venerdì 23 giugno 2023

Fra' Domenico Spatola: "Chi non mi rinnegherà..."

"Niente paura!" 
Gesù assicura. 
Sua Parola, 
fa scuola
su ciò che, nascosto, 
tosto
verrà svelato
e ogni segreto
esplicitato. 
Ciò che il buio produce, 
verrà alla luce, 
e quanto sussurrato  all'orecchio, 
come a specchio,  
verrà gridato dal terrazzo. 
Non temete il pazzo 
che il corpo uccide 
ma chi l'anima intride
nella Geenna. 
Anche d'una sola penna
del passero Dio ha cura
e d'ogni realtà ch'è in natura, 
come i capelli 
del capo orpelli. 
Anch'essi son contati.
"Non siate spaventati:                                  
perché voi valete più". 
Concluse ancor Gesù:
"Chi non mi rinnegherà, 
amico resterà".

Commento di fra Domenico Spatola al Vangelo della XII domenica del tempo ordinario (anno A): Matteo 10, 26-33


26 Non li temete dunque, poiché non v'è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato. 27 Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio predicatelo sui tetti. 28 E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna. 29 Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia.30 Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; 31 non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri!
32 Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; 33 chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.

L'annuncio delle Beatitudini richiedeva coraggio. La persecuzione, annunciata a conclusione,  terrorizzava i discepoli. Ma essi non dovevano rintanarsi per paura, bensì predicarle nelle piazze e dai tetti, che diventavano frequentemente i pulpiti occasionali dei predicatori itineranti. Nulla sarebbe stato luminoso come il  suo messaggio. Toccava tuttavia ai discepoli, da Gesù dichiarati "sale della terra e luce del mondo", dissipare il buio. Da intrepidi, senza temere i criminali che avrebbero potuto uccidere il loro corpo, ma non rendere fallimentare la loro "psiche" (forza vitale) gettandola nella Geenna, noto immondezzaio di Gerusalemme.  La morte infatti non avrebbe potuto scalfire la vita di chi crede in lui. Li esortava perciò a fidarsi del Padre, che se aveva cura dei passeri, temuti dai contadini, perché ritenuti nocivi alle culture, quanto più  non si sarebbe preso cura di loro? Anche i capelli della loro testa, infatti da lui erano tutti contati. Ma se Gesù chiedeva fiducia ai discepoli,  non concedeva tuttavia credito ai voltagabbana che lo avessero rinnegato e da se stessi si sarebbero estromessi dalla cerchia dei suoi amici.

Fra' Domenico Spatola 

sabato 17 giugno 2023

Fra' Domenico Spatola: Mandasti i seguaci...

Tua passione
fu la compassione
per chi sbanda
in ogni landa
senza meta. 
Volesti, Gesù, lieta
indicar la strada, 
e, a ogni contrada, 
mandasti i tuoi seguaci, 
a parlar procaci
del tuo Regno.
A segno
desti anche indicazioni:
come liberar da oppressioni
e malattie.
E  i Dodici percorsero le vie
e del Vangelo il mondo
resero fecondo.
Nulla portaro appresso:
eredità era Dio stesso.

Fra' Domenico Spatola

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Undicesima domenica del tempo ordinario (Anno A): Matteo 9, 36-10,8

9:36
 Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore. 37 Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi! 38 Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!».
10:1 Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d'infermità.
2 I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, 3 Filippo e Bartolomeo, Tommaso e Matteo il pubblicano, Giacomo di Alfeo e Taddeo, 4 Simone il Cananeo e Giuda l'Iscariota, che poi lo tradì.
5 Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti:
«Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; 6 rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele. 7 E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. 8 Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.

Israele appariva a Gesù come "un gregge di pecore senza pastore". Ne provava compassione. Toccava ai discepoli,  "governarlo". Gesù affidò loro l'ardua missione,  per "la molta messe e i pochi operai". Ne scelse "Dodici".  Più che aritmetico, il numero era simbolico del vecchio Israele con le tribù. Toccava ai discepoli di Gesù incarnare il "nuovo". Vennero assegnati loro gli stessi suoi poteri,  per cacciare i demoni e guarire i malati. Puntuali anche le indicazioni: non andare né dai pagani, né dai Samaritani. Era infatti prematuro. Destinatari erano Ebrei, " perduti della Casa di Israele". Nel nuovo Regno si dava spazio agli emarginati dalla istituzione religiosa: pubblicani e peccatori. I discepoli  abilitati ma esclusivamente ad evangelizzare. Si faceva distinzione con l'insegnare,  che presupponeva la conoscenza profonda delle Scritture.  Compito da Gesù riservato a se stesso nelle liturgie sinagogali. Da parte loro l'annuncio della "buona notizia del Regno, ormai vicino",  accompagnato dalle stesse gesta di Gesù in favore di infermi e dei morti, purificando lebbrosi e ammansendo fanatici. Attenti a donare tutto gratuitamente, come essi lo avevano ricevuto.

