venerdì 30 agosto 2024

Fra' Domenico Spatola: "Tutto è puro".



Dei farisei, la purità
era sol formalità,
per il cuore inquinato, 
da Gesù, lor denunciato. 
"Perché lavare il fuori, 
se è dai cuori
l'idea malvagia?
Tu la volevi saggia
alla tua scuola, 
ove verità detta tua Parola.
Venuti da lontano, 
puntarono della mano
l'avverso dito contro te, 
i farisei, che da sé, 
arrogavano il giudizio
a loro sfizio. 
Ma tu loro dicesti: che "ciò che entra è puro", 
e per lor fu siluro
l'idea che non inquina 
ciò che va in latrina,
ma quel che, dal cuore, 
esce senza pudore.

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Domenica XXII del tempo ordinario (anno "B) Mc 7,1-8.14-15.21-23

1
 Allora si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme. 2 Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani immonde, cioè non lavate - 3 i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavate le mani fino al gomito, attenendosi alla tradizione degli antichi, 4 e tornando dal mercato non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, stoviglie e oggetti di rame - 5 quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?». 6 Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto:
Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
7 Invano essi mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini.
8 Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». 
Marco 7:14-15
14 Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e intendete bene: 15 non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo».
Marco 7:21-23
21 Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, 22 adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. 23 Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo».

Aveva parlato di vita, e spuntarono i nemici della vita. Scomodatisi direttamente da Gerusalemme, la santa Sede di Israele, perché Gesù aveva condiviso i pani (figura della Eucaristia) e la gente li aveva presi "con mani impure", cioè non lavate. La libertà offerta da Gesù scandalizzava infatti gli scribi e i farisei e tutto il gotha religioso. Accusavano inoltre i discepoli di Gesù di non osservare la "tradizione degli antichi", ossia i precetti "sul puro e sull' impuro", trasmessi dal Talmud, la Legge non scritta e lasciata oralmente da Mosè per essere  interpretata dai dottori. Con l'accusa di "ipocriti", Gesù li denunciava  "commedianti", perché pretendevano di apparire quali non erano, mistificando anche il "sacro" per il proprio tornaconto. Gesù applicò loro un testo inesorabile di Isaia: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me" (Is 29,13). Il cuore (equivalente a ciò che per noi è il cervello) era all'origine dei pensieri e Gesù prese di mira quelli che escono e inquinano l'uomo: come gli omicidi e tutte le altre nefandezze e intemperanze. Duro inoltre il suo rimprovero per il loro culto che gli avversari esercitavano senza fede e solo di facciata. L'affondo più grave fu tuttavia per le loro dottrine, da essi millantate come "divine" mentre per Gesù erano soltanto "precetti umani". Il suo severo giudizio squalificava in tal modo il Levitico, il libro di Mosè da loro preferito perché, per la maggior parte, argomentava sul tema del "puro e impuro", che serviva a loro per discriminare e condannare persone e cose. "Non c'è nulla al di fuori dell'uomo che, entrando in lui, lo possa rendere impuro". Fu la sua sentenza. Dopo avere criticato la legge orale (Talmud) fatta di "precetti di uomini", si rendeva ai loro occhi colpevole di criticare anche quella scritta (la Toràh). Dichiarò infatti "puri tutti gli alimenti".  La condanna prevista per uno "spergiuro" come Gesù era la morte, ed egli perciò  fuggì in terra pagana, per non venire ucciso anzitempo.

Fra' Domenico Spatola

venerdì 23 agosto 2024

Fra' Domenico Spatola: Signore, dove andremo?


Per la fede non matura, 
ai discepoli fu dura
tua parola, 
allettati da altra scuola.
Tu, sorpreso perché ottusi, 
li vedesti più confusi
e non credenti, 
e annoverasti tra i perdenti
chi t'avrebbe anche tradito. 
Riproponesti ancora a rito, 
quel che per tutti era l'invito:
"Se del Padre accettate amore, 
venite a me senza timore!". 
Molti seguaci, 
non audaci, 
preferirono sfuggirti 
per non seguirti
ma a quelli stretti tra i tuoi:
"Volete - dicesti - andar via anche voi?". 
Per i Dodici parlò Pietro:
"Non vogliamo tornare indietro. 
Le tue parole son di vita, 
e nostra scelta è già acquisita".

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo di domenica XXI del tempo ordinario (anno B): Giovanni 6, 60-69

60
 Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?». 61 Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: «Questo vi scandalizza? 62 E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima? 63 È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita. 64 Ma vi sono alcuni tra voi che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. 65 E continuò: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio».
66 Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui.
67 Disse allora Gesù ai Dodici: «Forse anche voi volete andarvene?». 68 Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; 69 noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

