sabato 27 aprile 2024

Fra' Domenico Spatola: Gesù, vera vite...



Sei vite feconda,
e tua vita inonda
i tralci a dar frutto. 
Dici: "il Padre di tutto
agricoltore
che, con amore,
purifica la pianta
affinché sia più tanta
sua produzione". 
Il tralcio, se non produce,
nel fuoco si riduce,
mentre l'operoso
sarà fruttuoso
se rimane nel tuo amore.
Gesù, col batticuore,
dicevi ai seguaci
che li volevi audaci
per rimanere in te
a fruttificar per tre.

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra Domenico Spatola al Vangelo della Quinta domenica di Pasqua: Giovanni 15, 1-8

 
1 «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. 2 Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3 Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. 4 Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. 5 Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6 Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7 Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. 8 In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

Nella parabola "della vite e dei tralci", Gesù indica ai discepoli i rispettivi ruoli: il Padre   impersona l'agricoltore, il Figlio è la "Vite", e i discepoli sono i "tralci". Al Padre spetta "purificare" 
la pianta. Il verbo non è il potare, che implicherebbe stroncature. Il Padre toglie i difetti ai tralci, perché diano più frutto. Gesù definendosi "vera Vite" si pone in polemica con l'Israele, denunciato anche da Isaia (cap. 5) per avere dato uva acerba. Anche i  tralci da Gesù sono chiamati a dare frutto vero. Le condizioni perché ciò avvenga è la comunione con lui: "Rimanete in me e io in voi". Linfa vitale della Vite è lo Spirito Santo che, osmoticamente nei tralci, comunica stessa vitalità. Se però essi si staccano, non avendo alimento, muiono e verranno bruciati. Gesù si offre a mistero di intimità col Padre e, in ogni Eucaristia, si offre speculare modello, chiedendo al discepolo lo stesso suo dono: farsi pane per i fratelli.

Fra' Domenico Spatola 

sabato 20 aprile 2024

Fra' Domenico Spatola: Buon Pastore



Tu amore
dài al gregge, 
da nuova legge
del tuo cuore
da pastore. 
Affrontasti il lupo 
giunto cupo, 
e con passione
evitasti dispersione
delle pecore a te date.
Eran ténere e delicate
e strette le tenevi al petto, 
e hai costretto
il vorace lupo
a finire nel dirupo. 
Dal Padre hai ricevuto,
che nessuno sia perduto
e in ogni Ostia ti consegni,
perché regni
in nostro cuore
in pienezza il tuo amore.

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra Domenico Spatola al Vangelo della Quarta domenica di Pasqua (anno B): Giovanni 10, 11-18

 
11 Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore. 12 Il mercenario, che non è pastore, e al quale non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e si dà alla fuga (e il lupo le rapisce e disperde), 13 perché è mercenario e non si cura delle pecore. 14 Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie conoscono me, 15 come il Padre mi conosce e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16 Ho anche altre pecore, che non sono di quest'ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore. 17 Per questo mi ama il Padre; perché io depongo la mia vita per riprenderla poi. 18 Nessuno me la toglie, ma io la depongo da me. Ho il potere di deporla e ho il potere di riprenderla. Quest'ordine ho ricevuto dal Padre mio».

"Io sono" equivaleva a "Iahvè" che, per gli Ebrei, era il nome santo di Dio. Con stessa dicitura perciò Gesù rivendicava per sé l'identità divina. Quello era infatti il nome, con cui Dio si presentò a Mosè, per dichiararsi a fianco del suo popolo.
Gesù si definì "buon Pastore". L'aggettivo greco non era tuttavia "agathòs" ma "kalòs", che meglio diceva bellezza e soprattutto "unicità". Dunque il Pastore atteso era l'eccellente. Le autorità giudaiche si allarmarono, gelosi da arrogarsi quel ruolo. Gesù li smascherò perché, a differenza di loro, non sarebbe fuggito alla vista del lupo, lasciandogli sbranare le pecore. Egli lo avrebbe affrontato a rischio della vita. L'immagine del pastore e delle pecore era stata adottata cinque secoli prima dal profeta Ezechiele per descrivere il rapporto tra Dio e il suo popolo. Gesù la recuperò per sé, superandola, perché egli non si sarebbe limitato a proteggere il gregge,   ma ne avrebbe prevenuto i bisogni, anche rischiando la vita. Bollò perciò gli avversari da "mercenari" e affaristi, e suo vanto fu quello di "conoscere" le sue pecore. Elegiaca la descrizione della intimità con loro. Stessa "conoscenza" infatti che relaziona il Padre al Figlio. Annunciò infine aperto agli immensi orizzonti il suo gregge, abolendo gli steccati dell'unico ovile. Garantita dal Padre fu infine la vita piena offerta a chi dava la sua per amore, coerente sua eredità evangelica: "si possiede ciò che si dona".

Fra' Domenico Spatola 

sabato 13 aprile 2024

Fra' Domenico Spatola: La Risurrezione



Fu nuova sorte
che dissacrò la morte.
Ma i tuoi seguaci
non furono audaci
per paura.
Nuova però natura
ad essi conveniva
di tua presenza viva. 
Li calmasti con amore
e rinverdirono l'ardore,
e desti a mandato
il Vangelo predicato
a ogni gente
gaudente,
per il peccato
ormai estirpato.