Fra' Domenico Spatola

venerdì 9 giugno 2023

Fra' Domenico Spatola: Sei pane e vino

Sognavi, Gesù, 
cosa dare di più
a creatura
e, oltre leggi di natura, 
del pane prendesti forma
obbligando a norma
i discepoli stupiti, 
ai nuovi tuoi riti.
Non sacrificasti l'agnello, 
perché di quello
prendevi sembianza.
Da allora avanza
il pane che spezzi ancora, 
come madre ogni ora,     
si fa latte al figlio. 
Per fede, è stesso appiglio
per cui ti fai pane, 
e rendendo vane 
per noi altre vivande
in Amore che s'espande.

Fra' Domenico Spatola

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Solennità del "Corpus Domini" (anno A): Giovanni 6, 51-58

51
 Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
52 Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53 Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. 54 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. 55 Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. 57 Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. 58 Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

A Cafarnao, sul lato orientale del mare di Tiberiade, in sinagoga Gesù chiarì alla folla, accorsa per farlo re, il "significato" della condivisione dei pani. Aveva sfamato,  il giorno prima sull'altra riva, cinquemila uomini con solo cinque pani e due pesci. Spiegava che quel gesto era un indizio perché cercassero il cibo che non perisce: "il pane,  vivente", quale si definiva da se stesso: "Io sono il pane vivo". Garantita è la vita eterna,  cioè indistruttibile. Il confronto con la manna di Mosè fu a sfavore del cibo del deserto,  dove tutti morirono. Mentre  "Il pane che dà vita eterna -  diceva - è la mia carne", e "vera bevanda il mio sangue". Da "Verbo incarnato", assumendo la nostra carne, offriva la sua divinità. Tale simbiosi si invera in ogni Eucaristia. L'umanità assunta da Gesù è infatti il suo "sacramento" per noi chiamati ad evolverci verso la "Theosis",  la divinizzazione. Lo preannuncia Giovanni Evangelista nel Prologo: "a coloro che l'hanno accolto,  ha dato il potere di diventare figli di Dio". L'Eucaristia, definita dal Concilio Vaticano II "apice e fonte della vita cristiana", ci innesta quali "tralci nella vite" per portare osmoticamente molto frutto. Se il Corpo di Gesù ricevuto crea comunione, il suo Sangue valida ed eterna la nuova Alleanza. Eucaristia e Croce, come poli, si corrispondono complementarietà e speculare reciprocità di lettura .  L'Eucaristia infatti è spiegazione della Croce e dell'amore più grande,  e viceversa. Dunque il Corpo e il Sangue  di Gesù radicano stessa comunione con il Figlio, come lo è con il Padre.

Fra' Domenico Spatola

sabato 3 giugno 2023

Fra' Domenico Spatola: Mio godimento

O Trinità Santa,
quanta
tua predilezione
a guardo di mia consolazione.
Ardimento
spinge e sento 
soffio tuo vitale, arreso a normale 
ragion di vita 
che a me dài infinita. 
Affondo sguardo 
in te che sei traguardo 
e, a intellezione, 
ricordo allocuzione 
del Figlio che sua fonte, 
fa il Padre di sue impronte 
in te, o Cristo, 
da me visto 
coi segni incancellati 
e lo Spirito, che iniziati 
ci ha, da vedere Dio 
e ciò di me oblio 
a immersione 
in tua visione.

Fra' Domenico Spatola

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Solennità della Santissima Trinità (anno A): Giovanni 3, 16-18

16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. 17 Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. 18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.

Contrariato doveva essere Nicodemo dalla lezione di Gesù. Da fariseo/capo, aveva sempre pensato a Iahvè come al Dio della Legge, che premia e condanna, mentre l'affermazione di Gesù: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio", lo destabilizzava. Per lui Iahvè era talmente geloso della sua unicità da non avere come rivale neppure un Figlio. Aggiungeva inoltre la sua predilezione indiscussa per la Legge e suo criterio di giudizio per condannare o premiare. Il Dio invece raccontato da Gesù che si spinge ad amare fino a donare il Figlio non era nelle sue corde e perciò lo riteneva insopportabile. Altro che "Riformatore" della Legge, come era andato a proporgli di accettare. Gesù parlava da "innovatore" e "rivoluzionario" che avrebbe destabilizzato Israele. Più insopportabile gli sembrò la motivazione della scelta di Dio: "Non ha mandato il Figlio per condannare ma per salvare il mondo". Non era più dunque la Legge a far predominare Israele sugli altri popoli, ma la fede in Gesù avrebbe salvato il mondo. A compendio, l'affermazione che "si condanna chi non crede nel nome dell'unigenito Figlio di Dio", romperà con Nicodemo il dialogo mai iniziato.

Fra' Domenico Spatola