lunedì 31 ottobre 2022

Fra' Domenico Spatola: Beati i poveri...

Volle Gesù sul monte
lasciare sue impronte
e, a chi a lui di fronte,
dettò sua Legge
che l'antica ancor corregge:
"Beato il poverello
che l'altro qual ombrello
protegge e ripara
quando sua vita è amara.
Beato chi ha fame,
per storie sue grame
e chi piange sconsolato
perché risollevato
sarà dal suo dolore
da chi professa amore.
Beato chi in tenerezza
ad altri offre carezza.
Beato chi audace
costruirà la pace,
e la persecuzione
sarà benedizione
per chi sua vita dona
e in cuore suo perdona!"

Fra' Domenico Spatola

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo del 1 novembre 2022. Tutti i Santi: Matteo: 5,1-12a

1
 Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. 
Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:
3 «Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
4 Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
5 Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
6 Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
7 Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
8 Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
9 Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
10 Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
11 Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 
12 Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.

Le "Beatitudini" furono dettate da Gesù per la Nuova Alleanza. Il monte ancora supporto come per la Antica. Da qui Gesù chiarì le regole del Regno, a offerta di felicità racchiusa nelle Otto Beatitudini. Nella prima offre i criteri di interpretazione delle restanti Sette. Beati i poveri! Sarà suonato strano a chi professava avidamente la ricchezza, indicata premio di Yahvè ai fedeli di Israele. Gesù rovesciò quei criteri del Mondo, e parlò di servizio a chi ambiva potere; di condivisione a chi agognava il possesso; additando l'ultimo posto a chi sgomitava per salire la scala sociale. Sono i "poveri per lo spirito", coloro che antepongono il bene altrui al proprio interesse. Con lo scopo assoluto della altrui felicità. Si potranno consequenzialmente dichiarare "beati" coloro che, se piangono, o sono affamati o senza un tetto, incontreranno i discepoli di Cristo che hanno scelto di farsi poveri per aiutarli. Si riconosceranno perché misericordiosi, costruttori di pace e puri di cuore. Come reagirà il Mondo avverso ai discepoli, vocati da Cristo:  "sale della terra e luce del mondo" per garantire vitalità al suo proclama?  Ferito nell'orgoglio e nella avidità, il Mondo li perseguiterà. Allora: "Beati i perseguitati!". Avendo osservato le prime Sette Beatitudini, coroneranno con la persecuzione come il Maestro, la loro fedeltà alla Parola.

Fra' Domenico Spatola

sabato 29 ottobre 2022

Fra' Domenico Spatola: "Zaccheo, oggi con te"

A Gerico, Zaccheo pubblicano
non vedeva, perché lontano
e breve di statura,
Gesù che passava per sua avventura. 
Corse avanti e sopra un sicomòro,
stette ad aspettarlo fuori coro.
Non sospettava il pubblicano
che accadesse a lui il fatto strano.
Gesù si fermò sotto il ramo,
e disse: "Zaccheo, bramo
oggi venire a casa tua".
Scese con l'agilità non sua,
e, con gioia, l'accolse
e stesso invito ai suoi rivolse.
Mormoravano perché entrato
nella casa di uno malfamato 
Ma Zaccheo, alzato, disse al Signore:
"D'ora innanzi io do di cuore
a chi ho derubato.
In tal modo cancello il mio peccato.
E ai poveri do metà del mio bene
e so ch'è ciò che a me conviene!".
Gesù commentò che in pienezza,
in quella casa, era entrata la salvezza.

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della XXXI domenica del tempo ordinario (anno C): Luca 19,1-10

1
 Entrato in Gerico, attraversava la città. 2 Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, 3 cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. 4 Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. 5 Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». 6 In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. 7 Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È andato ad alloggiare da un peccatore!». 8 Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto». 9 Gesù gli rispose: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch'egli è figlio di Abramo; 10 il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