Fra' Domenico Spatola 
Nella foto: dipinto di Duccio di Buoninsegna 

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Terza domenica di Pasqua (anno B): Luca 24, 35-48

35 Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
36 Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 37 Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. 38 Ma egli disse: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39 Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho». 40 Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41 Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». 42 Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; 43 egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
44 Poi disse: «Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». 45 Allora aprì loro la mente all'intelligenza delle Scritture e disse: 46 «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno 47 e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48 Di questo voi siete testimoni.

Che l'esperienza della Risurrezione di Gesù fosse possibile per tutti, lo attestarono i quattro evangelisti, dando preziosi indizi per incontrarlo. Quelli che, a Emmaus, lo avevano riconosciuto nello "spezzare il pane", erano tornati per raccontarlo a quelli di Gerusalemme. Gesù li raggiunse e stette nel mezzo, comunicando la Pace. Era il dono, meritato e ora consegnato ai suoi. I discepoli però gridarono al fantasma. Provò a rasserenarli. A dimostrazione della fisicità che un fantasma non poteva avere, li invitò a toccargli le mani e i piedi con segni della Crocifissione.  
Ancora impauriti, diede loro ulteriore prova mangiando davanti a loro."Corpo spirituale", da novità, spiegherà Paolo ai Corinti. Provata con passione la sua fisicità, Gesù interpretò le Scritture. Parlò ai discepoli di ciò che del Messia avevano attestato le Scritture, ma essi avevano pervicacemente rifiutato: il disprezzo e la persecuzione che avrebbe subìto fino alla croce. Sconfessò ancora da Risorto, gli aspetti trionfalistici, appannaggio del Messia davidico, quale essi avevano atteso e infine riconciliati, Gesù li poté inviare a "predicare, nel suo nome, la conversione a tutti i popoli e il perdono dei peccati". Precisò di cominciare da Gerusalemme, che più di tutti ne aveva bisogno.

Fra' Domenico Spatola
Nella foto: dipinto di Duccio di Buoninsegna 

martedì 9 aprile 2024

Ambulatorio solidale S. Francesco ai Cappuccini di Palermo

Visite ortopediche ai residenti meno abbienti o extracomunitari, previa prenotazione telefonica dalle 17:00 in poi all'ufficio parrocchiale.
Tel: 091212118

venerdì 5 aprile 2024

Fra' Domenico Spatola: La fede



A sera, 
passata la bufera, 
il seme morto, nell'orto 
era risorto,
e Tu, tra i tuoi venivi
a renderli giulivi
di speranza
col pane tuo che avanza
per gli invitati tanti.
Tommaso era tra i quanti
cercavan luce
che il tuo amor conduce. 
Insegnasti che la fede
è di chi non vede e crede
perché sa fidarsi,
e con amor donarsi.

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della seconda domenica di Pasqua: Giovanni 20, 19-31

 
19 La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 20 Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21 Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi». 22 Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; 23 a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi».
24 Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25 Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò».
26 Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 27 Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!». 28 Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29 Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!».
30 Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. 31 Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Ai discepoli, rintanatisi per paura di finire in croce, Gesù Risorto, la sera di Pasqua, consegnò la sua Pace. A testimonianza del suo amore mostrò i segni dei chiodi nelle mani e quello della lancia nel fianco. Da "buon pastore" si era offerto, per salvarli dagli sgherri venuti ad arrestarli. Prima di congedarsi volle che i suoi divenissero apostoli  della pace. Soffiò su di loro lo Spirito, perché cancellassero i peccati. 
All'incontro mancava Tommaso, in cerca di risposte ai suoi dubbi. Al rientro, diffidò i compagni. Non condivideva il loro racconto. Per lui, infatti essi avevano confuso un fantasma con il Risorto. Non era disposto a credere, dichiarando di voler toccare prima mani e fianco di Gesù. Otto giorni dopo, lo vide e, senza toccarlo, credette al suo amore: "Signore mio e Dio mio!". Fece la professione in sintonia tematica con il Vangelo, cioè mostrare che Dio è Gesù. 
A incoraggiare i credenti fu la sua ultima beatitudine: "Beati coloro che non hanno visto e hanno creduto!". Dettava così la nuova dinamica per la fede.

Fra' Domenico Spatola 

sabato 30 marzo 2024

Fra' Domenico Spatola: Nuova sorte... non più morte.



Accorsi con la Maddalena,
che si dava pena. 
Anch'io, 
col dolor mio, 
lacrimavo a dirotto
quando pianto fu rotto
dallo stupore:
vidi il Risorto Signore. 
Ancora rimbomba
mio grido alla tomba, 
non più di morte
nuova infatti è la sorte:
la vita detiene
l'amor che sostiene. 
Risorto è nell'orto
il seme già morto, 
e ora è vivente
e di luce possente.

Fra' Domenico Spatola 
Nella foto: La Resurrezione di Salvador Dalì

Commento di fra Domenico Spatola al Vangelo della Notte di Pasqua (anno B): Marco 16, 1-7

 

1 Passato il sabato, Maria Maddalena, Maria, madre di Giacomo, e Salome comprarono degli aromi per andare a ungere Gesù. 2 La mattina del primo giorno della settimana, molto presto, vennero al sepolcro al levar del sole. 3 E dicevano tra di loro: «Chi ci rotolerà la pietra dall'apertura del sepolcro?» 4 Ma, alzati gli occhi, videro che la pietra era stata rotolata; ed era pure molto grande. 5 Entrate nel sepolcro, videro un giovane seduto a destra, vestito di una veste bianca, e furono spaventate. 6 Ma egli disse loro: «Non vi spaventate! Voi cercate Gesù il Nazareno che è stato crocifisso; egli è risuscitato; non è qui; ecco il luogo dove l'avevano messo. 7 Ma andate a dire ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea; là lo vedrete, come vi ha detto».

