sabato 24 settembre 2022

Fra' Domenico Spatola: Il ricco distratto...

Un ricco non comprese
del povero le attese,
e, mentre banchettava,
il povero accattava
le briciole di pane,
ma era solo il cane 
(cosa inaudita!)
e leccargli la ferita.
Lazzaro, ha un nome,
mentre il cognome
del ricco non si sa.
Morì chi nulla ha
e, ultimo suo lembo
d'Abramo fu il grembo.
Morì e fu sepolto
chi aveva avuto molto
senza saper donarlo,
e, roso ora dal tarlo,
dal fondo dell'abisso 
guardò in alto fisso,
e vide Abramo
e, sullo stesso ramo
con lui seduto,
Lazzaro il benvenuto.
Chiese acqua per rinfrescare,
lui che non sapea dare.
Abramo gli rispose
con semplici sue chiose:
"St'abisso è grande
e distanti nostre lande".
Chiese che ai fratelli  
a cambiar fardelli
lo mandasse ad ammonire.
Ei rispose: "Da udire
ci son Mosè e Scritture, 
bastanti a evitar sepolture"
"No", riprese preoccupato,
"Ma se un risuscitato
essi vedranno,
si convertiranno!".
Fu pietra tombale
risposta sua fatale:
"convertirsi alla Parola
che senza concorrenti, resta sola!".

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al vangelo della XXVI domenica del tempo ordinario (anno C): Luca 16, 19-31

19
 C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. 20 Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, 21 bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. 22 Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23 Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. 24 Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. 25 Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. 26 Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. 27 E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, 28 perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. 29 Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. 30 E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. 31 Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi».

Un ricco, vanesio e ingordo, è protagonista della parabola. Destinatari sono i farisei, denunciati da Gesù di avidità e attaccamento al denaro. Antagonista è Lazzaro, nome dal significato emblematico: "Dio aiuta". Il ricco è senza nome. Suo errore, iterato in tutti quelli della stessa condizione, fu di ignorare i poveri, ritenuti come un ostacolo, anziché come un'opportunità per diventare più umani. Il ricco banchettava lautamente e il povero, alla sua porta,  bramava anche le briciole cadute dalla sua mensa. Solo il cane gli mostra compassione, leccandogli le piaghe. Lo schema del dopo è paradigmato sul coevo libro apocrifo di Enoch. Rappresentati gli "inferi", regno dei morti, come una caverna buia, alla cui sommità c'è la luce. Qui risiede Abramo, con Lazzaro, trasportatovi dagli angeli alla sua morte. Anche il ricco morì e fu sepolto. Con le parti invertite, è applicata la logica retributiva dei farisei: ognuno ha diritto a ciò che ha meritato! Si dispera il ricco vedendo Lazzaro accanto ad Abramo. Tanto tempo il povero era stato accanto a lui e lo aveva ignorato, ora gli serve per alleviare l'arsura della lingua, e chiede ad Abramo ciò che egli aveva negato. "Una goccia per la sua lingua arsa di sete dal dito di Lazzaro". Non aveva voluto capire, come I suoi pari, che il povero non è ostacolo alla felicità ma una opportunità. Abramo lo dichiarò fuori tempo massimo. La conversione andava ripensata nell' oggi della Storia, nella benevolenza da esercitare verso i poveri e gli emigranti. Essi - secondo la parabola - avrebbero favorito nel futuro. Ma al presente contribuiscono a umanizzare ciò che l'egoista esclude. Le distanze, nell'oltre tomba, saranno abissali e irriducibili. Nemmeno l'invio di un morto/risuscitato, come proposto dal ricco, ai fratelli, libertini come lui, servirebbe, perché devono bastare le Scritture.

Fra' Domenico Spatola


venerdì 16 settembre 2022

Fra' Domenico Spatola: Agire con scaltrezza...