Il discorso di Cafàrnao si concluse in modo fallimentare. L'uditorio restò deluso e mormorava. I capi dei Giudei videro il pericolo, perché Gesù rivoluzionava il rapporto con Dio. Gli stessi discepoli lo abbandoneranno.
"Parola dura"  ("scleròs") definirono il discorso. Gesù fu ritenuto insolente e offensivo, perché aveva criticato il libro dell'Esodo per il fallimento: "I fuoriusciti dall'Egitto, al tempo di Mosè, erano tutti morti nel deserto!".  Inaccettabile inoltre l'invito a "farsi pane di vita per gli altri". Israele non era fatto per sottostare ma per comandare. Il suo discorso era dunque inascoltabile! 
Anche i discepoli tuttavia restarono perplessi, come i Giudei. Gesù si rivolse a loro, per convincerli in extremis: "Questo vi scandalizza?". Tale verbo verrà usato dall'evangelista (cfr Gv cap. XVI) per descrivere la loro reazione all'annuncio della sua passione e morte. Era la morte del Messia che avrebbe scandalizzato, perché interpretata come la fine di tutto e discesa irreversibile nello "Sheòl", il regno dei morti. Ma Gesù aveva aperto già nuovi orizzonti con esiti di vita piena: "il Figlio dell'uomo sarebbe salito dov'era prima". Il suo "pane" era stato identificato come "carne", ma ora Gesù precisava che "lo Spirito dà la vita, e la carne senza di esso, non giova a nulla".  Non bastava perciò "mangiare il pane (Eucaristia), era conseguente farsi pane per gli altri". 
Venivano sprigionate le energie vitali con l'eucaristia in dinamismo d'amore". Alcuni discepoli si rattristarono intenzionati a lasciarlo, non avevano infatti ancora dato a lui adesione radicale, e lo seguivano solo per convenienza. Ma Gesù conosceva loro e il traditore che lo avrebbe consegnato. Confidava tuttavia nell'iniziativa  del Padre, il solo che può accendere il desiderio della vita piena. La tristezza accorò per l'abbandono di molti discepoli. Ma Gesù, per recuperarli, non volle cambiare il progetto che era dell'amore del Padre. Sollecitò anche i Dodici rimasti, ad andarsene. Ma Pietro, per tutti, rispose che non sapeva dove andare lontano da lui: Gesù è il Santo di Dio e il solo con parole di vita eterna.

Fra' Domenico Spatola

sabato 17 agosto 2024

Fra' Domenico Spatola: Il pane vivo, sceso dal cielo...



Gesù, eri tu il pane vivo, 
mentre retrivo
fu il cuor degli uditori. 
Mormoratori, 
non vollero il tuo pane, 
preferendo cose vane, 
opposte e alterne
a quelle eterne
di tua salvezza. 
Con amarezza
udisti il lor lamento
per l'altro nutrimento. 
Ma insistevi ch'è la tua carne da mangiare
e il tuo sangue per inebriare. 
Sol così la vita 
sarà infinita
e data a profusione
nel giorno di risurrezione 
La manna, come poi si seppe, 
non vietò ai padri la morte nelle steppe. 
Mentre, squarciato il velo, 
il pane scese dal
cielo 
per dar vita paterna,
piena ed eterna.

Fra' Domenico Spatola 

Commento al Vangelo della XX domenica del tempo ordinario (anno B): Giovanni 6, 51-58

 
51 Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
52 Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53 Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. 54 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. 55 Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. 57 Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. 58 Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Delusa rimase la folla, perché Gesù aveva rinunciato ad essere il suo re. Preoccupate furono le autorità religiose perché Gesù instaurava una nuova relazione con Dio: diversa e destabilizzante da quella da loro imposta al popolo. Anche i discepoli alla fine lo abbandoneranno. Gesù aveva rivendicato la propria identità divina. "Io sono" era il nome di Iahvè. Aveva esplicitato la sua missione di "Pane vivo" che fa superare la morte. Ne indicava l'origine divina e non spaziale, dichiarandolo "disceso dal Cielo". Per comunicare lo Spirito Santo, che è la vita eterna, la condizione unica era mangiare la sua "Carne, data per la vita del mondo".  Rivoluzionato era il concetto di Dio. Non più colui cui si devono offrire sacrifici, perché egli si offre attraverso la sua Umanità. Tale copovolgimento
allarmò i Giudei: "Come può Costui darci la sua carne da mangiare?". Gesù insistette invitando a mangiare la sua carne e a bere il suo sangue.  Aveva anticipato il Battista, quando presentando ai discepoli Gesù, nell'incipit del Quarto Vangelo, lo dichiarò "Agnello di Dio". Evocava con quella immagine l'esodo per la libertà d'Israele del tempo di Mosè. Ora lo superava perché la carne mangiata oltre che aiutare nel cammino, e il sangue oltre che liberare dalla morte eterna, produrrano con Gesù intimità osmotica, fondendosi con lui per dilatare la propria capacità di amare. L'affondo finale lo riservò a chi confidava ancora nella manna. Quella non fu cibo dal cielo, perché i padri che la mangiarono, morirono tutti nel deserto.

Fra' Domenico Spatola

martedì 13 agosto 2024

Fra' Domenico Spatola: Maria entrò nel Gaudio...

Gesù, accogliesti tra tue braccia
Colei di cui la faccia
per prima conoscesti, 
perché da lei avesti
latte e amore
e, materno suo dolore
ti accompagnò fino alla croce. 
Or che tua voce
invito a lei rivolge,
essa ci coinvolge:
"Vieni, eletta dal Padre, 
per essere la madre
di me suo Figlio. 
Il mortal ciglio, 
ormai hai valicato, 
entra nel gaudio meritato!". 
Essa, col cuore adorno di gigli e rose, 
a te pronta rispose:
"Non entrerò da sola, 
perché la tua Parola
mi fece madre dell'umanità".  
Entrò  in rinnovata maternità. 

