fallimento rimane al passato di chi mangiò la manna e morì. Non teme confronto il cibo da Gesù offerto: "Chi mangia questo pane, vivrà in eterno".

Fra' Domenico Spatola 
Nella foto: Dipinto di Tiziano 


lunedì 13 agosto 2018

Fra' Domenico Spatola: Padre Massimiliano Kolbe

Si trovò recluso
nel luogo di dolore
e lucido e non confuso
conosceva bene il cuore.

Amava il suo Gesù
e lo vedeva in croce
gli parlava a tu per tu
e ne sentiva voce.

Immane era il dolore
nel lager nazista
ma per più grande amore
non essendo nella lista

di coloro che dannati
a dolorosa morte
chiese tra gli ammazzati
sua gloriosa sorte.

Un tale piangeva
perché a sorte uscito
col drappello che doveva
essere bandito.

Padre Kolbe si fece avanti
con richiesta più ardita
che fu per tutti quanti

proposta inaudita:

Fare il cambio ed esser lui
a morire tra gli stenti
al posto di colui
che digrignava i denti

per la paura di finire anzitempo
avendo a casa figli
padre Kolbe nel contempo
dava suoi consigli

all'aguzzino che accettò
lo scambio di persona
e padre Kolbe consumò

sacrificio che ancor risuona.

Fra' Domenico Spatola

Fra' Domenico Spatola: Visitazione della Vergine Maria alla parente Elisabetta

Dalla parente Elisabetta
corresti in tutta fretta
a portar aiuto
a lei e a Zaccaria muto.
Giovanni in grembo suo danzò al saluto
e, con la madre, a te rese tributo:
era suo vanto
che la Madre del Signore tanto
a lei avea donato
ad accorrere per il bimbo ancor non nato.

"Beata", ti disse in profezia, 
"perché creduto avevi", o vergine Maria.
Eri per lei e per il figlio quell'arca santa
di cui si vanta
la gente che ti dirà: "Beata!".
O donna amata,
all'udire quelle cose
che posto ti riservan sopra le spose,
sciogliesti il canto
perché il Santo
ti era figlio
e per noi appiglio
di chiamarti "Madre",
or che del Padre
conosciamo il volto.
Sconvolto
fu l'ordinamento:
i ricchi, laceri in tormento
e i poveri, sfamati in abbondanza,
in nuovo modello di creanza.
Deposti dai troni i potenti,
esaltati saranno i non abbienti,
perché, snudato il braccio
d'ogni cattività tagliato ha il laccio
ai derelitti,
e sfamato gli afflitti
d'Israele
con latte e miele,
messianico alimento
della promessa a compimento
ad Abramo e a discendenza
per totale quintessenza
del suo amore.
Così parlasti, o Maria, del Signore,
e, passati tre mesi,
con nuovi pesi
ritornasti in sede
ad attuar tua fede.

Fra' Domenico Spatola 
Nella foto: Dipinto di Guido Reni (1642) 


Fra' Domenico Spatola: Commento di fra Domenico Spatola al Vangelo della solennità della Assunzione di Maria santissima in corpo e anima in cielo: Luca 1,39-56


In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«L'anima mia magnifica il Signore
47e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
48perché ha guardato l'umiltà della sua serva.
D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
49Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente
e Santo è il suo nome;
50di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
51Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
52ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
53ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
54Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
55come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
56Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

Maria, accolto il saluto dell'Angelo, era divenuta la Madre del Signore e l'abitazione dello Spirito Santo. Luca la mostra subito in viaggio  per comunicare gli effetti del dono ricevuto. Sceglie la via breve e insicura, e, intrepida, raggiunge la casa della parente Elisabetta. Il suo saluto comunica grazia, ma solo a colei che vive stessa fede, escludendo
l' incredulo Zaccaria: "muto" perché "sordo alla parola dell'Angelo". L'evangelista vi adombra il sacerdozio incredulo e riottoso alla novità e alle sorprese dello Spirito.  Mentre Elisabetta, in sintonia con la Vergine, indirizza a lei l'elogio che la tradizione cristiana le riserverà: "Beata te che hai creduto!". Viene  assimilata alla "arca di Iahvé" evocandone l'episodio biblico. Obed Edom di Gat ospitò l'arca in casa sua ricevendone benedizioni, il re David, dopo tre mesi, la volle con sé omaggiandola, lungo il tragitto, di  sua gioiosa danza.
Giovanni, da sei mesi nel grembo della madre, ripropone, per l'evangelista, lo stesso tripudio, infatti danza (skirtàn) al saluto di Maria.
Elisabetta, colma di Spirito Santo, anticipa il battesimo che celebrerà Gesù adulto, ed elogia Maria: "Beata fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo!".
La Vergine scioglie al Signore il canto dei poveri e degli umili della terra ("Magnificat"):  "Colui che è il potente abbatterà i potenti dai troni, e innalzerà gli umili", anticipando le  "Beatitudini". I tre mesi di permanenza di Maria nella casa di Elisabetta ricordano stesso periodo in cui l'arca  fu fonte di benedizioni per Obed e per la sua casa.