Un disonesto amministratore
fu di sé imprenditore.
Fu accusato
di avere sperperato
i beni del padrone,
e dovette a lui ragione.
Colto ladro in flagrante 
licenziato fu all'istante. 
"Cosa farò?" disse tra sé.
Rispose a suoi perché:
"A zappar non tengo forza,
e del mendicante non ho la scorza. 
Penso a ciò che io farò:
i debitori convocherò.
Dirò al primo: quanto devi
perché io ti risollevi?"
S'eran cento d'olio i barili,
tu cinquanta ora mi scrivi".
A chi poi venne per il frumento,
"Ottanta - disse - e non più cento".
Lodato dal Signore
fu l'amministratore
perché da disonesto
era stato tanto lesto
ad agire con scaltrezza.
Ma la stessa lucentezza
manca ai figli della luce.
mentre astuzia altri conduce 
quanti del buio son figli.
"Ascoltate i miei consigli:
anche se disonesta
non essere funesta
potrebbe la ricchezza,
se ne fate di dono pienezza.
Dagl'indigenti, da voi aiutati,
in Cielo sarete voi ospitati.
Chi nel poco fedeltà ha svolto,
fedele lo sarà anche nel molto.
Ma se non siete più fedeli
non ci sarà chi a voi sveli
fedeltà,
è questa dunque verità:
a due padroni non servire,
perché non si può unire
denaro a Dio.
Se scegli l'uno, l'altro cadrà in oblio.

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della XXV domenica del tempo ordinario (anno C): Luca 16, 1-13

 1 Diceva anche ai discepoli: «C'era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. 2 Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore. 3 L'amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno. 4 So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua. 5 Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: 6 Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d'olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta. 7 Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta. 8 Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. 9 Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand'essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne. 10 Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto. 11 Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera? 12 E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? 13 Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona».

Una scossa voleva dare il Signore ai discepoli perché si attivassero per il Regno. Narrò di un amministratore che, accusato al padrone di disonestà, gli furono da questi richieste le dimissioni. "Cosa farò, adesso?", si chiese. "Non ho forza per zappare e mi vergogno a mendicare!". Acuì di necessità l'ingegno pensando che in futuro qualcuno lo avrebbe accolto. Convocò i debitori del padrone, e condonò a ciascuno la quota parte di barili di olio o delle misure di frumento che costituivano il suo appannaggio. Lungimirante fece così il miglior investimento: "Un giorno - pensò - i miei beneficati mi vorranno aiutare".
Il padrone lodò l'amministratore per l'arguzia mostrata. Mentre Gesù lamentò che altrettanto non facevano i "figli della luce". Esortava perciò i discepoli a investire la ricchezza, per farne strumento a favore dei poveri. Questi un giorno li avrebbero ospitati nel Regno dei cieli. Sottolineava a conclusione la irriducibilità tra Dio e il denaro: o si serve l'uno o l'altra, cioè la "mammona" che, in aramaico, voleva dire "convenienza".

Fra' Domenico Spatola

venerdì 9 settembre 2022

Fra' Domenico Spatola: Nel Regno si farà festa...

Pubblicano e peccatore
facean festa al Signore, 
attenti ad ascoltarlo
mentre altri a criticarlo: 
"Costui accoglie tutti 
e sta coi farabutti!".
Ma egli, a novella,
narrò la pecorella
ormai perduta,
ma al pastore non trattenuta
fu la voglia
e, con ansia e doglia,
lasciò le altre nel deserto,
incerto
finché non la ritrova,
poi come alcova
le offrì sue spalle
e per stessa calle
pien di gioia.
Bandì la noia
e fece festa
A tutti in testa,
si mise a rallegrare.
Stesso da contemplare
sarà nel Regno
per il peccatore reso degno.
O qual donna, di una moneta
su dieci, fatta dieta,
perché evasa
non spazza casa 
finché non la ritrova?
Trovatala, le pare così nuova
da far festa con le vicine.
così senza fine
sarà  in pegno
la gioia del suo Regno.

Fra' Domenico Spatola 
Nella foto: Dipinto di Murillo 

Commento di fra' Domenico Spatola al vangelo della XXIV domenica del tempo ordinario (anno C): Luca 15, 1-32

1
 Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2 I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». 3 Allora egli disse loro questa parabola:
4 «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? 5 Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, 6 va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. 7 Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.
8 O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? 9 E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta. 10 Così, vi dico, c'è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
11 Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12 Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. 13 Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. 14 Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15 Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. 16 Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. 17 Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18 Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; 19 non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. 20 Partì e si incamminò verso suo padre.
Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21 Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. 22 Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. 23 Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24 perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.
25 Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26 chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. 27 Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. 28 Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. 29 Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. 30 Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. 31 Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32 ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