Gèrico è oasi nel deserto di Giuda, unica per i frutti più dolci della Terra. A duecento metri sotto il livello del mare, il suo territorio declina verso il Mar Morto, raggiungendo fino a meno quattrocento metri. Il punto più basso della Terra. Gerico era stata conquista, duemila anni avanti Cristo, di Giosuè, il discepolo da Mosè incaricato di introdurre il popolo nella Terra Promessa. Gesù, l'attraversava, per nuova conquista: Zaccheo, l'esecrato dalla Legge, perché "impuro", a ironia del nome che significa "puro". Pubblicano con il ruolo di capo, agli occhi dell'evangelista era anche "peccatore", perché ricco. La statura bassa era pari a quella morale. Non poteva vedere Gesù, che passava, anche a causa dalla numerosa folla, ma il suo desiderio fu inizio di conversione. Corse avanti, per arrampicarsi sul sicomòro. Gesù doveva passare di là. Era progetto divino che Gesù si fermasse a invitarlo, da sotto l'albero, a scendere, aggiungendovi l'autoinvito, che gli diede felicità, affrancandolo agli occhi dei denigratori: "Oggi devo fermarmi a casa tua!". Scese e fu l'inizio. Accolse Gesù in casa, pieno di gioia. A tavola, ai tanti  colleghi, Zaccheo parlò a coronamento di sua conversione. "Si alzò (era il verbo della risurrezione) e dichiarò: Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato qualcuno, restituisco quattro volte tanto". Non badò a spese, perché per la Legge sarebbe bastato restituire un quinto. Ormai "la salvezza era entrata nella sua casa".
A tutti i mormoratori Gesù  volle ricordare che anche Zaccheo, da figlio di Abramo, meritava che il Figlio dell'uomo lo cercasse per salvarlo".

Fra' Domenico Spatola

venerdì 28 ottobre 2022

Fra' Domenico Spatola: Cento anni fa...

La "marcia su Roma" dei fascisti capitanati dal triumviro De Bono, cominciò alle sei  del mattino del 28 ottobre 1922. Il duce pilotava da Milano. Le "camicie nere" erano partite dal quartiere generale di Perugia e dintorni, con ogni mezzo di locomozione, ma preferibilmente in treno, il 26 ottobre. Presidente del Consiglio del tempo era il giolittiano Luigi Facta, "insignificante" agli occhi di Mussolini. Si dimise in quello stesso giorno perché Vittorio Emanuele III non gli volle firmare il decreto di "stato di assedio" per la città di Roma, invasa da oltre ventottomila Fascisti, calati per "il colpo di Stato" e impadronirsi del potere. Le "Squadracce fasciste", impunite, avevano già dato prova di terrorismo e di violenza. Il re, imbelle, volendo evitare la guerra civile, il 30 ottobre, affiderà a Mussolini la presidenza del Consiglio. Il duce, non presente nel giorno fatale, giunse a Roma da Milano, in vagone-letto. Iniziava così l'Era fascista. Anno Zero di un "Ventennio"  liberticida fino alla totale distruzione. 
Tra le prime vittime illustri del regime, sarà il liberale Giacomo Matteotti. Non dubitava della violenza dell'avversario, ma fu ingenuo a non sospettare della sua voglia omicida. Come di tutti i dittatori di ieri e di oggi. Nel primo discorso, tenuto il 16 novembre a Camere riunite, assente la Libertà, il duce millantava che poteva avere ciò che voleva, anche un Parlamento di solo Fascisti. Ma, sbrodolando magnanimità, consentiva che potessero esistere le Opposizioni. Si leggeva ovviamente tra le righe: "ancora per poco". Storici di tanto fenomeno disastroso si interrogano su cosa abbia motivato il plebiscito, concesso dalle folle, ammaliate, all'imbonitore che farciva i discorsi con parole tronfie e roboanti dannunzianamente, e alterne a eloquenti pause di effetto. 

Sogno chimerico il suo: risuscitare la Roma imperiale, come Putin oggi vuole la Russia zarista, nei fasci e nelle architetture. Istrione, fu teatrale e illusionista da fare accettare, come buone e convenienti, anche le leggi  razziali nel '38 e la stessa guerra dichiarata dal balcone più famoso su piazza Venezia in Roma, all'Inghilterra e alla Francia, per "spezzare loro le reni".  "L'ora del destino infatti batteva le lancette sul quadrante della Storia!". Era il 10 giugno 1940, il XVIII anno dell'Era fascista, che però finirà miseramente tre anni dopo, il 25 luglio, a poco più di venti anni del suo inizio, nel 1943 con la caduta del Fascismo ad opera degli stessi gerarchi.
Cento anni fa iniziò il "Ventennio" di cui non andare fieri e, come detto convintamente (almeno ci è sembrato) da Giorgia Meloni. Parlò di vergogna dallo stesso scranno dal quale cent'anni prima aveva tuonato il Duce. Seguì la guerra partigiana, ultimo rantolo di follia fratricida, fino al 25 aprile 1945, quando Partigiani e Alleati ci restituirono la libertà. Il Vangelo raccomanda: "Colligite fragmenta ne pereant", che vuol significare: raccontare per non dimenticare!