Di Domenico Spatola

Commento di fra Domenico Spatola al Vangelo della Solennità della Assunzione di Maria in corpo e anima in cielo: Luca 1,39-56

 
39 In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. 40 Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41 Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo 42 ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43 A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? 44 Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. 45 E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore».
46 Allora Maria disse:
«L'anima mia magnifica il Signore
47 e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
48 perché ha guardato l'umiltà della sua serva.
D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
49 Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente
e Santo è il suo nome:
50 di generazione in generazione la sua misericordia
si stende su quelli che lo temono
si stende su quelli che lo temono
si stende su quelli che lo temono.
51 Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri
ha disperso i superbi nei pensieri
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
52 ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
53 ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato a mani vuote i ricchi.
ha rimandato a mani vuote i ricchi.
ha rimandato a mani vuote i ricchi.
54 Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia
ricordandosi della sua misericordia
ricordandosi della sua misericordia,
55 come aveva promesso ai nostri padri,
ad Abramo e alla
ad Abramo e alla
ad Abramo e alla sua discendenza,
per sempre».
56 Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

Sapeva Maria di Elisabetta, la parente lontana che, da sei mesi, aspettava un bimbo. L'angelo gliene aveva parlato come di un caso irrisolvibile, e portato a prova che "Nulla è impossibile a Dio". Si alzò in tutta fretta per recarsi in Giudea. La via  doveva essere la più veloce, anche se più pericolosa, attraverso la Samaria. Intrepida e premurosa, a emulare le grandi donne dell'antico Testamento. Entrata nella casa di Zaccarìa, il suo saluto fu esclusivo per Elisabetta. Trasmetteva lo Spirito Santo a chi aveva creduto come lei.  Zaccaria era sordo per la sua incredulità. Il saluto di Maria fece invece sussultare il bambino nel grembo  di Elisabetta, che, colmata di Spirito Santo, la esaltò "corifea di tutte le donne da lei riscattate". Geniale Luca fa rivivere l'incontro delle madri, attraverso il racconto del re Davide "danzante davanti all'Arca", il luogo più santo, perché accogliente la presenza di Dio.  Maria dunque  "nuova Arca" al cui cospetto danza Giovanni, il profeta che ha riconosciuto Gesù, dal grembo della madre. L'elogio di Elisabetta per Maria fu il più vero: "Beata te che hai creduto!" e il "Magnificat" della Vergine fu la risposta al Signore che "aveva fatto in lei grandi cose". L'intero inno porta i verbi di vittoria degli umili e dei prostrati ("anawim") che verranno innalzati, mentre i ricchi e gli oppressori ribaltati dai troni. Il cantico della Vergine anticipava il Vangelo del Figlio che restituirà, all'uomo umiliato, la dignità divina sulla Croce e  sarà il giudizio sulla Storia.

Fra' Domenico Spatola 

sabato 10 agosto 2024

Fra' Domenico Spatola: "Il Pane... è la mia Carne! "

Ricusarono il tuo pane, 
altre cose dichiararon sane.
Criticavan tue radici
e, di tuoi avi, si  riteneano amici. 
Agli occhi aveano il velo, 
né vedean te, sceso dal cielo.
L'invitasti a non mormorare, 
ma a credere e accettare
che il Padre t'avea mandato. 
Così avrebbe meritato
ognun la vita eterna, 
quella paterna. 
"Il Pane sono io", 
dicesti a chi in oblio
ti volea relegato, 
avendoti confrontato
con i loro antichi padri,
come con vecchi quadri. 
Ma tu di lor narrasti fine:
morti tutti nel confine 
del deserto, 
mentre di Pane, da te offerto, 
ch'è la tua Carne, 
il mondo non può farne
a meno, nel cammino,
guidato dallo Spirito divino.

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della XIX domenica del tempo ordinario (anno B): Giovanni 6, 41-51

41
 Intanto i Giudei mormoravano di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». 42 E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?».
43 Gesù rispose: «Non mormorate tra di voi. 44 Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. 45 Sta scritto nei profeti: E tutti saranno ammaestrati da Dio. Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46 Non che alcuno abbia visto il Padre, ma solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47 In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna.
48 Io sono il pane della vita. 49 I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50 questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. 51 Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Tutti mormoravano contro Gesù. Era il verbo della idolatria. A rifiutare le sue parole saranno un po' tutti, folla e discepoli, ma soprattutto i capi. Li scontentava per la sua dichiarata "condizione divina". Aveva infatti detto: "Io sono il pane disceso dal cielo", dove "Io sono" lo identificava con "Iahvè", tetragramma divino. Per le autorità religiose assimilare  l'uomo a Dio, era bestemmia, malcelava tuttavia la furbata di mediare essi stessi la distanza. Provarono a delegittimarlo, riconducendo la  dichiarazione di "Figlio di Dio", alla più familiare condizione del "figlio di Giuseppe e di Maria". Gesù, tagliando corto, dettò il  criterio unico funzionale per riconoscerlo e accoglierlo. Necessario era identificare "Dio come Padre". Avrebbero compreso il Figlio che compiva le stesse opere a favore dell'umanità. Ma i capi giudei, che agivano come tanti politici nel mondo, miravano ai propri interessi. L'amore che invece comunicava Gesù era "eterno", perché veniva dal Padre, assicurando vita eterna, che la morte non può distruggere. Obiettarono  evocando i padri che avevano mangiato la manna nel deserto. Non perfezionarono tuttavia la frase, che Gesù si premurò, in dissenso, a completare: " e morirono!". Fu infatti il grande fallimento del l'esodo, e l'evocazione risultava scottante.  Gesù perciò ripropose l'offerta: "Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno". Fu anche un avvertimento, e aggiunse  che "quel Pane è la sua Carne".  In lui tutti i doni  divini infatti si manifestano nella debolezza della nostra umanità.