Aspettarono la fine del riposo sabbatico, prima di accorrere alla tomba di Gesù, dove tutto, ai loro occhi, si era inesorabilmente concluso. Un fallimento nella loro testa e Gesù che, morendo, le aveva ingannato. Il Messia infatti non doveva morire. Restava in loro tuttavia l'affetto, pur non condividendo di Gesù la morte in croce. Vi avevano assistito infatti da lontano. Ora, per pietà, si recavano a imbalsamare il loro fallimento. Le due donne furono identificate dall'evangelista in Maria di Magdala e nell'altra Maria, la madre di Giacomo e Solome, persone conosciute dai destinatari del Vangelo. Nel primo tempo consentito dalla legge della rituale purità, il giorno dopo il sabbatico riposo, vennero al sepolcro. Inconsapevoli che quella era l'aurora del nuovo giorno della rinnovata Creazione, che, al pari della prima, iniziava con la luce, ma questa, perché di Pasqua, non avrebbe conosciuto tramonto. Esse negavano tuttavia che ci fosse un rimedio alla morte, e la pietra tombale, inesorabile, ne era il segno inamovibile. Ma alzato il loro sguardo ebbero paura che la morte avesse altra sorte. La grossa pietra era infatti definitivamente rotolata, la morte aveva cambiato senso, ma ciò fece paura. Il giovane, seduto alla destra e in bianche vesti, era lo stesso che nudo era sfuggito ai nemici lasciando nelle loro mani il lenzuolo vuoto. Ora seduto alla destra e bianco vestito, manifestava la sua divinità. Illustrò il "nuovo" della morte, che apriva alla nuova Creazione. Le donne, che non avevano avuto paura quando assistettero da lontano alla Crocifissione, dinanzi al Risorto mostrarono paura. Resistevano al nuovo corso. Il Risorto volle tuttavia fidarsi, facendole messaggere per avvisare i discepoli e Pietro perché si recassero nella multietnica Galilea, dove erano risuonate le Beatitudini. Lontani dalla Giudea intransigente con i peccatori. Il messaggio era ormai pronto a valicare i confini della Nazione. E le donne?  Restarano ammutolite... per paura!

Fra' Domenico Spatola 
Nella foto: La Resurrezione di Beato Angelico 

Fra' Domenico Spatola: Madre dolorosa

Con te presso la Croce,
sentii sua voce
che t'affidava il figlio
chiedendoti, a consiglio, 
di essere sua Madre, 
stesso con te avea fatto il Padre:
e divenisti madre di noi.
Ora, che puoi, 
trasforma i figli bellicosi
in fratelli amorosi.
Allontana dalla Terra
questa guerra, 
che tarpa a noi le ali
con pericoli mortali.
Guarda perciò al Pianeta,
che non s'allieta
di questi tempi scuri:
l'amore tuo ci renda più sicuri. 

di Domenico Spatola

Fra' Domenico Spatola: 30 marzo 2024, Sabato Santo

 


L'allodola non tubava e l'usignolo non cantava. La tomba sigillata nel silenzio della natura. Il guerriero riposava. Lo credevo ch'era per poco. Ma quel sonno prodigioso fu in onirica discesa. Non da eroe, ma da fratello fino agli inferi, Regno dei morti, a risvegliare Adamo e la madre Eva, e i Patriarchi e i tanti, antichi o più recenti che aspettavano quella venuta, da prigionieri del sonno. Adamo vide in Gesù il modello, su cui era stato plasmato. Ma non riuscì ad eguagliarlo, per il peccato. Ora però che i ceppi della morte erano infranti, poté seguire la luce che gli si parava avanti. "Tu mio esemplare, e io tua copia", disse, "ripristina mie fattezze, perché t'assomigli!". 
"Son qua per te e la tua discendenza, senza di voi non potevo stare senza. Ho dato l'antidoto al veleno, con il Sangue sgorgato dal mio seno. 
Ormai l'umanità, che fu da te, se lo vorrà in me troverà modello, e da fratello che vi salva. Ho vinto della morte ostacoli tanti e perciò risorgeremo tutti quanti". 
Il "Grazie" fu corale, ma Adamo, non più rivale, di tutti respirò vitale soffio e non più loffio fu il suo ardire. Parve udire Cristo che diceva ai suoi che il tempo  dell'attesa era già fioco: la risurrezione infatti era tra poco. 

Di Domenico Spatola

venerdì 29 marzo 2024

Fra' Domenico Spatola: Udii la tua voce...

Indegno, 
mi sentii sotto il legno
di tua Croce. 
Al dolore tuo atroce
contribuì mio peccato. 
Ora, in cuore mio arato, 
di speme
mettesti tuo seme: 
non di morte
ma d'altra sorte
dettata da Croce
ad alta voce:
mi vidi sanato
dal mio peccato!

