E’ con vero piacere che proviamo a recensire l’ennesima silloge poetica scaturita dal cuore vulcanico di fra Domenico Spatola, ormai noto a Palermo non solo per la facilità con la quale mette in versi i sentimenti più profondi, ma soprattutto per la sua ansia apostolica che lo spinge sempre all’annuncio della buona novella ai poveri attraverso le opere di carità, come testimonia la Missione San Francesco, divenuta negli anni il suo quartiere generale, a testimonianza di una Chiesa di periferia e in uscita.
Parafrasando l’antico adagio “de Maria numquam satis”, riferito alla Madre di Dio, fra Domenico nella sua Prefazione afferma: “Sulla ‘mamma’ mai si dice abbastanza. Ogni discorso su di lei tende a riappropriarsi dei balbettii d’infanzia rimasti in memoria, intingendo la penna nell’inchiostro del cuore” (p. 5).
E alla stessa mamma il poeta-figlio osa chiedere “gamma / più ampia di parole” per poter cantare, nel giorno della Festa della mamma, “Di tua bellezza mai sbiadita” (p. 9; vedi anche pp. 12, 25, 39, 43, 56), motivo che ricorre, quasi come libido evocativa, in infinità di versi.
Basta qui, infatti, ricordare alcuni titoli: Di te che sei…madre (p. 17), Ricordi (p. 18), Eri felice, o madre (p. 22), Continui, o madre, a parlare al mio cuore (p. 32), Alla madre (p. 39), Madre (p. 43), Onda di madre (p. 46), Ricordando, o madre (pp. 56-57).
In altri versi Nostalgia di madre prevale, riprendendo ora “balbettii audaci / di “Mamma” / assonanza che infiamma / ora età mia matura” (p. 249) o la risposta a paura ancestrale di bambino per cui “per lui, nel buio, ti fai lanterna” (p. 30) o in quel ritornare, avvolto nelle coperte rimboccate d’amore materno, in stato fetale di liquido amniotico: “mi immergevo felice in tuo grembo” (p. 31).
E che dire del Risveglio con il bacio di mamma (pp. 20-21) che si vena d’incanto, quasi a siglare Tacito accordo (p. 37) in alleanza di vita a progettare futuro? E, forse, qualcuno qui richiamerà Freud, con il suo complesso di Edipo, quando leggerà Amplesso (p. 44) o Tuo odore annusavo (p. 50) a riprova dell’ attrazione e attaccamento che ogni bambino, verso i due o tre anni, prova verso la mamma e di cui il nostro Poeta non fa mistero anche in Appiglio (p. 47).
Non mancano, come sempre nella poesia di fra Domenico Spatola, il ricordo, il pensiero e l’amorosa preghiera, in linea con la sua formazione francescana a Maria, icone di maternità, come possiamo leggere in: Alla Vergine Madre (p. 34), Alla Vergine Maria (p. 48), Alla Madre di Dio (p. 62) e Madre alle nozze di Cana (p. 65), culmine e cifra dell’attenzione del cuore di mamma verso i bisogni degli uomini, fosse pure per il “superfluo necessario” (Martini) come il vino, simbolo di gioia.
Leggendo questi versi, a partire soprattutto dalle tre parole del titolo, Madre Mare e Luna che richiamano radici semiotiche comuni, il pensiero corre inesorabilmente all’archetipo della Devouring Mother (la madre divoratrice), evocato da Carl Gustav Jung o a quello più comune dell’eterno femminino, in cifra mistica.
Fra Domenico, del resto, aveva in qualche modo suggerito questo collegamento nella poesia iniziale della raccolta La luna, la madre e il mare, quando afferma: “siete per dare / alla vita del rito / l’eterno ritorno da mito / in grembo vivace / con vita procace” (p. 6) ma poco prima anche in Prefazione: “Speculari le analogie con la Luna e col Mare, per legami accomunanti acque amniotiche, primogenie in vita di mare le cui onde con le maree la luna governa” (p. 5).
E questa potrebbe essere la chiave di lettura della seconda parte di questa silloge di fra Domenico, Alla luna e al mare, con le 23 poesie che la compongono (pp. 69-103).
Ma preferiamo condividere questo pensiero di Enzo Bianchi: “Prima di nascere siamo stati abbracciati per nove mesi nel grembo materno, poi per mesi abbracciati alla madre per nutrirci al suo seno: questa è stata la nostra prima conversazione senza parole, e per questo desideriamo sempre essere abbracciati, anche in silenzio!”.
