mercoledì 31 marzo 2021

Fra' Domenico Spatola: 31 marzo 2021, Mercoledi della Settimana santa: Matteo 26, 14-25

14
 Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti 15 e disse: «Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d'argento16 Da quel momento cercava l'occasione propizia per consegnarlo.
17 Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che ti prepariamo, per mangiare la Pasqua?». 18 Ed egli rispose: «Andate in città, da un tale, e ditegli: Il Maestro ti manda a dire: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli». 19 I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.
20 Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. 21 Mentre mangiavano disse: «In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà». 22 Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». 23 Ed egli rispose: «Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. 24 Il Figlio dell'uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!». 25 Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l'hai detto».

La scena è tenuta da Giuda Iscariota. Altra angolatura, da Giovanni, è quella dei Sinottici e, nello specifico, di Matteo. L'espressione "Uno dei Dodici" accomuna i discepoli sospettati, in quella che poi sarà la esclusiva scelta di Giuda. La paura per la tragica fine, aveva infatti destabilizzato tutti, e ciascuno chiederà: "Sono forse io, Maestro?". Il timore era di essere stato scoperto. Ma "svendere" il Maestro ai capi dei Giudei, comprensibilmente interessati "all'affare", fu esclusiva azione di Giuda. "Trenta le monete d'argento" pattuite, corrispondenti al prezzo di mercato di uno schiavo. Al decisivo passo, gli altri saranno conseguenziali. Restava da aspettare l'occasione per la "consegna".  Propizia fu la Pasqua dei Giudei, ideale a trasformarsi in "Pasqua del Signore". Gesù infatti sarebbe stato  "l'Agnello" sacrificale. I discepoli, inviati da Gesù a un tale, riferirono: "Il Maestro dice: il mio tempo è vicino, e voglio fare la Pasqua con i miei discepoli". La stanza offerta era delle grandi occasioni. A sera, a tavola, non c'era allegria. Pesava la denuncia del Maestro: "Uno di voi mi tradirà!" Ognuno chiedeva dal suo canto se avesse individuato in lui il traditore, ma Gesù lo indicò in chi intingeva in quel momento il pane nel suo stesso piatto. A lamento, proseguì: "Il Figlio dell'uomo se ne va  come sta scritto, ma guai a colui da cui  viene tradito!
Meglio per lui se non fosse mai nato!" 
La denuncia non servì tuttavia a conversione del traditore che, spavaldo, lo sfidò: "Rabbì, sono forse io?" Come un sibilo risuonò la risposta: "Tu l'hai detto!".

Fra' Domenico Spatola 

martedì 30 marzo 2021

Fra' Domenico Spatola: Raccolsi coraggio... (ricordando colei che mi diede la vita)

 
Ti rividi stanotte,
sulle mie rotte
a navigare
in stesso mare:
procelloso
era pauroso
per l'onde
infrante su sponde
della mia barca,
già parca
da annosa tua assenza.
Venivi a clemenza
materna
e offrivi lanterna 
a buio mio fitto
e afflitto 
a perché.
Parlavi a me
di vita tua antica
e della fatica,
e quando tuo viso
atteggiasti a sorriso:
in mio equipaggio
raccolsi il coraggio.

Fra' Domenico Spatola

lunedì 29 marzo 2021

Fra' Domenico Spatola: Ringraziamento

Voglio ringraziare amici
che si dicono felici
di farmi gli auguri
con sentimenti puri
e in grande affetto.
Vi porto nel mio petto
con amore
servandovi in cuore
un posticino
così a voi vicino
mi sarà conforto
sapere che il porto
sarà il sollievo
che Gesù darà all'allievo.

Fra' Domenico Spatola

Fra' Domenico Spatola: I miei anni


Ogni "Buon compleanno!"
sono anni che vanno
e del tempo trascorso
provo qualche rimorso.
Ai Settanta,
che cifra è già tanta,
ne aggiungo altri due:
Settantadue
è l'età che ti trovi
Gatta ci covi
nuovi anni futuri
che più maturi
aggiungan sapienza,
di cui ormai senza
non posso restare:
è l'arte d'amare.