Di Domenico Spatola
Nella foto: Crocifissione di Salvador Dalì

Fra' Domenico Spatola: 29 marzo 2024, Venerdì Santo

Giuda uscì nella notte, per consegnare Gesù ai capi. Non persero tempo a inviare una guarnigione per arrestarlo. Giuda in testa, a portare la fiaccola e pronto al segnale. Non si doveva equivocare nel buio, e il bacio fu diretto. 
Gesù si fece avanti. 
Era la notte degli infingardi e dei paurosi. Gesù fu solo a fronteggiare gli sgherri, venuti per non fallire. 
"Chi cercate?". Terribile verbo. Lo cercavano per ucciderlo, e i mandanti, Anna e il genero Caifa, cufarono la sua morte. Approvò il sinedrio, insignificante e pilotato. Poteva sfogare la sua stupidità, applaudendo chi disse: "Muoia uno e si salvi la Nazione!". Divenne ragione, la loro convenienza. Pilato, governatore, inetto e coniglio, fu vinto dalla canea della plebaglia aizzata lì a gridare, supinamente: "crocifiggilo!". 
E seppellì la giustizia. 
La folla ottenne quanto pretese. Barabba, il suo mito liberato. E Gesù flagellato col sussiego al "re da burla", inscenato dai militari. L'Uomo già pronto allo scopo finì sulla croce. Gridò la sua sete, ch'era di noi e solo d'amore. 
Raccolsero il grido la madre, crocifissa nel cuore, e il discepolo amato. Presso la croce. Era l'eredità, sua per noi lo Spirito consegnato. Dono alla Chiesa, che nasceva dal "sangue e dall'acqua", simboli del mistero, sgorgato dal suo seno, ormai squarciato per sempre. E mio rifugio. 
Giuseppe d'Arimatea offrì il sepolcro. Nuovo. Servirà solo per poco: il Guaritore ferito vi entrava a risanarsi... per ricominciare. 

Fra' Domenico Spatola

giovedì 28 marzo 2024

Fra' Domenico Spatola: 28 marzo 2024, Giovedì santo



Fu sorpresa per tutti, e scandalo per Pietro. Non era dignitoso per un maestro lavare i piedi ai discepoli. Protestò perché indisponibile a imitare il gesto. Non comprendeva, né capirà fino al triplice rinnegamento del suo Signore. Per Gesù non c'era alternativa: "Come ho fatto io, Signore e Maestro, dovete anche voi lavare i piedi gli uni agli altri!". 
Era la sua ultima lezione: riassuntiva e a testamento, per essere suoi discepoli. La sua "Kenosis", quale svuotamento della natura divina per condivisione con gli uomini, aveva raggiunto il punto più basso. Da Figlio, si era inabissato fino alla condizione dello schiavo. Scelta, la sua, "dell'amore più grande di Colui che dà la vita per gli amici". La Chiesa lo fa oggi "memoriale" per il suo essere e  proesistere nel mondo. Da tale servizio d'amore infatti scaturiscono i "misteri" della salvezza e, in ogni Eucaristia,  riassapora la dote del Sangue, dono suo nuziale dalla Croce, dello Sposo alla Sposa.

Di Domenico Spatola

lunedì 25 marzo 2024

Sostieni la Missione San Francesco: dona il tuo 5 x 1000

Sull'esempio di Gesù che indossa il grembiule per mettersi al servizio del prossimo, il Centro San Francesco, la mensa dei poveri creata da Fra' Domenico Spatola, grazie ai volontari si mette al servizio dei bisognosi, offrendo loro ogni giorno un pasto completo.
Sostieni anche tu il Centro San Francesco dando il tuo 5x1000: firma, e inserisci nell'apposito spazio il codice fiscale: 97319880825. A te non costa nulla: dai una mano e un grande aiuto per portare avanti la Missione fondata sull'amore e sul servizio al prossimo.
Grazie.

venerdì 22 marzo 2024

Fra' Domenico Spatola: Un asinello



Un asinello, 
mite e non bello, 
doveva portare
Gesù, che a salvare
era venuto. 
Ora un tributo
gli rendeva la folla, 
che, come colla, 
a lui legata:
si sapeva amata. 
Del Messia, 
fu Zaccaria, 
che non parlò del cavallo, 
destriero da sballo, 
ma dell'asinello
mite e non bello.

Fra' Domenico Spatola

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Domenica delle Palme (anno B): Marco 11, 1-10

 
1 Quando si avvicinarono a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, mandò due dei suoi discepoli 2 e disse loro: «Andate nel villaggio che vi sta di fronte, e subito entrando in esso troverete un asinello legato, sul quale nessuno è mai salito. Scioglietelo e conducetelo. 3 E se qualcuno vi dirà: Perché fate questo?, rispondete: Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito». 4 Andarono e trovarono un asinello legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo sciolsero. 5 E alcuni dei presenti però dissero loro: «Che cosa fate, sciogliendo questo asinello?». 6 Ed essi risposero come aveva detto loro il Signore. E li lasciarono fare. 7 Essi condussero l'asinello da Gesù, e vi gettarono sopra i loro mantelli, ed egli vi montò sopra. 8 E molti stendevano i propri mantelli sulla strada e altri delle fronde, che avevano tagliate dai campi. 9 Quelli poi che andavano innanzi, e quelli che venivano dietro gridavano:
Osanna!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
10 Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide!
Osanna nel più alto dei cieli!