Parole di un monaco queste, che non facciamo fatica a proporre come chiave di lettura dell’appassionato poetare di fra Domenico Spatola, nella declinazione delle infinite sfumature della tenerezza del cuore materno proiettate, in dimensioni di eternità, che il mare profondo e la chiarità della luna significano.
Parafrasando l’antico adagio “de Maria numquam satis”, riferito alla Madre di Dio, fra Domenico nella sua Prefazione afferma: “Sulla ‘mamma’ mai si dice abbastanza. Ogni discorso su di lei tende a riappropriarsi dei balbettii d’infanzia rimasti in memoria, intingendo la penna nell’inchiostro del cuore” (p. 5).
E alla stessa mamma il poeta-figlio osa chiedere “gamma / più ampia di parole” per poter cantare, nel giorno della Festa della mamma, “Di tua bellezza mai sbiadita” (p. 9; vedi anche pp. 12, 25, 39, 43, 56), motivo che ricorre, quasi come libido evocativa, in infinità di versi.
Basta qui, infatti, ricordare alcuni titoli: Di te che sei…madre (p. 17), Ricordi (p. 18), Eri felice, o madre (p. 22), Continui, o madre, a parlare al mio cuore (p. 32), Alla madre (p. 39), Madre (p. 43), Onda di madre (p. 46), Ricordando, o madre (pp. 56-57).
In altri versi Nostalgia di madre prevale, riprendendo ora “balbettii audaci / di “Mamma” / assonanza che infiamma / ora età mia matura” (p. 249) o la risposta a paura ancestrale di bambino per cui “per lui, nel buio, ti fai lanterna” (p. 30) o in quel ritornare, avvolto nelle coperte rimboccate d’amore materno, in stato fetale di liquido amniotico: “mi immergevo felice in tuo grembo” (p. 31).
E che dire del Risveglio con il bacio di mamma (pp. 20-21) che si vena d’incanto, quasi a siglare Tacito accordo (p. 37) in alleanza di vita a progettare futuro? E, forse, qualcuno qui richiamerà Freud, con il suo complesso di Edipo, quando leggerà Amplesso (p. 44) o Tuo odore annusavo (p. 50) a riprova dell’ attrazione e attaccamento che ogni bambino, verso i due o tre anni, prova verso la mamma e di cui il nostro Poeta non fa mistero anche in Appiglio (p. 47).
Non mancano, come sempre nella poesia di fra Domenico Spatola, il ricordo, il pensiero e l’amorosa preghiera, in linea con la sua formazione francescana a Maria, icone di maternità, come possiamo leggere in: Alla Vergine Madre (p. 34), Alla Vergine Maria (p. 48), Alla Madre di Dio (p. 62) e Madre alle nozze di Cana (p. 65), culmine e cifra dell’attenzione del cuore di mamma verso i bisogni degli uomini, fosse pure per il “superfluo necessario” (Martini) come il vino, simbolo di gioia.
Leggendo questi versi, a partire soprattutto dalle tre parole del titolo, Madre Mare e Luna che richiamano radici semiotiche comuni, il pensiero corre inesorabilmente all’archetipo della Devouring Mother (la madre divoratrice), evocato da Carl Gustav Jung o a quello più comune dell’eterno femminino, in cifra mistica.
Fra Domenico, del resto, aveva in qualche modo suggerito questo collegamento nella poesia iniziale della raccolta La luna, la madre e il mare, quando afferma: “siete per dare / alla vita del rito / l’eterno ritorno da mito / in grembo vivace / con vita procace” (p. 6) ma poco prima anche in Prefazione: “Speculari le analogie con la Luna e col Mare, per legami accomunanti acque amniotiche, primogenie in vita di mare le cui onde con le maree la luna governa” (p. 5).
E questa potrebbe essere la chiave di lettura della seconda parte di questa silloge di fra Domenico, Alla luna e al mare, con le 23 poesie che la compongono (pp. 69-103).
Ma preferiamo condividere questo pensiero di Enzo Bianchi: “Prima di nascere siamo stati abbracciati per nove mesi nel grembo materno, poi per mesi abbracciati alla madre per nutrirci al suo seno: questa è stata la nostra prima conversazione senza parole, e per questo desideriamo sempre essere abbracciati, anche in silenzio!”.
Parole di un monaco queste, che non facciamo fatica a proporre come chiave di lettura dell’appassionato poetare di fra Domenico Spatola, nella declinazione delle infinite sfumature della tenerezza del cuore materno proiettate, in dimensioni di eternità, che il mare profondo e la chiarità della luna significano.
Fra' Giovanni Spagnolo
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