Fra' Domenico Spatola 

venerdì 2 agosto 2024

Fra' Domenico Spatola: Tu, pane di vita...

La folla delusa, 
si trovò confusa
nel non vederti.                            
Voleva offerti
stessi pani
che, con tue mani, 
Gesù, avevi spezzato.
Ma tu, contrariato, 
dicesti loro
che altro era il tesoro
che non Mosè avea dato, 
la sua manna infatti negato
avea la vita
che a tutti nel deserto era finita.
Proponesti perciò il tuo alimento, 
e dicesti che a portento
dava guerra a morte
e tu garantivi novella sorte
a chi mangia il tuo Pane:
ei non frane 
avrebbe visto in sua vita, 
perché l'avrà infinita.

Fra' Domenico Spatola

Commento di fra Domenico Spatola al Vangelo della Domenica XVIII domenica del tempo ordinario (anno B): Giovanni 6, 24-35

 24 Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao alla ricerca di Gesù. 25 Trovatolo di là dal mare, gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
26 Gesù rispose: «In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27 Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». 28 Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?». 29 Gesù rispose: «Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato».
30 Allora gli dissero: «Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? 31 I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». 32 Rispose loro Gesù: «In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; 33 il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». 34 Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». 35 Gesù rispose: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete.

Divisi i pani alle cinquemila persone, la folla fu euforica. Aveva trovato il suo re. Equivocava e con lei anche i discepoli, che, al rifiuto di Gesù a lasciarsi incoronare, rimasero frustrati. Gesù infatti, per sfuggire alle loro lusinghe, si era rifugiato da solo sul monte, mentre i discepoli, dissociati, s'imbarcarono, per l'altra riva. La tempesta in mare, marcò la distanza. Gesù tuttavia li volle riconquistare nella notte, camminando sulle acque. A Cafarnao fu l'approdo. La folla lo raggiunse. Ma il cibo cercato era quello che perisce. Tale fu la denuncia di Gesù, il suo invito fu perciò a cercare il vero cibo, che può dare solo il Padre, perché è per la vita eterna. La folla obiettò che l'unico pane conosciuto era la manna, che Mosè aveva dato ai padri. "E morirono" concluse la loro  frase Gesù "perché non Mosè poteva dare il vero Pane, essendo quello esclusivo dono del Padre mio". A garanzia era la vita eterna che solo quel pane comunica. Parvero persuasi, e insistettero per averlo. Allora, fuori metafora, Gesù si dichiarò: "Io sono il pane della Vita, chi mangia di me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete". Immortalata fu la formula a consacrazione liturgica, in tutte le comunità giovannee.

Fra' Domenico Spatola

sabato 27 luglio 2024

Fra' Domenico Spatola: Pane condiviso

 


Pane mai finito
Gesù, tu doni a rito
in ogni momento
che ti fai Sacramento
di vita piena
e tua Parola allena
a condividere lesto
stesso tuo gesto, 
ma per donare
insegni ad amare
con stessa passione
ch'è condivisione.

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della XVII domenica del tempo ordinario (anno B): Giovanni 6,1-15

1
 Dopo questi fatti, Gesù andò all'altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, 2 e una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi. 3 Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli. 4 Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. 5 Alzati quindi gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». 6 Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare. 7 Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». 8 Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: 9 «C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che cos'è questo per tanta gente?». 10 Rispose Gesù: «Fateli sedere». C'era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini. 11 Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero. 12 E quando furono saziati, disse ai discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». 13 Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
14 Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire: «Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!». 15 Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo.

Gran folla vedeva e voleva da Gesù segni di guarigione sugli infermi. Ma egli propose di più: oltre che medico si offriva anche come "medicina". Sul monte salì, per correggere Mosè e la Legge. Seduto, dettò la sua. Il contesto era pasquale, cioè di liberazione. Gesù chiese collaborazione ai discepoli per sfamare la ingente folla. Filippo però non trovò risposta, pensava infatti che a dovere comprare pane, non avevano bastanti soldi. Gesù però non gli aveva chiesto di "meritare", quella era logica di altri, non sua. Gli chiedeva di farsi "dono per la condivisione". Era la sua novità: "si moltiplica ciò che si condivide". Così infatti accadde coi cinque pani d’orzo e i due pesci che aveva il ragazzo, che fu presentato a Gesù dal discepolo Andrea. Sufficienti per Gesù, se dati per amore.  E così fu. Tutti seduti sull'erba e, come a fine viaggio, invitati a riposare. Servìti da signori. Erano giunti con Gesù i tempi messianici. "Cinquemila" era il numero degli uomini, come la Pentecoste dello Spirito Santo nelle comunità di Cristo, ormai moltiplicate e maturate nella fede. La formula adottata dall'evangelista è la stessa in ogni Eucaristia che rinnova il dono. 
"Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano".
Dopo che furono saziati, il pensiero di Gesù fu ai lontani per i quali si raccolsero dodici ceste con i pani avanzati e destinate alle dodici Tribù di Israele. 
Il finale tuttavia deluse. La gente infatti non avendo compreso il segno per liberare da ogni schiavitù, voleva di nuovo sottomettersi. Così, in dissenso, Gesù risalì, da solo, il monte, imitando Mosè che vi era ritornato, dopo l'idolatria del suo popolo col vitello d'oro.

