venerdì 23 febbraio 2018

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della seconda Domenica di Quaresima: Marco 9, 2-10

Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro 3e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. 4E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. 5Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 6Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. 7Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!». 8E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
9Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risorto dai morti. 10Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti

Commento al Vangelo.
Gesù condusse sull'alto monte i discepoli più accesi di riformismo giudaico. Volevano il ripristino della gloria di Israele e il suo riscatto tra i popoli, sui quali vantare la superiorità della Legge di Mosè. Erano: Simone il "Pietro" e Giacomo e Giovanni i "boanerghes" ("figli del tuono"), notati nel gruppo per l'irruenza dell'orgoglio nazionalistico.
Sei giorni prima, Gesù aveva annunciato l'imminente sua morte e, a risposta, aveva subìto la ribellione di Pietro, "il satana", avversario dichiarato del suo progetto.
Il "monte alto" doveva loro additare la condizione divina, raggiungibile da tutti, e il modo per ottenerla. La trasfigurazione di Gesù, dal volto come il sole e dal vestito dal candore inimitabile da nessun lavandaio sulla terra, è la risposta all'inaccettabile paradosso per Pietro: la morte del Messia non va accusata come suo fallimento, ma passaggio per raggiungere  la pienezza della vita. A esprimere l'inesprimibile i termini di confronto sono evocati dallo "splendore del sole" e del "candore del vestito".
Due i testimoni eccellenti del passato: Mosè ed Elia, che affiancano Gesù, rispettivamente  da legislatore e da zelante esecutore della Legge. Conversano con Gesù come in precedenza con Dio. Non hanno parole da insegnare ai discepoli, mentre ne hanno da imparare essi stessi dal Cristo.
Pietro non è d'accordo: vuole in campo Mosè e propizia le "tre tende", attento a riservare quella centrale a Mosè. Per lui la Legge è  preponderante. A suo dire, Gesù ed Elia lo affiancheranno da gregari.
È troppo per non irritare il Padre,  la cui voce risuona perentoria perché si ascolti "il Figlio mio, l'amato". La scena si spegne sul monito, severo e senza alibi, del Padre, e nella paura dei discepoli terrorizzati, perché andati via i loro beniamini, rimasero soli con Gesù solo. Ci vorrà ancora tempo, perché comprendano le felici conseguenze di quella morte, da Gesù annunciata come "vita consegnata", e da sperimentare  risorta.


Fra' Domenico Spatola

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