Fui ad Auschwitz. Da pellegrino si intende. Percorsi piangendo i corridoi con i visi appesi. Foto-tessere con il terrore negli occhi. Li introdussi dentro e per qualche mese la notte li sognai. Chiedevano qualcosa. Agli stessi aguzzini. Li immaginai beffardi e soddisfatti del loro scempio. Mucchi di occhiali, e di scarpe, e di vestiti. In teche a custodire. Per la memoria, perché non venga meno. Il campo successivo fu raccontato. Birchenau possiede qualche capannone. Gli altri, fatti esplodere all'arrivo degli Alleati nel 1945. Il 27 gennaio, l'armata rossa si avvicinò e conobbe. I tedeschi sconfitti erano in fuga. Non volevano però lasciare tracce delle orrende nefandezze, e minarono i capannoni e i forni crematori. Ora lì è polvere. Cenere dei corpi bruciati: ebrei, zingari, omosessuali e gli stessi italiani, ormai traditori dall'otto settembre del 1943. Qualcosa fu ricostruita, come la storia del quotidiano in baracche maleodoranti e servizi igienici inimmaginabili. Bisognava umiliare la razza ebraica e tutti quelli ritenuti sottoprodotti della stessa. "Il più grande cimitero senza morti", definì quel luogo la guida con le gote solcate dalle lacrime. La vicenda è di dolore e tipologica per tante altre morti e torture. Ma l'uomo quando impara dalla Storia? Anche questa volta, per non dimenticare.
Fra' Domenico Spatola
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