Fra' Domenico Spatola 

venerdì 19 luglio 2024

Fra' Domenico Spatola: Donasti pane

 


Accolti in barca, 
dei discepoli parca
vedesti l'istruzione. 
A compassione, 
li accomunasti a gente
che non sapea niente,
e, giunto a riva, 
non la lasciasti priva
di tue dottrine sane
e, a sazietà, donasti il pane.

Di Domenico Spatola

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della XVI Domenica del tempo ordinario (anno B): Marco 6,30-34

30 Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. 31 Ed egli disse loro: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'». Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare. 32 Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte.
33 Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. 34 Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Espletata, da apostoli, la prima missione, i discepoli riferirono a Gesù. Lo contrariarono, quando raccontarono di avere "insegnato", senza averne ricevuto il mandato.  Avrebbero dovuto "annunciare il Regno", perché l'insegnamento comportava la profonda conoscenza delle Scritture, che i discepoli non avevano. Si erano comportati da discepoli dei farisei, incitando, col favore della gente, al sovranismo di Israele sui pagani. Invece il "nuovo" raccomandato da Gesù era a favore e non contrario alla salvezza dei pagani, che il nuovo Israele era chiamato a servire e non a dominare. Così ai discepoli, che giogionavano con la folla che li acclamava, impose il ritiro in disparte e in luogo deserto. La folla, che non dava loro neanche il tempo di nutrirsi della dottrina di Gesù, quando li vide imbarcarsi, con lo sguardo ne intuì la rotta e, a piedi, ne anticipò la meta. Mentre scendeva dalla barca, Gesù provò compassione, a vederla numerosa e affamata di conoscenza. Si approntò maestro e, compiangendola da "gregge senza pastore", si mise a insegnare.

Fra' Domenico Spatola

domenica 14 luglio 2024

Fra' Domenico Spatola: Rosalia, radiosa e pia...



A quattrocent'anni, 
torni a riparare i danni
di nuova peste, 
che rattrista nostre feste. 
C'è la mafia, c'è la guerra
che non dànno pace in Terra. 
Benedici la tua gente, 
che, a Palermo, è impaziente
di risveglio. 
Facci gustare il meglio, 
oltre paura. 
Possente perciò sia tua cura 
a donare alla città
stessa beltà, 
che Cristo, in te sua sposa, 
nomò "giglio e rosa". 
Sia monito tua vita
che in noi sarà infinita
se di Gesù saremo amici, 
e siamo già felici! 

Di Domenico Spatola

Fra' Domenico Spatola: Chi era Santa Rosalia?

Le sue origini portano a Sinibaldi, signore della Quisquina. La stessa ne si dichiarò figlia nello speco dell'eremo da lei scelto per le sue nozze mistiche con Cristo. 
Correva il secolo XII. Lasciò l'eremo per venire sul Monte, a Palermo identificato col nome del "Pellegrino de La Mecca". Da quel momento, molteplici si fanno le congetture. Eremita singola o monaca basiliana? Non lo sapremo con certezza. 
A Rosalia, la fama di Santa appartenne da subito. Commemorata "ab antiquo" anche fuori Italia. La leggenda lega il ritrovamento dei suoi resti mortali al sogno del cacciatore, disperato per la morte della moglie, quando per le vie di Palermo imperversava la peste. Nel 1624 un galeone provenendo da Trapani aveva attraccato al porto di Palermo, scaricando granaglie infette per la città, che pativa la fame. L'infezione si propagò straordinariamente virulenta. I morti si succedettero numerosi dalla Kalsa nei pressi del porto e la peste non lasciava indenne alcuna casa. I monatti, con i sinistri cigolii dei loro carri, percorrevano le strade nauseabonde di cancrena a raccogliere cadaveri in putrefazione. Il sogno maturò dalla disperazione. Si scavò nella grotta e le "ossa" ritrovate servirono come deterrente a fermare la peste. Così accadde, stando alle Cronache del tempo. Da allora Palermo non ha dimenticato, con tante scuse a Cristina, la Santa che fino all'ora era stata la Patrona della città. Cristina comprese che altra sarebbe stata a proteggere la città e che aveva dato prova di saperlo fare, e fece un passo indietro. Oggi da quel "affaire", ricorrono quattrocento anni.

Di Domenico Spatola

venerdì 12 luglio 2024

Fra' Domenico Spatola: Missione

Li inviasti poverelli 
ad essere fratelli, 
i Dodici a ognuno
e a chi non ha nessuno. 
Raccomandavi fede
perché Dio a ognun provvede,
e fraterni, a due a due, 
nessun pensava sue
le grazie che donavi. 
Li diffidavi
dal seguir ricchezza
e, a segno di pochezza, 
prendere un bastone 
per l'evangelica missione
per ammorbidire i duri 
e fare i cuori puri.
Divina provvidenza 
sarà la quintessenza
e per lor vita sicura
Dio si farà cintura. 
Ogni accoglienza
comporti permanenza, 
altrimenti andare altrove
a viver nuove alcove.

Fra' Domenico Spatola

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della XV domenica del tempo ordinario (anno B): Marco 6, 7-13

7
 Allora chiamò i Dodici, ed incominciò a mandarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi. 8 E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa; 9 ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche. 10 E diceva loro: «Entrati in una casa, rimanetevi fino a che ve ne andiate da quel luogo. 11 Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno, andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro». 12 E partiti, predicavano che la gente si convertisse, 13 scacciavano molti demòni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano.

