Ripenso oggi a tutti i morti. Compagni miei futuri che mi accoglieranno nella loro cerchia. Gli interrogativi si affollano: "perché?", "come?" "quando?". Provo rassegnazione col poeta latino del "Non omnis moriar!", Orazio orgoglioso delle sue Odi. Mi è più empatico Epicuro, consolatorio per l'invito ai suoi a non temere la morte, che mai avrebbero incontrato: "se c'è la morte non ci sono loro, e viceversa". Mi conforta il vocabolario, non son detti "morti" ma "defunti", perché hanno compiuto la loro parte e, a testimone, la consegnano a perfezionarla. Sono "passati" o "trapassati" a miglior vita, e sognata bella e intensa. Genitori, fratelli, sorelle, amici, conoscenti... or nelle tombe come seme in attesa di risveglio a primavera. Il loro frutto è già in noi, da loro meritato. L'evento, non banale, è appuntamento con l'Eterno. Percorro del cimitero i viali odorosi di resine di cipressi e olenti crisantemi. Leggo diciture su lapidi vistose o modeste, per immagini catturate per noi di identità che il tempo non distrugga, e in affido al cuore, per farne memoria. Nutro fede nel giorno che sarà di visione. Ne approfitto per una prece e l'abbandono fiducioso nel Padre che ci ha creato per la vita... da Gesù assicurata eterna.
Fra' Domenico Spatola
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