Sono anni che pesano e trasudano ansia di libertà.  Fatti costelli in piccole e grandi cose,  aspirazioni e sogni, a volte immaginati ideali, altre fantasmi in paure. È soprattutto fede nell'uomo e nell'umanità cui ho creduto a toccare cuore della gente, tanta in dolore e speranza. Quanti sono e saranno misteri in lotte per ideali, a cogliere ansie di vita, maggior parte gia vissuta, quanto resta è ancor mistero in fiducioso affido all'amore che non mi difettò, perché mai sazio fui, nè mai bastante il respiro d'immenso, di cui esito attendo in incanto, a vanto che l'amore ha ferito ancora...era il tuo, o Signore.

Fra' Domenico Spatola 

venerdì 26 marzo 2021

Fra' Domenico Spatola: Di loro Osanna eran giulivi

Presso Betfage e Betania 
ebbe smania
di inviare due seguaci
perché audaci
liberassero un legato
puledro mai montato
con la scusa che al Signore 
dava onore.
Condotto a lui quel asinello,
lo vestiron del mantello
e su lui Gesù salì.
Stesso gesto qualcun seguì,
mentre altri il mantello
stesero a terra a modello,
e a segno di potere
mentre mani lor sincere
agitavano gli ulivi
con gli Osanna più giulivi,
e gridavan: "Benedetto
a colui che è perfetto,
e con mirabile suo segno,
di re Davide fa il Regno!"

Fra' Domenico Spatola 
Nella foto: Dipinto del Lorenzetti

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Domenica delle Palme (anno B): Marco 11, 1-10

1
 Quando si avvicinarono a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, mandò due dei suoi discepoli 2 e disse loro: «Andate nel villaggio che vi sta di fronte, e subito entrando in esso troverete un asinello legato, sul quale nessuno è mai salito. Scioglietelo e conducetelo. 3 E se qualcuno vi dirà: Perché fate questo?, rispondete: Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito». 4 Andarono e trovarono un asinello legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo sciolsero. 5 E alcuni dei presenti però dissero loro: «Che cosa fate, sciogliendo questo asinello?». 6 Ed essi risposero come aveva detto loro il Signore. E li lasciarono fare. 7 Essi condussero l'asinello da Gesù, e vi gettarono sopra i loro mantelli, ed egli vi montò sopra. 8 E molti stendevano i propri mantelli sulla strada e altri delle fronde, che avevano tagliate dai campi. 9 Quelli poi che andavano innanzi, e quelli che venivano dietro gridavano:
Osanna!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
10 Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide!
Osanna nel più alto dei cieli!

Al villaggio di fronte, Gesù inviò due discepoli a "slegare" un asinello e portarglielo. Betfage e  Betania, in prossimità di Gerusalemm, erano dominate dall'ideologia del "villaggio" refrattaria a qualunque novità. L'intero episodio di Marco è all'insegna dell'incomprensione tra Gesù e discepoli. Il "cammino" per Gerusalemme era iniziato a Cesarea di Filippo, dove Gesù aveva dato il primo annuncio della sua "passione, morte e risurrezione". La reazione di Pietro fu immediata : "Il Messia non deve morire!" Tracotante da meritare l'appellativo di "satana" e l'ingiunzione di rimettersi a sequela. In prossimità della meta, Gesù vuole fare l'ingresso alla sua maniera. I discepoli tornarono con l'asinello, attuando la profezia di Zaccaria, il quale, cinque secoli prima, in contro tendenza, aveva prospettato un Messia umile su un asinello. Impopolare, la profezia fu subito rimossa  dagli scribi, perché contraria ai sogni di gloria d'Israele. Gesù la sceglie, e quanti lo seguono mostrano, col gesto del mantello, il tipo  di adesione. Chi lo pone sul dorso del puledro, aderisce totalmente. Chi invece lo stende sulla strada perché Gesù vi passi sopra,  dichiara sottomissione a colui che riconosce dominatore. Le palme e gli  ulivi agitati, sono i simboli della "festa delle capanne", messianica per eccellenza. L'ingresso di Gesù e in contraddizione col trionfo atteso, e passa perciò sdegnosamente inosservato dalle autorità e dalla stessa città. Ma anche tra gli osannanti c'era chi, di lì a poco, avrebbe chiesto a Pilato di crocifiggere Gesù. Il corteo frattanto si va qualificando tra chi segue Gesù e chi lo precede a indicare il cammino, rifiutandosi di seguirlo nell'offerta della vita.