Rifiutato da Israele, Gesù ne costituì uno nuovo. I "Dodici" discepoli, li volle "apostoli" e li inviò "a due a due", come comunità di eguali. Il potere consegnato sugli spiriti impuri, serviva a separare l'uomo dalla sfera del male. Quel che ordinò di portare per il viaggio serviva a mostrare la verità dell'annuncio e che dovevano fidarsi di Dio e degli altri, rinunciando all'ambizione e all'aviditá. La descrizione dell'abbigliamento consigliato è dettagliata. I "sandali" da portare denunciavano che il peregrinare sarebbe stato lungo. Lo stesso simboleggiava il "bastone da viandante" raccomandato. Diffidate furono le "due tuniche", appannaggio esclusivo dei ricchi. La sollecitazione più importante però fu quella di liberarsi dall'affanno economico per fidarsi di Dio. Consentiva di entrare in qualunque casa, senza più il divieto imposto ai fedeli da Mosè di non entrare in quella dei pagani, pena l'impurità rituale. Per Gesù il termine "pagàno" non sarà più applicato  a chi non crede o è di altra religione, ma a colui che non accoglie l'invito oppure non offre l'aiuto. Gli apostoli partirono. Ma fecero quanto Gesù aveva ordinato? Lo chiariranno  i passaggi successivi.

Fra' Domenico Spatola

venerdì 5 luglio 2024

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della XIV domenica del tempo ordinario (anno B): Marco 6, 1-6

 
1 Partito quindi di là, andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono. 2 Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga. E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: «Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani? 3 Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?». E si scandalizzavano di lui. 4 Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». 5 E non vi potè operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì. 6 E si meravigliava della loro incredulità. Gesù andava attorno per i villaggi, insegnando.

Gesù giunse a Nazareth. L'evangelista la chiama "patria", volendo  estendere all'intera Nazione la responsabilità del rifiuto dei suoi compaesani. Era un sabato e, come al solito, insegnava in sinagoga. Non conosciamo da Marco il contenuto della "lectio". La spigoliamo dall'omologo passo di Luca, che parla di "anno di grazia del Signore". Commentando il profeta Isaia, Gesù si dichiarava "consacrato dallo Spirito, per annunciare l'anno di grazia del Signore". Ma la causa del rifiuto dei Nazaretani, fu perché aveva cancellato colpevolmente, le parole che rimandavano al   "giorno della vendetta di Iahvè contro i nemici di Israele". Lo giudicarono eccessivo! Vanificava, a loro dire, le attese del futuro dominio, che Israele riponeva nel "Messia, il figlio di David". Da qui la persecuzione iniziava con la denigrazione del suo insegnamento. Lo disprezzavano perché non garantito da alcuna scuola. Gesù, da "falegname", non aveva studiato con alcun maestro. Passarono dunque a denigrarne la reputazione. In quanto "figlio di Maria", si sconosceva la paternità, che, nella norma, per Legge, era obbligo menzionare anche se il padre era morto. Dei fratelli e delle sorelle il ricordo avvenne senza infamia e senza lode. Per ripicca, provarono a distruggerne l'immagine, in risposta alla denigrazione che dei loro scribi era stata fatta precedentemente a Cafarnao. L'accusa di guarigioni illusorie venivano attribuite a mendacie opere di magia, compiuta con le mani. La difesa di Gesù fu l'amaro commento: "Nessun profeta è disprezzato se non in patria". Non trovando fede in loro, andò altrove a evangelizzare i villaggi e le città della Galilea.

Fra' Domenico Spatola 

Fra' Domenico Spatola: Il profeta in patria


Anch'io fui sorpreso,     
quando compreso
avevo il messaggio
che, a coraggio, 
Gesù, a Nazareth dettavi. 
D'Israele odio non allevavi
ma parlavi di perdono
per coloro che non sono
nemici da temere
ma fratelli da vedere.
Non ci fu per te accoglienza, 
ma l'irruenza
del furor dei paesani
che ti si volsero da cani
a latrar e, per tua ascendenza, 
non ti fecero credenza.
Amaro il tuo commento, 
nel raccontar l'evento:
"in patria non protetto
è il profeta non accetto!".

Di Domenico Spatola

venerdì 28 giugno 2024

Fra' Domenico Spatola: La fanciulla non è morta

"Vieni, salva mia figlia,
ché la morte la piglia!". 
Giairo implorava
e Gesù con lui andava,
quando una donna,
da emorraggia colpita, 
da dodici anni era ormai sfinita.
Ardì e, con coraggio, 
a corto raggio, 
toccò il lembo del mantello 
e fu quello
il momento
in cui guarì all'istante, 
tra le persone tante, 
infatti "solo lei l'avea toccato",
così dichiarò Gesù ammirato, 
e la propose, per la fede, 
a discepola che crede. 
Arrivò dalla fanciulla
quando ormai non si sperava nulla. 
A dodici anni infatti molto corta
fu la vita della morta
Cacciati fuori i flautisti
e tutti quei dai volti tristi,
Gesù chiese ai genitori
di sperar nei loro cuori: 
"la fanciulla non era morta",
e a lei, come a risorta, 
Gesù stese la mano
e la portò con sé lontano.