Fra' Domenico Spatola

sabato 22 ottobre 2022

Fra' Domenico Spatola: Chi si fida di Dio...


Ai farisei, che si ritenean giusti, 
e tra i tanti gusti
ostentavan disprezzo
con usuale vezzo,
Gesù fece l'esempio:
"Due saliti al tempio 
per pregare:
un fariseo e l'altro da scansare 
perché tra i peccatori annoverato,
e da pubblicano veniva giudicato.
Il fariseo ritto pregava,
ritenendo che Dio l'ascoltava:
"Ti ringrazio perché non sono,
ladro, né perdono.
a questo pubblicano
da cui sto lontano
Due digiuni faccio a settimana
e, cosa che, per altri, è strana,
la decima di ciò che ho 
al tempio io la do.
Invece da lontano,
a Dio un pubblicano:
'Pietà di me peccatore'
dicea e si dolea in cuore.
Io dico a voi, farisei,
che tra i più rei
annoverato,
non fu il pubblicano  perdonato.
Perché chi si giustifica da sé,
non può sperar, perché 
l'umile sarà esaltato
e il superbo umiliato".

Fra' Domenico Spatola

Commento di fra' Domenico Spatola al vangelo della XXX domenica del tempo ordinario (anno C): Luca 18, 9-14

 

9 Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: 10 «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. 11 Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12 Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. 13 Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. 14 Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».

L'evangelista Luca, in precedenza, aveva contrapposto al modello di Giovanni Battista, la preghiera di Gesù. Ora, con la parabola dei "due oranti nel tempio", fa risaltare la diversità tra la preghiera del fariseo e quella del pubblicano. Il primo, tronfio di sé, millanta meriti. Il secondo ritiene di esserne privo e perciò non ne vanta. Il fariseo, per etimologia, è "separato" dal resto degli uomini. Egli marca la sua diversità, per l'osservanza scrupolosa della Legge mosaica fin nelle minuzie non richieste. A tale alterigia, Gesù contrappone la preghiera del pubblicano. Odiato esattore delle imposte, era ritenuto, dalla religione, nemico di Dio, perché tradiva il popolo, lavorando per i Romani. Gesù volle tuttavia la parabola rivolta ai suoi discepoli. Li sapeva affascinati dalla dottrina dei farisei, da lui definita "il loro lievito". A tipologia estremizza il contrasto. Il fariseo nel tempio sta dritto. Si dichiara soddisfatto, per "non essere come gli altri ingiusti". Non chiede nulla. Sproloquia autoreferenziandosi. Il suo ringraziamento a Dio è privo di contenuto. Si ritiene creditore e Dio suo debitore per le opere di Legge da lui compiute. Si atteggia a giudice e con arroganza, come da pulpito, passa a giudicare sprezzatamente chi gli sta dietro: un pubblicano. In ginocchio questi si batte il petto, senza osare di alzare lo sguardo. La sua supplica è da pentito, che però non può cambiare vita. Chiede a Dio fiducia e ottiene misericordia. Ritorna a casa giustificato a differenza del rivale, millantatore arrogante, che riteneva di meritare tutto, per Legge, ma senza amore e umiltà.

Fra' Domenico Spatola

sabato 15 ottobre 2022

Fra' Domenico Spatola: Chiedere giustizia...