Fra' Domenico Spatola

Nella foto: dipinto di Giotto.  

giovedì 25 marzo 2021

Fra' Domenico Spatola: In ricordo di Dante...

Il 25 marzo del 1300, l'anno del primo Giubileo inaugurato da papa Bonifacio VIII, Dante iniziò il "suo" viaggio nell'oltretomba, "nel mezzo del cammin di nostra vita". La paura delle belve a osteggiarlo "nella selva scura, chè la diritta via era smarrita", fu superata con l'aiuto di Virgilio che l'accompagnerà nell'avventura. Sarà il suo "maestro e duca" a fargli attraversare indenne "la città dolente e la perduta gente", ossia l'inferno visitato con introspezione onirica e a specchio per la sua società. Fantasticamente geniali in arrovellate tensioni, gli intrecci più strani, sia privati che collettivi, storici e mitologici. Tutti collegati da passioni forti e a tinte rubeste e sanguigne, senza tuttavia mancare i sentimenti, modulati in delicatezza al bisogno. Anticipazione della psicanalisi da venire con Freud, per le icastiche introspezioni che non sfuggono al lettore attento. Sono lo specchio delle debolezze e dei turgori che scuotono la virilità matura e la rendono animosa nell'epoca degli intrighi e dei  tradimenti, e di quelli dal sommo Poeta subiti fino alla tarda età a sperimentare  "quanto duro è il pane altrui" e lo "scendere e salire l'altrui scale". La sua patria non gli fu prodiga. "Florentini natione non moribus", scrisse di sé, per la città che con i natali gli aveva consegnato la condanna "ure et igne comburatur", condannandolo due volte al rogo.
Non gli perdonò di essere "guelfo" e soprattutto dei "Bianchi". Ramingo portò il suo dolore, stemperato solo dai versi con i quali ritrasse il vissuto di una età, la sua.
La mitologia, recuperata dalle Metamorfosi di Ovidio e dall'Eneide di Virgilio, offre modelli scelti e sorprendenti per noi, in versi fluenti e icastici a fotografare immagini indelebili nella memoria. Ampi anche gli quarci di debolezza misti a vigore, e di orgoglio confuso a umana pietà. Piange per i dannati ma non manca di ammirare Farinata degli Uberti, acerrimo nemico in politica. Ritma le tensioni come i versi fluenti e coinvolge teneramente alla sorte di Paolo e Francesca ma anche con orrore alla più inquietante tragedia del Conte Ugolino "in contrappasso" a rodere il cranio del traditore arcivescovo Ruggero. L'itinerario catartico è favorito da due donne (santa Lucia e Beatrice), mentre la pace è da lui cercata "nella conoscenza" di cui è mai sazio, e come ventriloquo fa dire ad Ulisse, in coppia con Diomede nel girone degli imbroglioni: "Nati non fummo per vivere come bruti, ma per seguir virtude e conoscenza". Ragione della sua irragiungibile poetica in vita e in arte. Sempre tentati di farla anche nostra...

Fra' Domenico Spatola 

Fra' Domenico Spatola: Ave Maria...

L'Ave del Messo celeste,
o Maria, mutò nostre meste
prospettive di noia,
facendo rifiorire la gioia.
Maturato già forte,
dalla divina Corte
era atteso consenso,
che desti in assenso.
Congedasti per il cielo 
l'angelo del vangelo
che il divino Consiglio,
ti volle madre del Figlio.
Ma sarà Gesù dalla croce
a dir con potente sua voce
che Dio dell'amore è il Padre,
e che tu di noi sei la Madre!

Fra' Domenico Spatola

domenica 21 marzo 2021

Fra' Domenico Spatola: 21 marzo 2021, Primavera severa.

