Tre le versioni che dall'antichità possediamo del "Padre nostro", in modalità lievemente differenti e mai contraddittorie. Sono doni rispettivamente di Matteo, di Luca e della "Didakè", il primo Catechismo della Chiesa. Il lascito più antico è certamente quello di Luca, perché il più sobrio. Il "Padre nostro" fu dettato da Gesù ai discepoli, che gli chiedevano: "Signore, insegnaci a pregare!". Avevano voglia di imparare a pregare ma il modello intendevano dettarlo essi stessi: "come Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli". Era infatti caratteristica dell'insegnamento di Gesù non dare mai regole dall'esterno ai suoi, perché dall'intimo di ognuno doveva maturare il suo rapporto con Dio. Li invitò perciò a rivolgersi a Dio, chiamandolo "Padre". L'appellativo era più tenero: "Abbà", il nostro "papà". Poi aggiunse di non sprecare parole superflue, come facevano i farisei, i discepoli di Giovanni e gli stessi pagani, ritenendo di venire esauditi a furia di parole. Fondamentale la prima richiesta, per la comprensione di Dio: "si santifichi il tuo Nome", ossia del misericordioso anche con i malvagi. La richiesta dell'avvento del Regno, pur già presente in lui, fu doma conseguente perché il suo amore si possa estendere con la potenza dello Spirito Santo. Il Pane quotidiano è richiesto, non per soddisfare le esigenze alimentari, ma come Parola ed Eucaristia. Per il resto, non bisogna darsi pensiero: il Padre conosce i bisogni e li previene. Della cancellazione dei debiti altrui anche economici è fatto dovere ai discepoli, perché tra fratelli nessuno sia debitore. Vicinanza di Dio sia richiesta nella persecuzione nella prova né mai venga meno la fiducia di ottenere e di trovare. Sarà lo Spirito Santo in definitiva il dono per attuare l'amore, e realizzare il progetto del Padre.
Fra' Domenico Spatola
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