Pregare
e non fermare
la propria petizione.
Su ciò Gesù fè lezione:
"In una città viveva 
chi Dio non temeva:
cioè un giudice infingardo,
che di niuno avea riguardo.
In stessa città 
viveva una vedova, che già
da tempo lo irretiva 
pei soprusi che subiva,
accusando l'avversario.
Quel giudice, per un lunario,
non volle ascoltarla
ma poi, per allontanarla
disse tra sé:
Lo farò per me.
Anche se in oblìo
ho già riposto Dio, 
né riguardo ho per alcuno,                                                              
e della vedova niuno
a me toglie il fastidio,
leverò io lo stillicidio.
E di Dio per gli eletti 
non saràn corretti
i suoi atti,
per quelli che, come matti,
gridano giustizia 
con nel cuore tanta mestizia? 
Li farà forse aspettare? 
Vi dico ch'ei sa ascoltare.
Ma al suo ritorno, 
chiedo intorno: 
il Figlio troverà fede
o qualcuno che ancor crede?".

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al vangelo della XXIX domenica del tempo ordinario (anno C): Luca 18, 1-8

 
1 Propose loro ancora questa parabola per mostrare che dovevano pregare sempre e non stancarsi: 2 «In una certa città vi era un giudice, che non temeva Dio e non aveva rispetto per nessuno; 3 e in quella città vi era una vedova, la quale andava da lui e diceva: "Rendimi giustizia sul mio avversario". 4 Egli per qualche tempo non volle farlo; ma poi disse fra sé: "Benché io non tema Dio e non abbia rispetto per nessuno, 5 pure, poiché questa vedova continua a importunarmi, le renderò giustizia, perché, venendo a insistere, non finisca per rompermi la testa"». 6 Il Signore disse: «Ascoltate quel che dice il giudice ingiusto. 7 Dio non renderà dunque giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui? Tarderà nei loro confronti? 8 Io vi dico che renderà giustizia con prontezza. Ma quando il Figlio dell'uomo verrà, troverà la fede sulla terra?»

Il Regno di Dio si realizza nella giustizia che è attuazione della felicità degli uomini. Il Padre sa ciò che necessita e previene, vuole però che domandiamo lo Spirito Santo, per corrispondere con la fede al progetto di pace tra gli uomini. "Shalòm", per il Vangelo, non è solo "tregua", ma "la pace", come pienezza di vita.  Il giudice della parabola è un figuro bieco, dipinto a tinte fosche. Indecente per quel ruolo perché opportunista e in stridente antitesi con Dio. È infatti ingiusto, immorale, libertino e ateo. Asseconderà la legittima  richiesta della vedova, l'anello debole della società del tempo, perché non sopporta la sua insistenza. Non vuole più gridata l'ingiustizia da chi è fatta oggetto di doppia prevaricazione: della sua che non l'ascolta e da chi la offende. La parabola è drammaticamente attuale. Il grido oggi è quello dei poveri, alle strette degli speculatori avidi, che approfittano del caos della guerra ingiusta e immorale. Coloro che governano il mondo globalizzato oggi sono i padroni avidi, che con i loro codici decidono le guerre e i propri utili. Se in Ucraina o nelle altre parti del Mondo, la gente muore, a loro poco importa, perché interessa il profitto, quello proprio e dei fabbricatori di armi. Gesù insiste sulla giustizia, richiamandola quattro volte a fondamento della pace, e offre alternative per il Regno e per realizzare equità, avversa alla sperequazione che rende i poveri sempre più tali. La Pace nel Pianeta, minacciata dal nucleare, fatica ad essere visibile. La parabola è monito per quanti dalla guerra traggono profitti, gonfiando i prezzi con costose bollette che la gente, sempre più povera, non sopporta. Al mondo ingiusto, l'alternativa di Gesù, preferendo la condivisione ai traffici di banchieri e despoti. Angosciante infine  l'interrogativo di Gesù,  se, al suo ritorno, troverà fede sulla terra? La risposta potrebbe attendersi negativa. Ma nulla è impossibile a Dio. Perciò la preghiera insistente collaborerà con il Padre che vuole lo stesso di ciò che gli chiediamo,  ma non senza la nostra cooperazione.

Fra' Domenico Spatola 


sabato 8 ottobre 2022

Fra' Domenico Spatola: I guariti sono dieci.

Sulla strada di Samaria,
dieci lebbrosi gli vennero per via.
Fermatisi a distanza,
come imponea l'usanza,
ad alta voce 
voleano da croce
essere guariti.
Gesù ai templari  riti
e ai sacerdoti li inviò.
Ma a tutti capitò
d'esser purificati.
Uno degli inviati, 
tornò a ringraziare 
era Samaritano da scansare
e l'unico fuori legge 
che Gesù corregge,
ma, disse a lamento
con tristo commento:
"I guariti sono dieci,
degli altri nove chi le veci
fa a ringraziamento?
Al momento
vedo un solo forestiero,
ma agli altri nove va il mio pensiero"
A lui disse: "Àlzati e va’
la fede ti salverà!".