Severa 
primavera:
duole
che sole 
nasconde e pur non perde
suo manto verde
che trapunta in fiori
di variopinti colori
Pur lieve
scende neve,
belan agnelli 
e tra quelli
il muggir dei tori
che da signori 
dànno avviso
a ciò che diviso
è a ragione
in questa stagione
di primavera
che tutto invera!

Fra' Domenico Spatola

sabato 20 marzo 2021

Fra' Domenico Spatola: "Tutti attirerò a me!"

Per la festa venuti,
i Greci non furon muti
e, con richiesta audace,
dissero a Filippo seguace:
"Vogliamo veder Gesù,
e non possiamo attender più!"
Filippo di Galilea
e il collega Andrea
andarono dal Maestro
a narrare quel estro.
La notizia,
accolta con dovizia
di gioia dal Signore,
fu manifesta con ardore:
"È venuta l'ora della storia
che al Figlio venga gloria.
In verità se il chicco nell'orto
è già caduto ma non è morto,
rimane solo e senza frutto 
se invece è macerato tutto
produrrà molto
e tanto sarà il raccolto. 
Chi ama la propria vita
la rende triste e finita,
chi la odia in questo mondo,
ne rende frutto più fecondo 
per la vita eterna".
Dunque sia per voi lanterna
mia parola da udire:
"Chi mi vuol servire
mi segua e dove io sono,
con il Padre sarà il suo trono
e da lui verrà onorato.
Ma adesso son turbato,
e che dirò ancora,
Padre, salvami da quest'ora?
Ma per questo son venuto
perché di tua gloria non resti muto.
Dal cielo gli parlò
Colui che lo generò
attestando che la sua gloria
è il segno della sua vittoria.
Or chi intese il suono
l'equivocò a tuono
mentre ad Angelo annunziante
altri l'applicò all'istante,
ma Gesù: "Questa voce
dice che quando sarò in croce,
innalzato come Re,
tutti attirerò a me!"

Fra' Domenico Spatola

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Quinta Domenica di Quaresima (anno B): Giovanni 12, 20-33

20
 Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa, c'erano anche alcuni Greci. 21 Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli chiesero: «Signore, vogliamo vedere Gesù». 22 Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. 23 Gesù rispose: «È giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo. 24 In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. 25 Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. 26 Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà. 27 Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora! 28 Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!».
29 La folla che era presente e aveva udito diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». 30 Rispose Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. 31 Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. 32 Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me». 33 Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire.

A Cana, Gesù alla madre, che durante le nozze, perorava il cambiamento dell'acqua in vino, negò che "fosse giunta la sua ora".  
Nel capitolo dodicesimo dello stesso Quarto vangelo, dichiara che "quell'ora è finalmente giunta e il Figlio dell'uomo verrà glorificato!"  Il binomio "ora/gloria" è simbiotico. "Gloria" per gli Ebrei era la "Presenza" di Iahvè nel  santuario di Gerusalemme. Con Gesù essa si manifesta con lui sulla croce, onde comunicherà lo Spirito Santo alla Chiesa radunata. Le condizioni per quella "gloria", sono adombrate nella dinamica del "chicco di grano". Solo se muore infatti esso diventa spiga. Tuttavia è necessario che abbia la vita, e questa si manifesta amando. L'egoista è come morto, incapace di dare vita perché vive per se stesso. Chi invece vive segue Gesù imitandolo, e con lui, dal Padre, riceve stessa gloria perché servo come lui per amore ( "diàkonos"). Alcuni "ellenisti", ebrei della diaspora  erano venuti a Gerusalemme per l'annuale festa di Pasqua, propiziando l'evento,  attratti da Gesù, che volevano "vedere" per credere in lui.

Fra' Domenico Spatola 

giovedì 18 marzo 2021

Fra' Domenico Spatola: 19 marzo san Giuseppe

Vocato ad esser sposo,
disse: "non oso
di colei che prescelta
fu eletta
madre del Signore".
Il suo, era timore.
Ma nella notte dormiente,
l'Angelo insistente
disse: "Non rovinar progetto:
si tratta del diletto
Figlio suo che veniva
a offrire riva
di suo oceano di pace.
Sii tu seguace,
a missione
d'amore e di passione!"
Quando si fu svegliato,
accettò che avrebbe amato
la Madre e il Bambino
in già comun cammino.

