venerdì 5 giugno 2020

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della domenica della Santissima Trinità (anno A): Giovanni 3, 16-18

Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.


Un triangolo o un trifoglio mi dovevano da bambino bastare a comprendere la Trinità: "Dio uno in tre Persone". Mi affascinava (di Sant'Agostino?) del bambino intraprendente (forse un angelo) che voleva, a provocazione,  in una buca travasare l'oceano. La mia era resa senza replica: Mistero! 
Lo pensavo perciò impenetrabile ad intuito umano e comprensibile solo nei segni della fede. Volli tuttavia indagare sul "fondamentale mistero cristiano": il "Padre  che genera il Figlio" e da loro "procede lo Spirito". Il Quarto Vangelo mi fu rivelatore: il "Mistero" andava indagato attraverso l'Umanità e la croce del Figlio, dallo stesso dichiarata "luogo della sua Gloria". Il percorso, pur arduo, mi apparve condivisione di vita: il Padre diventava anche "il mio". E lo Spirito, ossia l'Amore eterno, dal Figlio mi veniva consegnato. Folgorante mi parve della teologia trinitaria,  la dinamica delle Relazioni divine: "pericoresi trinitaria" ossia "danza all'intorno". Mi intrigò coinvolgendomi in ogni assise eucaristica, da commensale. E da subito la compresi adeguata traduzione del "Dio che tanto ha amato il mondo da mandare il Figlio". Ancora mi avvince e mi commuove.

Fra' Domenico Spatola 

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