Gerico fu la prima città liberata da Giosuè nel suo ingresso in "Terra promessa". Resa ormai di schiavitù, perché angariata dal potere religioso imperante. L'evangelista Marco, nell'episodio, figura un nuovo "esodo" verso la libertà, con Gesù alla guida di folla e di discepoli. Il cammino è impervio e "sulla strada", emblematica ove la Parola non attecchisce per l'ambizione che ne porta via il seme. A mendicare vi giace Bartimeo, dal nome riconducibile al "figlio dell'Onorato". Allusione al re Davide e al messianismo che da lui prende nome. Rilevabile ideologia, condivisa in precedenza dai "figli di Zebedeo", estraneati alle prospettive di morte del "Figlio dell'uomo", per l'ambizione di comandare. Bartimeo ne adombra le figure con la sua cecità. Grida forte per piegare Gesù all' idea messianica del "figlio di Davide". A farlo tacere non riesce la turba di estranei alle sue logiche, alle quali il cieco vuole piegare anche Gesù. Chiede che glielo conducano.
Il ritmo della narrazione si fa di danza. Chiave di volta per la conversione e conseguente sequela è la rinuncia al mantello, gettato via come rifiuto del potere e, scattante perché finalmente libero, Bartimeo balza da Gesù: "Cosa vuoi che io faccia per te?". La domanda si fa spia che accomuna identica ambizione del cieco e dei figli di Zebedeo.
Convertito, "vede" ormai in Gesù non più "il messia davidico", ma il suo Dio: "Rabbunì, che io veda di nuovo". Recupera così ciò che l'ambizione gli aveva sottratto: la vista come la fede.
Fra' Domenico Spatola
(nella foto: dipinto di Duccio di Buoninsegna)
Nessun commento:
Posta un commento