Si avvicinavano a Gesù i disperati dalla religione: pubblicani e peccatori. Dal fronte della critica, scribi e farisei mormoravano perchè Gesù li accoglieva e mangiava con loro, come si usava, dallo stesso piatto. Con le tre parabole, dette "della misericordia", Gesù rispose a quelli che mormoravano. Il verbo usato è nelle Scritture quello della idolatria, in dissenso con Iahvè. Nei tre racconti formula  la gioia di Dio per riavere ciò che aveva smarrito: una pecora, una moneta, un figlio, anzi due figli. Gli avversari pensavano a Dio come a un giudice apatico e giustizialista, che dava ricompensa o castigo in risposta a meriti o a demeriti di ciascuno. Un Dio, dunque, glaciale esecutore giudiziario. Tutto il contrario del Dio di Gesù: pastore e padre. La sua azione è dare amore  ai figli. Così nella prima parabola, il pastore non motivato dal profitto, è disposto a rischiare l'intero capitale, anche abbandonando le novantanove pecore nel deserto, in balia di ladri o di sciacalli, per mettersi sulle tracce della pecora smarrita. Trovatala, la pone sulle spalle, per andare a festeggiare con amici e parenti. Stessa la vicenda, in parallelo e al femminile, è quella vissuta dalla massaia che ha smarrito una moneta delle dieci che possiede. Quando, non senza fatica, la ritrova festeggia con le amiche e le comari. È tuttavia la terza parabola che fornisce la motivazione della gioia del Padre: il figlio, pianto morto, è tornato a vivere. Pensava di condividere, con l'altro figlio, il maggiore, la stessa gioia, e gli andò incontro invitandolo ad entrare nella stessa casa. Ma questi non volle, perché non perdonò al fratello e neanche al padre, che l'aveva accolto trionfalmente facendo ammazzare per lui il vitello grasso. Dopo inutili tentativi, il padre amareggiato e deluso, concluse: "mio figlio era morto ed è risuscitato!".

Fra' Domenico Spatola
Nella foto: Dipinto di Rembrandt

venerdì 2 settembre 2022

Fra' Domenico Spatola: Chi agli averi il cuore lega...

La folla numerosa 
andava con Gesù curiosa.
Voltatosi, a loro disse:
"Parole mie tenete fisse:
se uno a me viene,
gli conviene 
amarmi più del padre
e della madre,
e senza voglie
per la moglie, 
e per i figli, e i fratelli, 
e le sorelle 
anche se belle,
e per la propria vita. 
Notizia ardita
che apparirà audace:
non può essermi seguace!
Sentite dunque la mia voce:
chi non porta  propria croce 
e non mi viene appresso,
resta se stesso.
Chi una torre costruisce 
prima concepisce
quella spesa 
per vedere se la resa
val la pena,
ed evitare che appena
getta quelle fondamenta 
se ne penta,
perché incapace di finire 
e chi lo sta a sentire
lo derida.
O qual re si fida,
andando in guerra 
e non pone i piedi a terra
ed esamina se diecimila 
vincere posson ventimila? 
Altrimenti all’altro ancor lontano, 
offre di pace un piano.
Così, chi agli averi il cuore lega,
la mia sequela egli rinnega".

Fra' Domenico Spatola 

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della XXIII domenica del tempo ordinario (anno C): Luca 14, 25-33

25
 Siccome molta gente andava con lui, egli si voltò e disse: 26 «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. 27 Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo.
28 Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? 29 Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: 30 Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro. 31 Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? 32 Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda un'ambasceria per la pace. 33 Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

Tre furono le condizioni poste da Gesù alla folla per continuare a seguirlo. Essa si era infatti, fino a quel momento, illusa di conquistare con lui Gerusalemme e di spartire il bottino. Urgeva perciò il chiarimento: non si sarebbero infatti impadroniti della città, ma Gesù vi avrebbe incontrato la morte infamante. Anticipò perciò gli esiti e, a chi fosse ancora intenzionato a seguirlo, dettò le condizioni. La prima riguardava gli affetti più sacri: l'amore per i genitori, per la moglie e per i figli, non andava anteposto alle esigenze del Regno. Nella seconda condizione c'era la terrificante descrizione della reazione del Mondo contro il suo seguace. Lo avrebbe trattato come il condannato alla morte di croce, nel momento di sollevare il patibolo. La terza condizione era risolutiva: rinunciare ai propri averi. A commento dell'opportunità della scelta, aggiunse due similitudini. La prima del costruttore di una torre, obbligato a verificare le capacità finanziarie,  per non coprirsi di ridicolo, lasciandola incompiuta. L'altra similitudine parlava del re in guerra. Sapendo di doversi confrontare con chi possiede un esercito con il  doppio di soldati, gli manda un'ambasciata a chiedere la pace per non incorrere in una sicura disfatta.

Fra' Domenico Spatola