Fra' Domenico Spatola

Fra' Domenico Spatola: 19 marzo, San Giuseppe

"Giuseppe è nome santo". Ripete a mantra una preghiera per la sua festa. Incommensurabile, e perciò ascrivibile a quella del patriarca Abramo, fu la sua fede, messa a dura prova con la missione che Dio gli affidava. Giuseppe ha creduto, infine e senza riserve. Da tale sua fede dipesero il Figlio di Dio  e la Madre. Aveva con lei fatto i sogni dei giovani nell'età dell'amore e magari progettato insieme la famiglia con tanti pargoli. Tutti di loro. Il Signore entrò inaspettato per un ruolo di primo piano, ma senza  interperlarlo. Non dalle  sue viscere quel Figlio, che è di Dio e della Sposa che, pur sua, resterà integra con verginità giurata in totale affido al mistero. "Lo Spirito scenderà su di te, e la Potenza dell'Altissimo ti coprirà", le aveva detto, a formula consacratoria, Gabriele, l'angelo dell'Incarnazione. Qui sperimentò il limite. La sua fu paura d'azzardo. Voleva fuggire, rompere con lei per altre scelte più terrene, che però non sa. In quel "progetto" non c'era spazio per lui. Maria non gli riferì parola alcuna dell'angelo a suo riguardo.  Dimenticanza? Se ci fu, era certamente imperdonabile. Restava il "ripudio in segreto". Decisione che, se presa, faceva saltare tutto. L'intervento urgeva, improcrastinabile. Canale preferito il sogno. Aveva funzionato con l'omonimo, figlio di Giacobbe. "Non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Colui che nascerà è il Figlio dell'Altissimo, e tu gli darai il Nome". Fu la svolta.
Era Dio stesso la persona da accogliere, custodire e amare. Subentrò gioia mista a stupore, pur con mille interrogativi ("Perché a me?") postisi da Giuseppe. Avrà cercato lumi dalla saggezza dei dottori esperti in cose divine, maturando nell'ascolto i suoi silenzi più fecondi a commento sul Nascituro e suo destino. Abbracciò la sposa, e la colmò di baci a farsi perdonare incertezze e dubbi. Sarà per Gesù il padre terreno. A lui il Figlio di Dio balbetterà per la prima volta: "papà". Ed egli lo assisterà a gattonare, gli insegnerà le prime lettere dell'alfabeto per imparare a leggere, da ebreo, le Scritture, e lo inizierà al lavoro del falegname. Veglierà sulle turbe adolescenziali, per maturarlo uomo. Gesù infatti sapeva "fare" Dio, ma da Giuseppe e da Maria imparò a "fare" l'uomo, "come noi" e  "per noi".