Fra' Domenico Spatola
Nella foto: Dipinto del Murillo

sabato 11 agosto 2018

Fra' Domenico Spatola: Santa Chiara d'Assisi


Fu il primo fiore
da Francesco raccolto
nella vigna che il Signore
gli diede a coltivare:
vangò la terra
e si mise a seminare
la parola dell'amore
e di Chiara trafisse il cuore.
Lasciò quanto avea di bello
per seguire Francesco il poverello,
che la innamorò dell'amor vero
e, in nozze di mistero,
con Cristo egli la sposa
e appare quale rosa
che il mondo ancora ammira
mentre suo esempio attira
altre damigelle
che rende ancor più belle
l'ideale di Francesco.
Se  ci riesco
provo a ricordare
i luoghi suoi da visitare
per lo spirito di povertà da essa infuso
e che nella Porziuncola a iosa fu profuso
dal Santo che la scelse,
e qui a vette eccelse
votò la nostra Santa
e fu davvero tanta
la carità operosa
di Chiara, che di Cristo sposa,
appariva.
Non meno attiva
fu permanenza in san Damiano
dove a Cristo diè là mano
nei tanti poverelli
che accorrevano anche quelli
per trovare il conforto
da colei che fu un porto
di grande umanità.
Ora dal cielo la carità
di santa Chiara
fugga ciò che amara
fa la vita
e conceda un giorno a noi
quella infinita.

Fra' Domenico Spatola
Nella foto: Santa Chiara di Simone Martini (1344)
Basilica inferiore di Assisi 


venerdì 10 agosto 2018

Fra' Domenico Spatola: Notte di San Lorenzo


Il concavo cielo sfavilla
in occhi tuoi già brilla
questa notte ti penso:
sarà notte di San Lorenzo.
Vedrò stelle cadere,
meteore vere
di spazi infiniti
percorrere a riti
di festa di mondo
spettacolo giocondo
dei desideri umani
anche più  strani:
amore a conquista,
una giostra mai vista
della vita che scorre
sempre uguale ove porre
sogni gli stessi e diversi
nella vita già immersi:
sono i tuoi che ogni anno io penso
nella notte di San Lorenzo. 

Fra' Domenico Spatola 

Fra' Domenico Spatola: Pane di vita

Signore, tu invitavi a mangiar tuo pane,
ma mormoravano i Giudei come vane
tue parole,
perché  senza scuole
e di più conoscevano tua madre
e Giuseppe, il falegname padre.
Comprendesti quanto difficile fosse accettarti
se del Padre non si comprendono le arti
del suo affetto
e del Figlio prediletto.
"Se volete eterna vita
- dicevi - vostra fede in me sia infinita".
Questo risuonò ad asserto:
"I vostri padri, nel deserto, mangiarono la manna,
che fu per loro condanna
a morte;
altra invece sarà la sorte
di chi in me crede
e pane mio mangia con fede:
non sarà finita

perché la mia carne è del mondo vita!"

