Ripercorro gli ideali luoghi della libertà, che Francesco, con ermeneutica sua, consegnò a riconquista del "Paradiso perduto" e della Creazione, ai suoi occhi non più ostile e concorrente ma amica e solidale, anzi "consanguinea" da essere fratelli il Sole, il Vento, il sereno, il Fuoco e sorelle le Stelle, la Luna, l'Acqua e la stessa Morte, doni del Creatore alle creature.
Colse Francesco di esse le sfumature, a significarne delicatezza "in cuore mite che possiede la terra".
A suo modo, raccontò con la vita, il prodigio dell'Universo e ne interpretò movenze, causali e finali, nel Cristo da cui e per cui tutto esiste. Cantò i capolavori e l'Artista, scorgendone la mano, a dono d'amore del suo Spirito.
Ripropose in mimesi la Redenzione, negli spazi non circoscritti a semplice geografia, ma a valenza utopica e senza tempo.
A Greccio rappresentò il Presepio, primo nella Storia, a raccontare tenerezza del Dio Bambino. A san Damiano, a struttura di Cielo, apprezzò la Povertà del Crocifisso Signore, fino a sposarla e con ardore riparò della Chiesa geometrie usurate dall'incuria. La "Porziuncola" fu il cuore piccolissimo, come vuole il nome, ma pulsante del suo carisma e dell'intera fraternità che qui fondò, implorando i Fratelli a rifugiarvisi per riprendere il cammino, presago delle lacerazioni e conseguenti Riforme successive.
Rivotorto, candore di semplicità, fu spazio edenico e laboratorio della fraternità, forgiata sulle "Beatitudini" evangeliche e dell'Escaton anticipò il compimento. Qui i dodici primi frati impararono da Francesco a cantare "Perfetta Letizia".
Le Carceri del Subasio, furono l'oasi alterna alle scorribande per il Mondo. Francesco vi si chiudeva per la preghiera, inebriandosi della solitudine dei boschi e salutato dai cinguettii degli uccelli, destinatari dei sermoni di lode all'Altissimo. Alla Verna il "Dio mio e mio tutto" fu mantra per le ascensioni in sublimata mistica nuziale, per l'incontro degli amanti, a specchio da identica passione fino alla riproduzione iconica nella carne di Francesco, che il Crocifisso perfezionò visibilmente.
San Rufino, duomo d'Assisi sua città natale, riecheggia nelle navate ancora dell'annuncio del Vangelo a conversione, testimoniato con gesta più che gridato a parole. Fece colpo, nel cuore di Chiara dei Conti Ortolani. Coraggiosa anch'essa a contagio, a deporre la chioma biondissima, pervenuto cimelio del suo immenso "sì" nuziale a Cristo/sposo.
Fonte Colombo, nel Reatino, conserva i ricordi della "Norma e Vita dei suoi Frati Minori", la Regola "sine glossa" del Vangelo e sua "medulla" come icasticamente la definirà il più famoso francescano, Bonaventura.
Gubbio e il Lupo sono silloge illuminante per i peccatori ammansiti e riconquistati alla pietà della Croce. Si spinse Francesco, con entusiasmo missionario, oltre i confini d'Italia e d'Europa, fino a Damietta in Egitto. Fu la "sua" Crociata, quella della "mano tesa" al Cadì, in nome dell'unico Padre, e che commosse il Sultano. Modello disatteso dei fanatici Guerrieri della Croce.
Rocambolesco fu il rientro del Santo in Italia, per la malaria contratta e lo sbandamento dei numerosi Frati, senza guida. Oceanica ad attenderlo la folla dei seguaci accampati sotto "Stuoie" d'occasione, nella valle d'Assisi. In cinquemila provenivano dal Mondo, come uccelli a raduno, bisognosi di cibo non più in briciole, ma nell'unico pane del Vangelo che Francesco aveva per loro approntato. Erano attenti a non smarrire un sospiro del Santo né una parola ancora in grado di incendiare d'ardore il Mondo in affanno.
Molti giurarono quella volta d'aver visto Cristo nel suo "Specchio" Francesco, sua icona nitida in filigrana, che il tempo non sbiadisce, e della stessa rende a noi contemporanea freschezza di libertà.
Il 3 ottobre 1226, al tramonto del sole, altro "Sole" avrebbe illuminato la notte dei Frati Minori e del mondo: assiso alla mensa dell'Amore Trinitario, Francesco, testimone del Risorto, rifletteva identica luce.
Fra' Domenico Spatola