Si poteva non andare in chiesa, ma "l'acchianata" al Monte Pellegrino era sacra e doverosa, in ogni famiglia, nella notte dal 3 al 4 settembre. Ma era il "festino" del 15 luglio e rimane tuttora l'appuntamento dei Palermitani con la loro Santuzza. Il corteo si svolgeva (uso il verbo al passato per i ricordi da ragazzo) lungo il "Cassaro", la via principale, oggi Vittorio Emanuele II, fino a intersecare con piazzetta Vigliena, i quattro Canti, splendido esempio del barocco secentesco, la via Maqueda, diventata oggi strada del bivacco e dei bibitari, per il beneficio dei turisti e buontemponi. Si celebravano i primi Vespri la sera del 14 luglio nella cattedrale dell'arcivescovo Gualtiero Offamilio, restituita al culto cristiano nel 1084 dai fratelli Ruggero, normanni, dopo essere stata per tre secoli moschea per adorare Allah e ascoltare il suo profeta Maometto. Dal 15 luglio 1624, custodisce le spoglie mortali di Rosalia, figlia di Sinibaldo, che fu alla corte della regina Margherita al tempo dei Normanni. Questa versione è accreditata, ma non è la sola. C'è chi la dice "monaca", con la regola di San Basilio, e amante della solitudine. Quando le venne violata alla Quisquina, sua prima sede, si trasferì sull'impervio monte, "il Pellegrino" di Palermo, proprietà dello sceicco musulmano che, avendo fatto il devoto viaggio alla Mecca, divenne sacro "Pellegrino", e il suo titolo lo ereditò la montagna "il più bel promontorio della Terra", come lo definì non senza qualche esagerazione Goethe, venuto da turista. Poco o quasi nulla si sapeva della Santa, ma, scoppiata la peste, portata dall' infame galeone carico di frumento infestato dai topi, trovò terreno fertile nei maleodoranti tuguri della Kalsa e nelle fatiscenti abitazioni del porto. Si propagò con virulenza, da non esserci strada che non lamentasse i suoi morti. Palermo, come la Milano di quattro anni dopo (1628) descritta dal Manzoni ne "I promessi sposi". Il rimedio venne dall'Alto: Rosalia, mandata da Dio a liberare Palermo dal flagello. Si parlò di un cacciatore che nel sonno la vide indicargli, la grotta del Pellegrino, e il luogo dove riposavano i suoi resti. Sacre reliquie, portate in processione, irradiavano guarigioni. Prodigio richiesto ogni anno, per le altre pesti ancora che ci affliggono
La mafia, Hydra dalle sette teste, rinasce dalle sue apparenti sconfitte, ringalluzzita. Da due anni il Covid non dà tregua. E il pizzo? Jattura che deprime l'economia e il lavoro ai giovani e agli esercenti. E il traffico? La mala sorte di ponte Corleone (nome che ritorna a oltraggio!) e del breve tratto di autostrada (?) chiuso a tappo come un trombo nelle vene, che provocano lunghi assembramenti di macchine sotto il sole di luglio. E che dire del tram poco utilizzato, ma che con la sua esecuzione ha divorato pezzi di strade storiche e importanti della vita palermitana? L'immondizia non è la "cenerentola" delle nostre lamentele. Al passaggio la Santa, in certe strade potrebbe turarsi il naso. Strade non soltanto sporche ma groviere per buche che fanno sbullonare le auto con grande soddisfazione dei carrozzieri. Vie tutte essenziali perché senza alternative, e, bloccata una strada, si intasano le altre. Sulla sporcizia un rimprovero agli incivili che si credono furbi ostruendo le strade con i rifiuti che gli operatori ecologici ordinari non tolgono, e i cumuli di immondizia precarizzano la viabilità. I tanto invocati turisti sghignazzano al passaggio e fotografano a loro repertorio i nostri cimeli.
Stasera muoverà il carro, quello del ricordo e che vuole attestare della Santa la vicinanza alla sua città. Ai quattro canti, ormai da prassi, il sindaco Lagalla, per la prima volta, griderà a mezzanotte: "Viva Palermo e santa Rosalia!". Mi chiedevo perché prima Palermo? Ho capito che la Santa vuole più vivibile la città dove abitare. Come darle torto? Alla Marina ci saranno gli attesi fuochi d'artificio. Pittoresca la sequenza di bancarelle con babbaluci all'aglio e prezzemolo, preferiti a quelli al sugo; melloni rossi fortemente "agghiacciati" o "atturrunati" come si dice in gergo; gelati e spongati ai tavolini da Ilardo, o sulle terrazze delle "mura delle cattive", le vedove di allora. Su tutto mi attraeva da bambino, perché me lo portavo in tasca, il "gelato di campagna", in bellavista, dolcissimo e colorato.
La mafia, Hydra dalle sette teste, rinasce dalle sue apparenti sconfitte, ringalluzzita. Da due anni il Covid non dà tregua. E il pizzo? Jattura che deprime l'economia e il lavoro ai giovani e agli esercenti. E il traffico? La mala sorte di ponte Corleone (nome che ritorna a oltraggio!) e del breve tratto di autostrada (?) chiuso a tappo come un trombo nelle vene, che provocano lunghi assembramenti di macchine sotto il sole di luglio. E che dire del tram poco utilizzato, ma che con la sua esecuzione ha divorato pezzi di strade storiche e importanti della vita palermitana? L'immondizia non è la "cenerentola" delle nostre lamentele. Al passaggio la Santa, in certe strade potrebbe turarsi il naso. Strade non soltanto sporche ma groviere per buche che fanno sbullonare le auto con grande soddisfazione dei carrozzieri. Vie tutte essenziali perché senza alternative, e, bloccata una strada, si intasano le altre. Sulla sporcizia un rimprovero agli incivili che si credono furbi ostruendo le strade con i rifiuti che gli operatori ecologici ordinari non tolgono, e i cumuli di immondizia precarizzano la viabilità. I tanto invocati turisti sghignazzano al passaggio e fotografano a loro repertorio i nostri cimeli.
Stasera muoverà il carro, quello del ricordo e che vuole attestare della Santa la vicinanza alla sua città. Ai quattro canti, ormai da prassi, il sindaco Lagalla, per la prima volta, griderà a mezzanotte: "Viva Palermo e santa Rosalia!". Mi chiedevo perché prima Palermo? Ho capito che la Santa vuole più vivibile la città dove abitare. Come darle torto? Alla Marina ci saranno gli attesi fuochi d'artificio. Pittoresca la sequenza di bancarelle con babbaluci all'aglio e prezzemolo, preferiti a quelli al sugo; melloni rossi fortemente "agghiacciati" o "atturrunati" come si dice in gergo; gelati e spongati ai tavolini da Ilardo, o sulle terrazze delle "mura delle cattive", le vedove di allora. Su tutto mi attraeva da bambino, perché me lo portavo in tasca, il "gelato di campagna", in bellavista, dolcissimo e colorato.
Fra' Domenico Spatola
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