Un ricco, vanesio e ingordo, è protagonista della parabola. Destinatari sono i farisei, denunciati da Gesù di avidità e attaccamento al denaro. Antagonista è Lazzaro, nome dal significato emblematico: "Dio aiuta". Il ricco è senza nome. Suo errore, iterato in tutti quelli della stessa condizione, fu di ignorare i poveri, ritenuti come un ostacolo, anziché come un'opportunità per diventare più umani. Il ricco banchettava lautamente e il povero, alla sua porta, bramava anche le briciole cadute dalla sua mensa. Solo il cane gli mostra compassione, leccandogli le piaghe. Lo schema del dopo è paradigmato sul coevo libro apocrifo di Enoch. Rappresentati gli "inferi", regno dei morti, come una caverna buia, alla cui sommità c'è la luce. Qui risiede Abramo, con Lazzaro, trasportatovi dagli angeli alla sua morte. Anche il ricco morì e fu sepolto. Con le parti invertite, è applicata la logica retributiva dei farisei: ognuno ha diritto a ciò che ha meritato! Si dispera il ricco vedendo Lazzaro accanto ad Abramo. Tanto tempo il povero era stato accanto a lui e lo aveva ignorato, ora gli serve per alleviare l'arsura della lingua, e chiede ad Abramo ciò che egli aveva negato. "Una goccia per la sua lingua arsa di sete dal dito di Lazzaro". Non aveva voluto capire, come I suoi pari, che il povero non è ostacolo alla felicità ma una opportunità. Abramo lo dichiarò fuori tempo massimo. La conversione andava ripensata nell' oggi della Storia, nella benevolenza da esercitare verso i poveri e gli emigranti. Essi - secondo la parabola - avrebbero favorito nel futuro. Ma al presente contribuiscono a umanizzare ciò che l'egoista esclude. Le distanze, nell'oltre tomba, saranno abissali e irriducibili. Nemmeno l'invio di un morto/risuscitato, come proposto dal ricco, ai fratelli, libertini come lui, servirebbe, perché devono bastare le Scritture.
Fra' Domenico Spatola
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