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Tredicesima domenica del tempo ordinario (anno B): Marco 5, 21-43

21
 Essendo passato di nuovo Gesù all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. 22 Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi 23 e lo pregava con insistenza: «La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva». 24 Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
25 Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia 26 e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, 27 udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: 28 «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». 29 E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male.
30 Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?». 31 I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?». 32 Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. 33 E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. 34 Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male».
35 Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». 36 Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, continua solo ad aver fede!». 37 E non permise a nessuno di seguirlo fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 38 Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava. 39 Entrato, disse loro: «Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». 40 Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina. 41 Presa la mano della bambina, le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico, alzati!». 42 Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. 43 Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare.

Nuovo passaggio all'altra riva. Era quella giudaica, dove la folla rincorreva gli stessi sogni di  trionfo per Israele. Tra la calca, si fece largo Giairo, capo della vicina sinagoga. I religiosi, suoi colleghi, avevano da poco scomunicato Gesù con l'accusa di magia, ma l'amore di padre, disperato per la figlia in fin di vita, lo spinse a chiedere, in extremis, l'impossibile. Gli faceva fretta, perché arrivasse in tempo a salvarla, con la imposizione delle mani. Gesù andò, ma lungo il tragitto, una donna, che la religione dichiarava "impura" per le perdite di sangue che non era riuscita per dodici anni a curare nonostante i costosi medici e le medicine, si avvicinò a Gesù per toccargli la frangia del mantello e, per la sua fede, fu guarita. Tanta folla faceva ressa, ma soltanto lei lo "toccò".
Intanto giunse ferale la notizia della morte della fanciulla. Inutile ormai importunare il Maestro. Gesù prosegui e, vicino casa, udì i flauti e il pianto delle prefiche. Cacciò i suonatori, e disse ai genitori che la fanciulla non era morta ma dormiva. Chi era all'esterno lo irrise, mentre i genitori e i tre discepoli, che entrarono con lui videro che la camera da "ardente" si trasformava in "nuziale". Alla fanciulla, in età da marito, Gesù tese la mano e la invitò ad alzarsi (risurrezione) e, come della "sposa" della Cantica, ne partecipava le nozze.

Fra' Domenico Spatola 

venerdì 21 giugno 2024

Fra' Domenico Spatola: Al tuo amore mi arresi.


Nel tuo mare era la festa, 
ma fu tempesta, 
mentre mi portavi all'altra riva, 
perché più viva
fosse mia esistenza. 
Opposi resistenza
a tua proposta. 
Chiesi quanto ti costa 
il mio affido, 
ma, per il dubbio, non vedevo il lido. 
Dal sonno mi svegliai
e a te gridai. 
Al tuo segno, fu portento:
il tacitar del vento, 
mio contrario, 
ma era l'orgoglio mio l'avversario. 
Allor compresi
e... all'amor mi arresi.

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della dodicesima domenica del tempo ordinario (anno B): Marco 4,35-41

 35 In quello stesso giorno, alla sera, Gesù disse loro: «Passiamo all'altra riva». 36 E lasciata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano delle altre barche con lui. 37 Ed ecco levarsi una gran bufera di vento che gettava le onde nella barca, tanto che questa già si riempiva. 38 Egli stava dormendo sul guanciale a poppa. Essi lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t'importa che noi moriamo?» 39 Egli, svegliatosi, sgridò il vento e disse al mare: «Taci, càlmati!» Il vento cessò e si fece gran bonaccia. 40 Egli disse loro: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?» 41 Ed essi furono presi da gran timore e si dicevano gli uni gli altri: «Chi è dunque costui, al quale persino il vento e il mare ubbidiscono?»

Il racconto della "tempesta sedata" in Marco è catechesi sulla "missione alla Genti". Il libro degli "Atti degli Apostoli", racconta la tensione, fino al rifiuto, della Comunità giudeo- cristiana avversa ai Cristiani provenienti dal paganesimo senza essere passati dal giudaismo. Come in un dramma, è sceneggiata la barca con Gesù e i discepoli diretti all'altra riva. Si scatenò il forte vento contrario e le onde inondavano la barca fino a farla rischiare. Nella allegoria il vento rappresentava dei discepoli il rifiuto di andare verso i pagani. Il pregiudizio perdurerà anche dopo la Pentecoste, e faticheranno i discepoli a confessare, con l'apostolo Paolo, che "in Cristo non c'è più né greco né giudeo, perché in lui siamo tutti una cosa sola".   Gesù, in barca, era stato inibito, messo a poppa a dormire,  mentre a prua si erano posti gli ammutinati a orientare la barca in tutt'altra direzione. Quando si videro in pericolo però lo svegliarono e, con tracotanza, gli addebitarono il disinteresse: "Non t'importa nulla che moriamo?". Gesù li aveva però allertati: "Senza di me non potete fare nulla!". Si alzò (Risorto) e, da Dio, manifestò la sua potenza di Creatore, comandando al vento e al mare che gli ubbidirono. Allora si interrogarono circa la sua natura divina, perché "chi può comandare al vento e al mare e questi ubbidirgli?".

Fra' Domenico Spatola 

sabato 15 giugno 2024

Fra' Domenico Spatola: Il seme è la Parola.