Fra' Domenico Spatola

mercoledì 17 marzo 2021

Fra' Domenico Spatola: A 160 anni dell'unità d'Italia

L'Italia s'è desta? 
Quella unità fu un bene, perché guai a chi è solo. Il periodo successivo al 1861, anno  della proclamazione dell'unità di Italia a Salemi, che per un giorno si fregia del titolo di "capitale d'Italia", fu gravido di storia. Popoli di diverse culture e linguaggi condivisero peculiarità e si rivelò alla lunga una ricchezza collettiva. I Savoia furono avidi con il Meridione. Anche la Chiesa subì soprusi, nel ventennio (1866-1886) in cui furono soppressi gli ordini religiosi per incamerarne i beni. Il brigantaggio lottò contro i Piemontesi, guardati da usurpatori. Tragiche le repressioni conseguenti, poliziesche e molto dure. Se il parto della "nuova" Italia fu doloroso, non minore sofferenza e povertà sembrarono accompagnare gli anni della Prima Grande Guerra, quando tutti al fronte, gli italiani sperimetarono uncomparato inedito tra Nord e Sud per difendere "i sacri confini" e soprattutto conquistarne dei nuovi. Il "dopo guerra" fu ulteriore tragedia aggravata dalla "spagnola", la pandemia che decimò  specialmente le donne, risparmiate dall'evento bellico. Venne il duce, uscito da movimenti insurrezionali e sindacali e dalla classe operaia, agitata in continui scioperi per le difficoltà crescenti per i debiti di guerra che assimilavano l'Italia ad altri Stati d'Europa, soprattutto alla Germania, uscita malconcia dal "Trattato di Versailles". E Il ventennio fascista? Più di tutti favorì l'unità della Nazione. Ma a che prezzo? Era vietata la libertà e permessa solo l'ideologia imperante fascista appiattita sul Nazionalsocialismo di Hitler da cui assunse le malefiche leggi razziali (1938) dando inizio al declino spaventoso fino al baratro della Guerra, con i lutti e le ferite nell'anima ancora non rimarginate. La rinascita fu lenta e ci aiutarono gli USA, implorati, con il cappello in mano, dal grande Alcide De Gasperi. I moti del Sessantotto furono epocali a rifiuto delle baronie ritenute obsolete e da combattere in tutti settori, soprattutto in quelli dei saperi. Sociologi come Marcuse guidarono pletoriche folle di giovani, ideologizzati a coscienza populista e demagogica. Tutto del passato fu messo   in discussione. I movimenti studenteschi si rivoltarono rinfocolati da estremisti libertari e spesso liberticidi, rappresentati dai colori più diversi  (dal nero al rosso, a seconda se di destra o di sinistra), e marcarono di terrore le notti buie della Repubblica. Le Brigate rosse si resero protagoniste "in nome del tribunale del popolo" di omicidi eccellenti tra cui quello di Aldo Moro e della sua scorta. Ma se al Nord e nelle università (Genova, Padova, Torino, Trento...) si viveva l'ideologia irredentista,  al Sud la mafia faceva loschi affari, soprattutto con l'incipiente  già redditizio, commercio della droga che scorreva sui traffici internazionali. Maturarono le stragi di Stato, contro i migliori servitori (Falcone, Borsellino, Mattarella e gli altri eroi) meritevoli di miglior ricordo. Gli intrecci, tra mafia e politica a tutt'oggi sono argomenti tabù perciò irrisolti. Il 1992 fu Tangentopoli, ad opera di Antonio di Pietro. Caddero come birilli, i capi dei partiti e quanti pensavano  ai casi loro, usando i beni di tutti. Si provò ad uscire dall'impasse, e fu favorito colui che venendo da Arcore, diffuse l'ideologia del liberismo senza freni, e per jn altro "ventennio", con le sue televisioni, formò le nuove generazioni all'idea del  guadagno a tutti i costi, col rampantismo dell'effimero protagonismo. E certo incompleta l'analisi, e magari un poco spietata, e per l'Italia il prodotto arlecchino di tanti puzzle, ma come non riconoscere che è comunque la nostra madre? Nel bene e nel male non possiamo non amarla. Perciò: buon compleanno Italia!

Fra' Domenico Spatola

venerdì 12 marzo 2021

Fra' Domenico Spatola: Il Figlio innalzato...

A Nicodemo fu offerto,
da Gesù, del deserto
l'esempio di Mosè col serpente 
innalzato ed esigente
ora che elevato
sia il Figlio, l'amato
perché chi lui vede
di stessa vita sia l'erede.
Il Padre l'ha mandato
affinché il mondo sia salvato,
e chi in lui crede non si danna,
perché senza, è la condanna.
Il giudizio è questo:
caccia il buio pesto
la luce ch' è venuta,
ma la tenebra voluta
è l'opera malvagia,
che il male incoraggia
a odiar la luce
che al vero conduce,
e a chi fede ha luminosa
rende  vita radiosa 
con divina essenza 
per tutta l'esistenza.

Fra' Domenico Spatola

Commento di fra' Domenico Spatola al vangelo della IV domenica di Quaresima (anno B): Giovanni 3,14-21

14
 E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, 15 perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».
16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. 17 Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. 18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. 19 E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. 20 Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. 21 Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.