Fra' Domenico Spatola 


Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della XIX domenica del tempo ordinario (anno B): Giovanni 6, 41-51

Allora i Giudei si misero a mormorare contro di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». 42E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: «Sono disceso dal cielo»?».
43Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. 44Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. 45Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
48Io sono il pane della vita. 49I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. 51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

I capi dei Giudei non accettavano che Gesù dichiarasse di avere "la condizione divina" ("Io sono"), e rendesse tutti capaci di averla. Temevano per la loro casta che  ritenevano unica mediatrice tra Dio e gli uomini distanzianziandoli per la loro Legge e incuneandosi nello spazio creato. Ma Gesù, per ogni uomo che condivide stesso suo progetto, rivendica la condizione divina, offrendo il criterio per possederla: "riconoscere il Padre, lasciandosi attrarre da lui ("Nessuno viene a me se il Padre non l'attira").
La paternità divina da lui annunciata, comporta  che "i figli gli assomoglino" e posseggano la vita eterna, la sua, non coniugata al futuro ("avrà" ), ma al presente ("ha"). Il suo "farsi pane" si contrapponeva alla "manna", evocata dagli avversari come "pane del cielo che sfamò i padri nel deserto". Per Gesù, non era quello "il vero pane", perché i padri che ne mangiarono, morirono tutti e anche Mosè. Suonò proposta e monito  per loro: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, non morirá".
La "carne e il sangue" della debolezza umana vennero assunti da Gesù  a segno e mediazione della condizione  divina.


Nella foto: Giovanni d'Enrico: statue in terracotta raffiguranti farisei al processo a Gesù (part.), Cappella XXXV, Sacro Monte di Varal


mercoledì 8 agosto 2018

Fra' Domenico Spatola: San Domenico


È tutto nel nome il suo messaggio:
"essere del Signore" e con coraggio
portò ovunque il vangelo
parlando di Dio e del suo cielo.
Lottò l'eresia degli Albigesi
che usavano due misure e due pesi,
come chi lo gnosticismo
professava
che alcuni affossava e altri li salvava.
Domenico entrava in tutti i cuori
da solo o con i suoi Predicatori,
ch'era l'Ordine da lui fondato
e dalla Chiesa utilizzato
per le Scuole e la dottrina
da diffondere non in sordina
ma con la forza del sermone
e la dialettica della persuasione.
Sua attuale eredità
è preghiera e onestà,
e l'amore per il Signore
che accendeva in ogni cuore.
Del cane, a simbolo, colse fedeltà
e nella fiaccola accesa vi pose carità
per portare al mondo intero
il suo annuncio del mistero.

Fra' Domenico Spatola

venerdì 3 agosto 2018

Commento di fra Domenico Spatola al Vangelo della XVIII Domenica del Tempo Ordinario: Giovanni 6, 24-35

Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. 25Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
26Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». 28Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». 29Gesù rispose loro: «Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
30Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? 31I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». 32Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. 33Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». 34Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». 35Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!
Aveva provato invano il Signore, con il gesto dei pani, a far comprendere che la pienezza di vita sta nel "farsi pane" per gli altri. Non voleva risolvere un problema contingente, ma garantire gesti condivisi di prodigalità matura. La folla però non comprendeva che si è veramente liberi se si vive per gli altri. Ha mangiato e chiede ancora pane per sé, in dissenso con il "segno" di Gesù che chiedeva a tutti di "farsi pane" come lui (eucaristia).
La folla, garantita, si sentiva bene a servizio: la sottomissione le dava sicurezza. Gesù però non vuole servi ma discepoli maturi, che sappiano in pienezza di vita  condividere. È "vita eterna" quella che egli offre, perché cresce solo se nutre gli altri.
A Cafarnao, dove l'hanno cercato, si registra il dialogo tra Gesù e la folla.
"Rabbi, quando sei venuto qua?".
Per quella gente Gesù è un semplice maestro della Legge, come tanti. Gesù ne smaschera da subito le intenzioni:
"Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perchè avete mangiato i pani e vi siete saziati". Da cercare per lui era "il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio darà".
La folla diffidente  millantava a suo attivo la Legge, "le opere di Dio" garantite da Mosè e "dai padri" del passato. Gesù la sconfessa: "Non Mosè vi ha dato il pane vero", continuando col dire che "vero pane è Colui che il Padre ha mandato". Qui invera la radicale  sostituzione dell'antica con la "nuova" Alleanza. Ma la folla, per credergli, vuole "il segno" come quello dei padri che "mangiarono la manna nel deserto".
"Al presente, risponde Gesù, il Padre vi dà il vero pane, ed è il Figlio che ha mandato e su cui ha posto il sigillo della pienezza divina"
Appare ora matura la fede della folla che lo riconosce  "Signore"  e gli chiede: "Dacci, sempre di questo pane".
La rivelazione finale, a compendio, perfezionerà  tutto il discorso: "Io sono il pane di vita".
fra' Domenico Spatola