Betfage e Betania, considerati unico villaggio satellitare di Gerusalemme, perché la tradizione irremovibile li accomunava. Gesù provò l'incursione per cambiarla. Chiese la collaborazione a due discepoli. Voleva mostrare a tutti la vera natura del suo messianismo, cavalcando l'asinello. L'episodio era stato anticipato profeticamente, quattro secoli prima, da Zaccaria. Fu tuttavia sgradita ai contemporanei, quella profezia per la ferialità del modello prospettato: "Il Messia cavalcherà un asino". Il simbolo era modesto per chi nutriva ambizioni di grandezza! Così dai coevi di Zaccaria, la figura venne rimossa e la profezia "legata". Ma con Gesù era l'ora di "scioglierla". I discepoli inviati a prelevare il puledro, avrebbero dovuto rispondere: "Serve al Signore!". Convinsero e Gesù cavalcò il puledro. Le reazioni? Coerenti al proprio "credo". Chi aderiva al progetto di Gesù, aveva posto sulla cavalcatura il proprio mantello, come a consegnare l'esistenza. Chi sognava il Messia trionfatore, gli professava sottomissione, col mantello in terra, perché Gesù lo calpestasse. Con prepotenza si posero alla guida del corteo coloro che volevano imporre l'itinerario, mentre, da dietro, altri controllavano il percorso. Gesù fu prigioniero della loro paranoia di potere e al grido di osanna al Regno di Davide.
Era l'ambiguità del brano!

Fra' Domenico Spatola

sabato 16 marzo 2024

Fra' Domenico Spatola: Tutti attirerò a me

Quell'ora della storia 
fu di gloria
quando, a festa, 
fu richiesta
dai Greci quella
vista, 
che il Signor chiamò "conquista".
Era seme caduto in terra, 
e da serra
aperto a vita, 
più ambita 
perché non sola, 
frutto della Parola. 
L'egoismo nella vita,
è rovinosa fatica, 
mentre colui che generosa 
la dona è già fruttuosa.
Chi il Figlio segue, 
nel Padre vivrà tregue. 
Quell'ora allor disturba? 
È col Padre e non si turba.
Il Padre gli dá gloria, 
per tutta la sua storia, 
e di paterna Voce il suono, 
per la folla fu un tuono. 
Per altri, l'angelo avea parlato.
Ma per Gesù il mondo è giudicato. 
Poi parlò di sé:  
"Dalla croce, tutti attirerò a me!"

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra Domenico Spatola al Vangelo della Quinta domenica di Quaresima (anno B): Giovanni 12, 20-33

 
20 Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa, c'erano anche alcuni Greci. 21 Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli chiesero: «Signore, vogliamo vedere Gesù». 22 Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. 23 Gesù rispose: «È giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo. 24 In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. 25 Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. 26 Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà. 27 Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora! 28 Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!».
29 La folla che era presente e aveva udito diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». 30 Rispose Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. 31 Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. 32 Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me». 33 Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire.


Era Pasqua, accorsero a Gerusalemme anche gli Ellenisti. Greci della Diaspora. Si dirottarono però per altra meta. Non il tempio, ma Gesù. Volevano "vederlo". Il verbo equivaleva a "credere". Cercarono la mediazione di Filippo e di Andrea, che riferirono. Gesù parlò della svolta attesa. Il suo messaggio aveva superato i confini di Israele. I pagani chiedevano di  entrare nel suo Regno. In definitiva: "È giunta l'ora della gloria" disse. A Cana, durante le nozze, quella "ora" era stata promessa, finalmente si realizzava, e sulla  Croce avrebbe manifestato il massimo splendore. Commentò la sua morte, con un simbolo di vita: il "chicco di grano" che, caduto in terra, muore per fare esplodere l'energia che possiede. Era la parabola in favore di chi si spende per gli altri. La sua vita raggiungerà la pienezza. Chi, al contrario, predilige i propri interessi e  convenienza, disinteressandosi degli altri, si autodestina al fallimento. A quanti si proponevano per servirlo, chiese di seguirlo, cioè di imitarlo nell'amore per l''umanità. Non sfuggiva tuttavia anche egli all'angoscia della solitudine. Chiese conforto. Il Padre, gli rispose, che avrebbe fino in fondo "glorificato il suo Nome". Chi udì diede le differenti interpretazioni. Secondo le proprie convinzioni.  Alcuni infatti parlarono di "tuono", con linguaggio che evocava Mosè nel suo relazionarsi con Dio. Chi disse: "un angelo gli ha parlato", alludeva alla vecchia Alleanza che tratteneva Dio lontano dagli uomini, e per comunicare necessitava di intermediari. Nessuno però interpretò la filiazione unica di Gesù con il Padre. Tale consapevolezza la matureranno, quando egli "innalzato da terra, avrebbe attirato tutti a sé".

Fra' Domenico Spatola

sabato 9 marzo 2024

Fra' Domenico Spatola: Fare la verità

A Nicodemo di notte, 
venuto a raccontar sue lotte, 
Gesù disse del serpente 
da Mosè innalzato per la gente, 
che, da serpi morsicata, 
venía sanata. 
Stesso appiglio
trova nel Figlio 
chi gli crede 
e a lui dà fede. 
Avrà eterna
la vita paterna
che Dio ha dato
al Mondo, da lui amato, 
mandando  l'Unigenito
col dolce fremito
di sua passione, 
perché non a perdizione
sia la  vita confinata, 
ma quella eterna destinata. 
Dal Figlio il mondo, non sarà condannato, 
ma salvato.
E il giudizio
starà nel vizio 
di chi dell'oscurità 
farà sua proprietà. 
Perché a chi fa il male,
non congeniale 
è la luce, 
che produce
opere tenebrose, 
mentre luminose 
son di chi fa il vero, 
per il cuore suo  sincero.

