sabato 3 giugno 2023

Commento di fra' Domenico Spatola al Vangelo della Solennità della Santissima Trinità (anno A): Giovanni 3, 16-18

16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. 17 Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. 18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.

Contrariato doveva essere Nicodemo dalla lezione di Gesù. Da fariseo/capo, aveva sempre pensato a Iahvè come al Dio della Legge, che premia e condanna, mentre l'affermazione di Gesù: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio", lo destabilizzava. Per lui Iahvè era talmente geloso della sua unicità da non avere come rivale neppure un Figlio. Aggiungeva inoltre la sua predilezione indiscussa per la Legge e suo criterio di giudizio per condannare o premiare. Il Dio invece raccontato da Gesù che si spinge ad amare fino a donare il Figlio non era nelle sue corde e perciò lo riteneva insopportabile. Altro che "Riformatore" della Legge, come era andato a proporgli di accettare. Gesù parlava da "innovatore" e "rivoluzionario" che avrebbe destabilizzato Israele. Più insopportabile gli sembrò la motivazione della scelta di Dio: "Non ha mandato il Figlio per condannare ma per salvare il mondo". Non era più dunque la Legge a far predominare Israele sugli altri popoli, ma la fede in Gesù avrebbe salvato il mondo. A compendio, l'affermazione che "si condanna chi non crede nel nome dell'unigenito Figlio di Dio", romperà con Nicodemo il dialogo mai iniziato.

Fra' Domenico Spatola

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