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della XXVIII domenica del tempo ordinario (anno C): Luca 17,11-19

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?». 19E gli disse: «Àlzati e va'; la tua fede ti ha salvato!».

Sulla strada che lo portava a Gerusalemme, la città santa che gli avrebbe dato la morte, Gesù, giunse in un villaggio. Gli vennero incontro dieci lebbrosi.  Emarginati per la Legge, a distanza, come imponevano le pene severe comminate ai trasgressori, gridarono a Gesù maestro implorandone la compassione. Li inviò ai sacerdoti, perché  constatata la guarigione, li  riammettessero nella società. Lungo il cammino, si videro sanati e perciò  "purificati". La lebbra infatti rendeva legalmente "impuri" agli occhi di Dio, oltre che a sfigurarne la carne. Dei dieci sanati, nove erano israeliti e proseguirono per vedersi certificati la guarigione. Il decimo era un Samaritano, senza vincoli di Legge, ma l'unico con sentimenti di gratitudine. Da secoli ritenuto, come tutta la sua gente, nemico di Israele, ebbe il vantaggio di sentirsi libero per tornare da Gesù per ringraziarlo. In ginocchio, l'atteggiamento caratteristico di ogni discepolo di fronte al maestro, rese gloria a Dio. Così Gesù inaugurava  l'universalismo del suo messaggio, inviando, colui che aveva creduto, alla vita ritrovata, e aggiunse: "La tua fede ti ha salvato!".

Fra' Domenico Spatola 

sabato 1 ottobre 2022

Fra' Domenico Spatola: Servi inutili?

"Accresci la nostra fede!"
chiesero, a chi concede
tenero suo amore,
i discepoli del Signore.
"Basta un granello,
come quello
di senape, il minore, 
che s'apre a cuore, 
e potreste voi mandare
questo gelso a mare,
ed esso ubbidirebbe".
Aggiunse: "Chi direbbe 
al servo che lavora:
siediti per ora
che io ti servo?
Non gli chiederà protervo
nuovo servizio?
Toglietevi dunque il vizio
di sentirvi arrivati,
per esser gratificati.
È ideologia dei farisei,
che rei
fan con Dio i mercanti,
mentre mancanti
sono servi inutili,
perché solo atti futili
sono i loro.
Voi non siate di costoro!".

Fra' Domenico Spatola

Commento di fra Domenico Spatola al Vangelo della XXVII settimana del tempo ordinario (anno C): Luca 17, 5-10

 5 Gli apostoli dissero al Signore: 6 «Aumenta la nostra fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe. 7 Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola? 8 Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu? 9 Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10 Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».


Esigente quanto impraticabile era sembrato, ai discepoli di Gesù, il suo comando del perdono fraterno, fino "a sette volte" (equivalente del "sempre"), per "assomigliare" al Padre. Si arresero impotenti e pensarono di non riuscire a imitare Dio e chiesero un aumento fede, ritenendola un dono anziché una risposta al suo amore. Gesù quella risposta la pretendeva anche in minima parte, quanto un granellino di senape, che tra i semi è il più piccolo, che sarebbe stata sufficiente a sradicare il gelso come la loro resistenza e a farlo  trapiantare in mare. Quel albero, dalle radici profonde, adombrava infatti le loro credenza nelle tradizioni  di Israele, cui erano profondamente legati. Buttare l'albero in mare doveva segnare dunque la fine delle loro logiche meritocratiche ereditate dai farisei creduli in un Dio padrone ed esigente. Portando alle estreme conseguenze il loro ragionamento ne smaschera la distorsione, doversi dichiarare "servi inutili" e senza pretese, perché hanno scelto di essere comandati e non amati. Alternativa di Gesù era infatti la gratuità dell'amore. Bisognava dunque che gli apostoli cambiassero idea su Dio, e la risposta al suo amore, cioè la fede, sarebbe stata conseguente.

Fra' Domenico Spatola