Fra' Domenico Spatola

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Quarta domenica di Quaresima (anno B): Giovanni 3,14-21

14
 E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, 15 perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».
16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. 17 Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. 18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. 19 E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. 20 Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. 21 Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio. 

Nicodemo, visitatore notturno, resisteva alla "rinascita" propostagli da Gesù. Si dichiarava soddisfatto del grembo di Israele, e perciò indisponibile ad abbandonarlo. Per Gesù era la condizione senza alternativa per l'ingresso nel suo Regno. Accattivante, si premurò di descriverlo nelle dinamiche. Rilesse per lui l'episodio di quando Mosè aveva innalzato il serpente di bronzo nel deserto per liberare da morte certa chiunque, morsicato dalle aspidi, lo avesse guardato in qualunque luogo dell'accampamento si fosse trovato. Gesù, da Crocifisso innalzato da terra, avrebbe dato la vita eterna a chi, con fede, l'avesse guardato. Si spinse a dichiarare l'inaudito:
"Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna". Descrisse le ragioni dell'invio: "Non per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui". La fede in lui avrebbe perciò dato la vita eterna, che la morte non può scalfire. Quale tuttavia il giudizio? La scelta della luce. "C'è tuttavia, aggiungeva con rammarico, chi preferisce le tenebre, per operare il male e odiare la verità". Questa traduce l'impegno per il bene degli altri, manifestando l'opera di Dio.

Fra' Domenico Spatola 

lunedì 4 marzo 2024

Fra' Domenico Spatola: Lucio Dalla, 4 marzo 1943.

Compirebbe 81 anni, Lucio Dalla. Ogni anno mi ritorna, a termentone, quel ritornello del suo primo ricordo. Narrata come favola la sua nascita. Col racconto che ti prende da fanciullo e te lo porti latente, ma lo senti vigile in cuore. Era la sua storia, ma poteva essere di tanti o di tutti. Cantata da menestrello birichino, o da visionario.
Tale respiro da sognatore regalava in libertà di canto da ininterrotta rapsodia che confermava passione: il mare. "Com'è profondo il mare!". Ne alludeva spazi infiniti di libertà all'anima sognante. Della sua Genova, il mare portava dentro. Pressoché in ogni canzone, costringendo a inseguire i suoi sogni, come pesci volteggianti gioiosi in acque limpide o tormentati nella sua fantasia. 
Mai tuttavia dettò paranoia, ma solo lucidità a volte troppo arguta da essere incompresa. Musica e canto, sua passione con versificazione in fraseggi duttili in metriche note o avveneristiche e moderne da laboratorio incessante come la vita. 
Preziosi gorgheggi e cinguettanti suoni che ad arte sortiscono balbettanti come incipienti linguaggi inediti fino a lui. Il clarinetto fu suo piffero magico da eterna favola, tra le le dita danzanti dello gnomo buono. Lo ripenso, in data resa memorabile, con nostalgia di sua canzona ancor non intonata, per questa età, nostra, di paura e di egoismo. 
Ci manca infatti la sua arguzia, che aveva anticipato guardinga attenzione, in tempi non sospetti: "Attenti al lupo!", fu la ultima profezia, per noi! 

di Domenico Spatola

sabato 2 marzo 2024

Fra' Domenico Spatola: Leggevi il cuore...

Gesù entrasti in scena, 
quando oscena
vedesti la parata 
di mercanzia esposta e ammonticchiata
e di animali d'ogni sorta, 
come offerta da moneta estorta. 
Dei cambiavalute rovesciasti i banchi, 
perché da quel denaro ognun s'affranchi. 
Era profano ed empio
quel mercato nel tuo tempio.
Li cacciasti con la frusta, 
dichiarando ingiusta
quella devozione
che avea il denaro per padrone. 
I giudei pretesero tue credenziali, 
volendo sapere quanto vali. 
Ma tua risposta stornò
lor quesito, 
e di essa ognun restò basito. 
Il tempio in tre giorni risorto
era il tuo corpo, martoriato e morto. 
Ma quando i fatti furono attuati, 
lasciarono i discepoli ammirati. 
Ricordarono infatti quel tuo detto, 
e per loro, quella volta, fu verdetto. 
Molti altri segni, da te compiuti, 
portarono alla fede gli irrisoluti.
Ma tu leggevi di ciascuno il cuore
e, non in tutti, albergava amore.

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Terza Domenica di Quaresima (anno B): Giovanni 2, 13-25

 
Gesù nel tempio
13 La Pasqua dei Giudei era vicina e Gesù salì a Gerusalemme. 14 Trovò nel tempio quelli che vendevano buoi, pecore, colombi, e i cambiavalute seduti. 15 Fatta una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori dal tempio, pecore e buoi; sparpagliò il denaro dei cambiavalute, rovesciò le tavole, 16 e a quelli che vendevano i colombi disse: «Portate via di qui queste cose; smettete di fare della casa del Padre mio una casa di mercato». 17 E i suoi discepoli si ricordarono che sta scritto:
«Lo zelo per la tua casa mi consuma».
18 I Giudei allora presero a dirgli: «Quale segno miracoloso ci mostri per fare queste cose?» 19 Gesù rispose loro: «Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere!» 20 Allora i Giudei dissero: «Quarantasei anni è durata la costruzione di questo tempio e tu lo faresti risorgere in tre giorni?» 21 Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22 Quando dunque fu risorto dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che egli aveva detto questo; e credettero alla Scrittura e alla parola che Gesù aveva detta.
23 Mentre egli era in Gerusalemme, alla festa di Pasqua, molti credettero nel suo nome, vedendo i segni miracolosi che egli faceva. 24 Ma Gesù non si fidava di loro, perché conosceva tutti 25 e perché non aveva bisogno della testimonianza di nessuno sull'uomo, poiché egli stesso conosceva quello che era nell'uomo.