 
La Parola, come seme, 
in terra a speme 
il seminatore pone. 
Non si scompone
di sua sorte né s'arrende, 
ma, fiducioso attende
con la spiga, il chicco 
che lo fa ricco. 
Esso senza doglia, 
nasce e germoglia
e. quando nel futuro
si fa maturo, 
gli assicura
mietitura. 
Nuovo mito
indicò a dito
nella senape e suoi granelli
che son cibo per gli uccelli
e ognora
dà dimora.
Con racconti altri
li faceva scaltri
con parola a pegno
e garanzia del Regno.

Fra' Domenico Spatola

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della XI domenica del tempo ordinario (anno B): Marco 4, 26-34

26
 Diceva: «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; 27 dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. 28 Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. 29 Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura».
30 Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31 Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; 32 ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra».
33 Con molte parabole di questo genere annunziava loro la parola secondo quello che potevano intendere. 34 Senza parabole non parlava loro; ma in privato, ai suoi discepoli, spiegava ogni cosa.

Nelle due parabole, a chiusura del capitolo quarto del Vangelo di Marco sulla "seminagione",
Gesù descrive la potenzialità e la forza del suo messaggio.
Centrale è il "Regno di Dio", quale società alternativa da lui proposta. Suoi pilastri sono la gioia del condividere e del servire.
Il seme che l'uomo getta sulla terra simboleggia la Parola. In essa c'è la forza scatenante il processo vitale che fa crescere e maturare la persona. L'assimilazione del messaggio è un processo intimo e non è consentito ad alcuno di interferire. Quando il frutto è pronto "si consegna", cioè collabora all'azione vivificante di Gesù, fino alla pienezza. La gioia evocata è come il tripudio del contadino per la mietitura: "Mieterà con gioia" (Salmo 126). La persona si realizza quando, come Gesù, libera le potenzialità d'amore, che risveglia in lui la Parola. 
La seconda parabola parla dell'umiltà del Regno. Non ha appariscenza da cedro del Libano, come immaginato, sei secoli prima, dal profeta Ezechiele. Per Gesù il Regno ha misure minime, quasi invisibili. Equiparato al "granellino di senape", il più piccolo dei semi, ma vocato a divenire "il più grande tra gli ortaggi". Le due parabole assicurano frutti in chi crede, ma chiedono pazienza, perché il processo di crescita è lento.

Fra' Domenico Spatola 

sabato 8 giugno 2024

Fra' Domenico Spatola: La tua vera famiglia...



Affrontasti, Gesù, il male, 
che mortale
dava all'uomo dipendenza, 
da calunnia di demenza
che affliggeva tua mente. 
Vennero allora prontamente 
a cercarti, 
per piegarti
a loro folli idee
di misfatto ree.
Li volesti liberare, 
e insegnasti che amare
è la sola divina arte
per chi resta e per chi parte.
È infatti la vita eterna
il destino che squaderna
il futuro alla esistenza
e destina Provvidenza
a chi ascolta
e rende folta
e infinita
di tuo verbo la sua vita.

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Decima domenica del tempo ordinario (anno B): Marco 3,20-35

20Entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare. 21Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: «È fuori di sé».
22Gli scribi, che erano scesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del capo dei demòni». 23Ma egli li chiamò e con parabole diceva loro: «Come può Satana scacciare Satana? 24Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non potrà restare in piedi; 25se una casa è divisa in se stessa, quella casa non potrà restare in piedi. 26Anche Satana, se si ribella contro se stesso ed è diviso, non può restare in piedi, ma è finito. 27Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire i suoi beni, se prima non lo lega. Soltanto allora potrà saccheggiargli la casa. 28In verità io vi dico: tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno; 29ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna». 30Poiché dicevano: «È posseduto da uno spirito impuro».
31Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo. 32Attorno a lui era seduta una folla, e gli dissero: «Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano». 33Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». 34Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! 35Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre».

Gesù si era inimicati i Capi religiosi e gli stessi suoi parenti. Aveva costituito un nuovo Israele con i Dodici discepoli, chiamati perché stessero con lui e per mandarli a evangelizzare. Il ripudio del vecchio Israele fu ritenuto opera di satana. I suoi, ritenendolo "forsennato", lo volevano catturare, mentre i dottori della Legge, si erano scomodati da Gerusalemme per venirlo a incriminare di "possessione diabolica". Ritenevano magie le opere da lui compiute e attribuibili a Beelzebul, il "demone delle mosche" che, anziché liberare dalle infezioni, le trasmetteva. Squalificavano le sue azioni liberatrici, dichiarandole opere del Satana. Non fu difficile per Gesù difendersi dalla idiozia argomentando che se fosse l'alleato di colui che combatteva, voleva dire che il regno del rivale era in declino. Ma dichiarava imperdonabile il peccato dei suoi detrattori, ostinati a non accettare l'evidenza. Deprecava il peccato di bestemmia allo Spirito Santo che si ostinavano a negare. Ad ascoltarlo, stava seduta intorno la folla: tutta gente impura per la Legge, perché peccatori ed emarginati dalla religione. Tra quelli venuti a rapirlo per rinchiuderlo c'erano la madre e i fratelli. essi, per non lasciarsi contagiare dagli impuri, restarono fuori gli mandarono a dire che lo cercavano. Per il loro comportamento, furibonda fu la reazione di Gesù, che, rinnegando i vincoli di sangue,  dichiarò il diritto ad essere sua famiglia per chi compie la volontà del Padre.  Con il gesto della mano, additò quelli che, reietti perché "impuri" per la Legge, gli erano veri "fratelli, sorelle e madre".

Fra' Domenico Spatola