Nicodemo, fariseo e capo dei Giudei, si recò da Gesù di notte. Le sue credenziali non deponevano per un dialogo proficuo.  L'incontro era stato propiziato da Nicodemo per il suo convincimento che Gesù fosse il "Maestro" di Israele,  "nessuno potrebbe - a suo dire - fare quei segni, se Dio non fosse con lui". Era stato tra quei Giudei che avevano approvato la condanna dei mercanti del tempio, e visto, per quel gesto, in Gesù  l'atteso "riformatore" della Legge e del culto. Il dialogo ebbe difficoltà a decollare e presto si tramutò in monologo di Gesù, per l'indisponibilità di Nicodemo a "rinascere". L'immagine del "serpente bronzeo innalzato da Mosè nel deserto" fu ultimo tentativo d'aggancio per correlare il modello esclusivo d'Israele, con quello del Figlio dell'uomo elevato sulla croce, per la salvezza del mondo. Incomprensibile per un professionista della meritocrazia come Nicodemo comprendere l'amore incondizionato e unilaterale del Padre che "ama il mondo, da mandare il Figlio"  per donare a chi crede, la vita eterna, con l'esclusione di ogni giudizio e condanna. Idea  inaccettabile per il Fariseo che della osservanza della Legge aveva fatto la discriminante di Israele contro i popoli. "Fare la verità" sarà il nuovo traguardo per compiere il bene ed ereditare la vita.

Fra' Domenico Spatola


domenica 7 marzo 2021

Fra' Domenico Spatola: Omaggio alle Donne

Alle donne: omaggio
per il coraggio
di esserci madri, sorelle e spose.
Tante son le cose
che il cuor vi detta
anche senza che vi spetta,
pronte a servire,
siete prime a udire
vagiti di bimbi,
vostri limbi
di appagamento.
Senza di voi il firmamento 
non sarebbe quello
che a noi si svela bello.
Donate tenerezza,
chiedendo sol carezza
e, a passione,
più comprensione
per vostri sentimenti,
profondi di commenti
di ciò che vostro cuore
parla d'amore.
Or più che mai,
per fugare i guai,
il mondo di voi abbisogna
e agogna
vostro ideale,
dolce e reale
di vita garantita 
pur nella fatica, 
a voi familiare
di cose care
e, nel diletto,
del figlio che nutrite al petto.

Fra' Domenico Spatola

sabato 6 marzo 2021

Fra' Domenico Spatola: "Distruggete questo tempio..."

Per la Pasqua dei Giudei,
Gesù trovò dei rei
che vendevano perdono 
nel tempio in abbandono,
con colombe, pecore e buoi.
E se sapere vuoi
ciò che più lo irretì
sappi che furon quelli lì
che cambiavan le monete,
il frutto delle diete
della gente,
verso cui indifferente 
era il sacerdotale umore,
per traviato cuore,
i capi che il denaro 
riteneano il dio più caro.
Atterrò le bancarelle
e con frusta di cordicelle,
scacciò i venditori
con pecore e coi tori.
A chi vendea colombe,
disse: "Farò ecatombe
se non portate via le cose,
che piena fan vostra dose.
In casa di mio Padre
non siano azioni ladre,
di chi vende a caro prezzo
ciò cui egli è avvezzo
a donar liberamente!"
I suoi, immantinente,
alla memoria alzando il velo,
ricordarono suo zelo.
Presero intanto la parola
quanti ad altra scuola
andavano per udire:
"Per questo tuo ardire,
qual segno a noi tu dai,
o qual opera ci fai?"
"Questo tempio
sarà l'esempio:
lo distruggerete
ma saràn liete
le ore in cui risorgerò!"
A dissenso però
argomentarono i Giudei: 
"Quarantasei
gli anni di sua costruzione,
e, in tre giorni, ne fai resurrezione?"
Ma suo messaggio
non superava il raggio
del tempio del suo corpo.
Tagliando corto:
quando fu risuscitato,
dai suoi fu ricordato,
che la Scrittura
dichiarava duratura
sua Parola,
che tenea scuola
in quei frangenti
ai tanti credenti
in lui.
Ma egli conoscea i bui
del cuore di ciascuno,
e non si fidava di nessuno.