Era nota "la sferza con cordicelle intrecciate". Ne avevano parlato i Profeti di Israele e il Talmud, come arma che avrebbe usato il venturo Messia, "restauratore" del tempio, del culto e della Legge. Gesù con turgore entrò nel tempio, ormai "mercato", dove si vendeva il perdono di Dio. La cacciata dei mercanti fu dunque, per lui, atto dovuto per iniziare. A interpretare il gesto, si improvvisarono i discepoli che vi lessero erroneamente "lo zelo della casa di Dio". L'equivoco li accomunava ai farisei che, per bocca di Nicodemo loro capo, interpreteranno il gesto "da Dio", per la "riforma" immaginata e attesa. Ma Gesù non era venuto per purificare o riformare, ma da "innovatore" per distruggere quanto ostacolava l'incontro degli uomini col Padre suo. Il tempio, allo scopo, era diventato emblematico, perché non fruibile da tutti, non era funzionale per tutti. Escludeva infatti dalla comunione con Dio, come faceva anche la Legge, peccatori e pagani. La sferza, nel loro immaginario, doveva perciò servire al Messia per distruggere i nemici di Israele e del suo tempio che lo rappresentava.  Altra era la proposta di Gesù, per incontrare Dio: la mediazione della sua Umanità. Ai capi religiosi, che chiedevano credenziali di legittimità per quanto aveva compiuto, Gesù rispondeva che "nuovo tempio era il suo corpo. Essi lo avrebbero distrutto e in tre giorni sarebbe stato riedificato". Anche i discepoli tuttavia dovranno attendere la risurrezione di Gesù per comprendere la "novità" di Dio, che in lui cercava "nuovi adoratori in spirito e verità".

Fra' Domenico Spatola 

sabato 24 febbraio 2024

Fra' Domenico Spatola: La Trasfigurazione

Eri bello, sul monte, 
e, a te di fronte, 
stavano i seguaci, 
i più tenaci:
Pietro, Giacomo e Giovanni
che, alla vista dei tuoi panni,
luminosi, 
si fecero animosi
per fermare quella visione, 
disposti a costruirti l'abitazione, 
con i due che t'erano a lato: 
Mosè che avea legiferato
ed Elia che, da profeta,  
l'austera dieta, 
imposto avea per l'osservanza.
Ma Pietro, a tracotanza, 
chiedea tua sottomissione
a quella Legge ch'era sua passione.
Ma del Padre la voce s' udì forte, 
perché d'aprir le porte
al Figlio prediletto, 
di ognun fosse il progetto. 
E pretese che accolto
fosse il di lui ascolto.         
Finita la visione
fu in loro confusione,        
ma con Gesù, fatto vicino, 
ripresero il cammino.

Fra' Domenico Spatola

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Seconda domenica di Quaresima (anno B): Marco 9, 2-10

 
2 Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro 3 e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. 4 E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù. 5 Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!». 6 Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento. 7 Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: «Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!». 8 E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro.
9 Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti. 10 Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti.

Sul monte alto non andò solo. Con lui i discepoli riottosi: Pietro e i "boanerghes", Giacomo e Giovanni. Accadde il sesto giorno. Carico di simboli, per la creazione dell'uomo e la   manifestazione della gloria di Dio sul Sinai. Dopo il rimprovero a Pietro, il "satana" che non accettava la morte del Messia. Gesù volle mostrare gli effetti di quella morte. 
Sul monte alto, "l'antico" si confrontò con "il nuovo". Mosè ed Elia incarnavano del Vecchio, la Legge e la Profezia. Il vestito di Gesù si fece luminoso. Lo stesso non era ottenibile con gli sforzi umani. Era infatti il dono del Padre al Figlio. Gli illustri Anziani conversavano con Gesù, riconoscendo in lui il Dio con cui avevano sempre dialogato. Pietro fu felice per la visione. Era ciò che voleva del Messia, purché scansasse la morte. Ebbro perché confermato nelle sue aspettative, fece proposte a lui convenienti. Fermare gli eventi, perché aveva raggiunto la meta. Non riconosceva la trasfigurazione naturale conseguenza della morte. Le tre Capanne che voleva approntare per restare, erano da lui organizzate perché al centro governasse Mosè. Di lui più si fidava. Non poté l'evangelista non commentare la sua confusione. Ma fu la Voce del Padre a zittirne l'insolenza e a imporre a tutti di "ascoltare solo Gesù, il Figlio amato!". 
A luci spente, Gesù li diffiderà dal parlare della visione, perché avrebbero raccontato cose non comprese sulla Risurrezione.

Fra' Domenico Spatola

venerdì 16 febbraio 2024

Fra' Domenico Spatola: Il deserto



Ti fu fatale 
e abituale
lotta che la vita
riservava in partita.
Affrontasti, mio Signore, 
del satana il furore
e le belve, fiero, 
da indomito guerriero, 
combattesti fino a sera. 
Fu bufera
quella volta 
che chiedesti a me la svolta.
Or ti seguo verso  Pasqua, 
perché rinasca 
anche in mio cuore
stesso ardore.

