mercoledì 17 marzo 2021

Fra' Domenico Spatola: A 160 anni dell'unità d'Italia

L'Italia s'è desta? 
Quella unità fu un bene, perché guai a chi è solo. Il periodo successivo al 1861, anno  della proclamazione dell'unità di Italia a Salemi, che per un giorno si fregia del titolo di "capitale d'Italia", fu gravido di storia. Popoli di diverse culture e linguaggi condivisero peculiarità e si rivelò alla lunga una ricchezza collettiva. I Savoia furono avidi con il Meridione. Anche la Chiesa subì soprusi, nel ventennio (1866-1886) in cui furono soppressi gli ordini religiosi per incamerarne i beni. Il brigantaggio lottò contro i Piemontesi, guardati da usurpatori. Tragiche le repressioni conseguenti, poliziesche e molto dure. Se il parto della "nuova" Italia fu doloroso, non minore sofferenza e povertà sembrarono accompagnare gli anni della Prima Grande Guerra, quando tutti al fronte, gli italiani sperimetarono uncomparato inedito tra Nord e Sud per difendere "i sacri confini" e soprattutto conquistarne dei nuovi. Il "dopo guerra" fu ulteriore tragedia aggravata dalla "spagnola", la pandemia che decimò  specialmente le donne, risparmiate dall'evento bellico. Venne il duce, uscito da movimenti insurrezionali e sindacali e dalla classe operaia, agitata in continui scioperi per le difficoltà crescenti per i debiti di guerra che assimilavano l'Italia ad altri Stati d'Europa, soprattutto alla Germania, uscita malconcia dal "Trattato di Versailles". E Il ventennio fascista? Più di tutti favorì l'unità della Nazione. Ma a che prezzo? Era vietata la libertà e permessa solo l'ideologia imperante fascista appiattita sul Nazionalsocialismo di Hitler da cui assunse le malefiche leggi razziali (1938) dando inizio al declino spaventoso fino al baratro della Guerra, con i lutti e le ferite nell'anima ancora non rimarginate. La rinascita fu lenta e ci aiutarono gli USA, implorati, con il cappello in mano, dal grande Alcide De Gasperi. I moti del Sessantotto furono epocali a rifiuto delle baronie ritenute obsolete e da combattere in tutti settori, soprattutto in quelli dei saperi. Sociologi come Marcuse guidarono pletoriche folle di giovani, ideologizzati a coscienza populista e demagogica. Tutto del passato fu messo   in discussione. I movimenti studenteschi si rivoltarono rinfocolati da estremisti libertari e spesso liberticidi, rappresentati dai colori più diversi  (dal nero al rosso, a seconda se di destra o di sinistra), e marcarono di terrore le notti buie della Repubblica. Le Brigate rosse si resero protagoniste "in nome del tribunale del popolo" di omicidi eccellenti tra cui quello di Aldo Moro e della sua scorta. Ma se al Nord e nelle università (Genova, Padova, Torino, Trento...) si viveva l'ideologia irredentista,  al Sud la mafia faceva loschi affari, soprattutto con l'incipiente  già redditizio, commercio della droga che scorreva sui traffici internazionali. Maturarono le stragi di Stato, contro i migliori servitori (Falcone, Borsellino, Mattarella e gli altri eroi) meritevoli di miglior ricordo. Gli intrecci, tra mafia e politica a tutt'oggi sono argomenti tabù perciò irrisolti. Il 1992 fu Tangentopoli, ad opera di Antonio di Pietro. Caddero come birilli, i capi dei partiti e quanti pensavano  ai casi loro, usando i beni di tutti. Si provò ad uscire dall'impasse, e fu favorito colui che venendo da Arcore, diffuse l'ideologia del liberismo senza freni, e per jn altro "ventennio", con le sue televisioni, formò le nuove generazioni all'idea del  guadagno a tutti i costi, col rampantismo dell'effimero protagonismo. E certo incompleta l'analisi, e magari un poco spietata, e per l'Italia il prodotto arlecchino di tanti puzzle, ma come non riconoscere che è comunque la nostra madre? Nel bene e nel male non possiamo non amarla. Perciò: buon compleanno Italia!

Fra' Domenico Spatola

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