Fra' Domenico Spatola
Nella foto: Dipinto del Guercino

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Terza Domenica di Quaresima (anno B): 2, 13-25

 
13 La Pasqua dei Giudei era vicina e Gesù salì a Gerusalemme. 14 Trovò nel tempio quelli che vendevano buoi, pecore, colombi, e i cambiavalute seduti. 15 Fatta una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori dal tempio, pecore e buoi; sparpagliò il denaro dei cambiavalute, rovesciò le tavole, 16 e a quelli che vendevano i colombi disse: «Portate via di qui queste cose; smettete di fare della casa del Padre mio una casa di mercato». 17 E i suoi discepoli si ricordarono che sta scritto:
«Lo zelo per la tua casa mi consuma».
18 I Giudei allora presero a dirgli: «Quale segno miracoloso ci mostri per fare queste cose?» 19 Gesù rispose loro: «Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere!» 20 Allora i Giudei dissero: «Quarantasei anni è durata la costruzione di questo tempio e tu lo faresti risorgere in tre giorni?» 21 Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22 Quando dunque fu risorto dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che egli aveva detto questo; e credettero alla Scrittura e alla parola che Gesù aveva detta.
23 Mentre egli era in Gerusalemme, alla festa di Pasqua, molti credettero nel suo nome, vedendo i segni miracolosi che egli faceva. 24 Ma Gesù non si fidava di loro, perché conosceva tutti 25 e perché non aveva bisogno della testimonianza di nessuno sull'uomo, poiché egli stesso conosceva quello che era nell'uomo.

Il  Quarto Vangelo, da subito, apportò radicali sostituzioni ai simboli di Israele. Gesù disilluse i Giudei che vivevano l'attesa del Messia davidico "riformatore", presentandosi  "Novatore", e con gesti "rivoluzionari". Egli infatti non intendeva "riformare" la Legge di Mosè, ma la voleva sostituire, soprattutto nelle parti che stonavano col suo messaggio. Cambiò anche l'Alleanza antica, che era stata stipulata su rapporto obbedienziale da servi col padrone. Ma tale ruolo, per Gesù, non si addiceva al suo Dio, che "da padre" si relaziona coi figli non sull'obbedienza e sul timore, ma sulla somiglianza e sull' amore. Il Tempio, la casa  della "Gloria di Dio" ("Kabòd"), era per gli Ebrei simbolo e fulcro dell'unità della Nazione. Gesù, a provocazione, lo dichiarò: "spelonca di ladri", infatti tale l'avevano ridotto. A Pasqua, vi trovò un mercato con venditori, armenti e cambiavaluta. L'affare era legittimato dalle autorità religiose, avide di guadagni. Costosi erano infatti i sacrifici di "purificazione", imposti agli inadempienti della Legge. L'illusione era di tacitare abissali sensi di colpa, causati dalle leggi che la classe dirigente accresceva allo scopo. Titanica perciò divenne l'opera di abolizione compiuta e di Gesù la sfida. Atto dovuto, che venne però frainteso anche dai discepoli. La "frusta di cordicelle" che fugò i mercanti e il rimprovero ai "venditori di colombe", perché facevano pagare ai poveri il perdono che doveva essere gratuito, furono dai discepoli inizialmente interpretati come "zelo per la casa del Signore, che lo divorava". I Giudei, che attendevano la "riforma", ne videro l'attuazione, anche se chiesero un ulteriore "segno", che per loro doveva coincidere con quello di Mosè che operò lo sterminio dei primogeniti degli Egiziani. Gesù offrì invece se stesso a "segno": "morto e risorto il terzo giorno". Equivocarono sul "tempio", pensando a quello esistente in pietra da "quarantasei anni" e che altri avrebbero distrutto in un prossimo futuro. Gesù invece parlava del "tempio del suo Corpo", unico per incontrare il Padre. L'incomprensione facilitò in quei Giudei adesione, fatua e momentanea, e sventata da Gesù, che, conoscendone i pensieri, non si fidava di alcuno di loro.

Fra' Domenico Spatola