L'evangelista Luca, in precedenza, aveva contrapposto al modello di Giovanni Battista, la preghiera di Gesù. Ora, con la parabola dei "due oranti nel tempio", fa risaltare la diversità tra la preghiera del fariseo e quella del pubblicano. Il primo, tronfio di sé, millanta meriti. Il secondo ritiene di esserne privo e perciò non ne vanta. Il fariseo, per etimologia, è "separato" dal resto degli uomini. Egli marca la sua diversità, per l'osservanza scrupolosa della Legge mosaica fin nelle minuzie non richieste. A tale alterigia, Gesù contrappone la preghiera del pubblicano. Odiato esattore delle imposte, era ritenuto, dalla religione, nemico di Dio, perché tradiva il popolo, lavorando per i Romani. Gesù volle tuttavia la parabola rivolta ai suoi discepoli. Li sapeva affascinati dalla dottrina dei farisei, da lui definita "il loro lievito". A tipologia estremizza il contrasto. Il fariseo nel tempio sta dritto. Si dichiara soddisfatto, per "non essere come gli altri ingiusti". Non chiede nulla. Sproloquia autoreferenziandosi. Il suo ringraziamento a Dio è privo di contenuto. Si ritiene creditore e Dio suo debitore per le opere di Legge da lui compiute. Si atteggia a giudice e con arroganza, come da pulpito, passa a giudicare sprezzatamente chi gli sta dietro: un pubblicano. In ginocchio questi si batte il petto, senza osare di alzare lo sguardo. La sua supplica è da pentito, che però non può cambiare vita. Chiede a Dio fiducia e ottiene misericordia. Ritorna a casa giustificato a differenza del rivale, millantatore arrogante, che riteneva di meritare tutto, per Legge, ma senza amore e umiltà.
Fra' Domenico Spatola
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