martedì 6 dicembre 2016

Commento al Vangelo di Luca 1,26-38 per la festa della Immacolata Concezione

26Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
29A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
34Allora Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». 35Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio». 38Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l'angelo si allontanò da lei.
 
Il brano, adottato dalla liturgia per commentare il dogma dell'Immacolato Concepimento della Vergine Maria, è sicuramente tra i più celebri per descrivere l'identità di Maria e la sua missione di madre del Figlio di Dio.
Il racconto si presenta come un insieme di richiami e di allusioni a testi dell'Antico Testamento, come un mosaico che però acquista autonomia e vitalità propria. Il messaggio è teologico e tale da garantire insegnamenti corretti sul mistero della Vergine.
Il brano esordisce con una connotazione temporale: "Al sesto mese". Premesso che nei Vangeli non esistono brani o parole che non abbiano un significato teologico, il "sesto", numero evocato, non è soltanto nella logica della narrazione corrispondente al concepimento del Battista, ma ricorda il giorno della creazione dell'uomo, da dove dunque inizia, con l'incarnazione del Verbo, il compimento in sommo grado della sua "divinizzazione" ("theosis").
Il messaggero del progetto divino è Gabriele, il cui nome "forza di Dio", orienta il racconto sull'affermazione a suggello finale dell'angelo intenzionato a fugare ogni ostacolo: "Nulla è impossibile a Dio".
Lo scenario del suo secondo invio non è più Gerusalemme e il suo tempio, straordinario per grandezza e bellezza, né il destinatario è il sacerdote Zaccaria nel cuore  di una celebrazione liturgica, ma una ragazza ("vergine") che abitava nel villaggio più sperduto (Nazareth) della regione più malfamata della Palestina, tale dall'antichità, se sette secoli prima, il profeta Isaia la definiva semplicemente: "Distretto dei pagani", ossia di gente impura.
Di Maria  si dice subito che ha uno sposo di nome Giuseppe, con il quale ha semplicemente celebrato la prima parte del matrimonio ebraico ("sposalizio") mentre, per la definitiva convivenza, mancano le "nozze" che sarebbero avvenute dopo un anno del primo rito.
Il dialogo tra l'Angelo e la Vergine è densamente teologico.
"Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te!"
Già il Verbo usato orienta circa la identità della Vergine. Il termine greco è un participio passato, "Kekaritomene", come a voler dire: "posseduta dalla grazia", non "fonte" (quella è Gesù) ma "Vaso della divina grazia", come viene invocata nelle Litanie.
Quale la reazione di Maria? L'evangelista dice che "si turbò a queste parole". Perché? Il testo evoca il condottiero Gedeone, chiamato a combattere i nemici di Israele. L'evangelista in tal modo tiene alta la tensione, dietro un saluto così solenne. L'Angelo prova a tranquillizzarla: "Non temere, Maria". Ma quel che vi aggiunge è da vertigini: "Hai trovato grazia presso Dio!". Semplicemente le dice che Dio si è innamorato di lei e la vuole come madre del suo Figlio. Un'autentica proposta di nozze. "Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù". Una rivoluzione anche circa le convenienze e agli usi sociali, toccava infatti al padre dare il nome al figlio.
L'Angelo continua con la elencazione dei titoli di questo figlio e tutti "divini". Di lui dice infatti: "Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo", né gli mancherà quello "davidico", proprio del Messia. Ma non lo erediterà,  sarà  infatti "il Signore Dio che gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine".
C'è ora un indugiare della Vergine, come a offrire all'angelo la possibilità di chiarire meglio. "Come avverrà questo, perché non conosco uomo?"
"Infatti - spiega l'Angelo - lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra". Il linguaggio adottato è squisitamente nuziale e descrive intimità coniugale in termini di unicità e di fedeltà. Esplicita ulteriormente le qualità identificanti il nascituro: "Colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio" (chiamato perché lo è).
A questo punto a testimonianza di una nascita prodigiosa ("dalla Vergine") la prova di un altro concepimento umanamente improbabile: "Elisabetta,  tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito anch'essa un figlio,  e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio".
Tocca a Maria la risposta. Ed essa in libertà e consapevolezza unica, al messaggero che attende, e all'intera Umanità che dipende dalla sua risposta, affida il suo "Sì" di totale e incondizionata disponibilità di "Serva del Signore, perché si compia in lei la sua parola".
In mirabile pittura, Antonello da Messina la ritrae di fronte mentre con la mano destra congeda l'Angelo, e attenta con la sinistra a chiudere a riserbo il mantello, analogia del suo grembo che custodisce per noi il figlio Gesù.
 
Fra' Domenico Spatola

Nella foto: l'Annunziata, di Antonello da Messina.

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