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della prima domenica di Quaresima ( Anno B): Marco 1, 12-15

12
 Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto; 13 e nel deserto rimase per quaranta giorni, tentato da Satana. Stava tra le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. 14 Dopo che Giovanni fu messo in prigione, Gesù si recò in Galilea, predicando il vangelo di Dio e dicendo: 15 «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo».

Sobrio l'evangelista a descrivere le tentazioni nel deserto. Qui Gesù, per Marco, non prega né digiuna. Non vengono codificate le tentazioni come invece nei paralleli di Matteo e di Luca.
Il "sùbito" iniziale del racconto collega l'episodio con quello del battesimo, nel quale Gesù aveva ricevuto lo Spirito. Voleva comunicare l'amore del Padre all'umanità. "Quaranta" i giorni della permanenza nel deserto, come i "quaranta anni" di Israele. Conquista era la Terra promessa. Così l'evangelista immaginava l'intera esistenza di Gesù: un cammino di liberazione.  L'episodio iconico era a sintesi della intera esistenza. Il "satana", "l'avversario", compare qui, e scompare fino a quando Gesù chiamerà "satana" il suo discepolo Pietro. Aveva rifiutato la morte del Messia, in nome della sua ideologia del potere. Il satana lo sentiremo nominato ancora nella parabola dei "quattro terreni", spiegata la sua azione attraverso i suoi accoliti: gli uccelli che beccano il seme (la Parola) caduto lungo la strada. È l'evangelista che li addita refrattari al servizio. Decisiva la sentenza che emetterà su "satana, destinato a finire, come il suo regno, perché diviso in se stesso!". Quali gli indizi per individuarne la presenza, il verbo offerto è "tentare", usato tre volte per i farisei. Fondamentalisti della Legge mosaica "tenteranno" Gesù, con le loro trappole.
Il "deserto", come la vita, è popolato dalle belve, quelle del potere individuate nella visione notturna dal profeta Daniele. Gli Angeli sono le presenze buone, dei tanti anonimi che, lungo il racconto, collaboreranno con Gesù per la costruzione del Regno.

Fra' Domenico Spatola

sabato 10 febbraio 2024

Fra' Domenico Spatola: Altra lebbra io vedo...



Gesù, io lebbroso, 
e tu amoroso, 
stendesti la mano, 
non mi volevi lontano.
Il tuo abbraccio compresi, 
e al tuo amore mi arresi. 
Altra lebbra io vedo:
la guerra, a corredo
dell'uomo fallito. 
Non ha infatti udito
e sordo è a tuoi inviti di pace. 
Possesso vorace
di ricchezza e potere 
son sogni che sol suole avere, 
ma non sa che felici
si diventa se amici, 
di te che apri il cielo
a chi accoglie il Vangelo.

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Sesta domenica del tempo ordinario (anno B): Marco 1,40-45

 
40 Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!». 41 Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, guarisci!». 42 Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. 43 E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: 44 «Guarda di non dir niente a nessuno, ma va', presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro». 45 Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte.
 
Chi era affetto da lebbra, era considerato "impuro" dalla religione ebraica. Non dunque malato da curare, ma peccatore da evitare. L'impurità gli inibiva l'accesso al tempio. Impossibile per lui chiedere a Dio la "purificazione". Dannato senza speranza di redenzione. Il Dio annunciato da Gesù era diverso. Il rapporto con lui non si basava sui meriti che discriminano gli inadempienti, e il peccato non era l'ostacolo per incontrarlo e venirne liberati. Il Dio predicato da Gesù non è "giustiziere" ma Padre, attento ai bisogni dei figli. Non respingeva quindi, ma chiedeva accoglienza. L'incontro tra Gesù e il lebbroso diventò, a riguardo, chiarificatore. Anonimo il lebbroso, perché rappresentativo. Dispensato dalla religione, impotente a salvare e adatta a giudicare e condannare, corse da Gesù, chiedendo ciò che gli veniva negato: "essere purificato". Non domandava guarigione. Sarebbe stata conseguente. Ma ciò che gli veniva negato: l'incontro con Dio. Lo sperimentò in Gesù: "Se vuoi - gli disse -, puoi purificarmi!". L'evangelista in crescendo usò tre verbi: "ebbe compassione, tese la mano, lo toccò". Purificato, la lebbra scomparve. Aveva sperimentato il Dio che "non va meritato, ma accolto". Il divieto al guarito di pubblicizzare il fatto, aveva la funzione di evitare fraintendimenti, circa il suo messianismo. L'invito tuttavia, a farsi verificare dai sacerdoti, diventava la sua sfida alla loro impotenza. Gesù gli impose alla fine di scappare da quella istituzione che lo aveva penalizzato, e l'avrebbe fatto ancora. Così, portatore del nuovo messaggio, cioè che Dio non disprezza i peccatori ma li salva, annunciò il Vangelo del Dio "per noi". Per uscire, Gesù gli diede l'esempio. Nel deserto ritrovò, come in passato Israele, la libertà dalla schiavitù di una istituzione che soffocava il bene primario: la libertà. Per conquistarla, era richiesto di cercarla fuori, appresso a Gesù.

Fra' Domenico Spatola