Trent'anni fa sull'autostrada Capaci direzione Palermo, ci fu l'inferno. Cento chili di tritolo, fatti sparare da Giovanni Brusca, appostato sulla collina dalla quale poteva controllare il passaggio delle macchine, fece saltare quel tratto su cui transitava in quel momento la macchina di Falcone e della moglie Morvillo e quella della scorta. Quelle morti, in tutto cinque, le ha voluto la Mafia, e la volontà indomita del suo capo sanguinario, Totò Riina. Così si dirà al Maxi-processo che verrà celebrato nell'aula bunker dell'Ucciardone a Palermo. Ma fu solo un gesto di criminali che volevano piegare lo Stato ai propri interessi, oppure parti deviate dello stesso, che per lotte e fibrillazioni intestine hanno voluto questo? Una risposta si è potuta dare, con i tanti ergastoli e gli anni ingenti di carcerazione agli imputati materiali degli eccidi. Rimangono però nell'opinione comune tanti gli interrogativi irrisolti. Lo stesso Borsellino, un mese dopo Capaci, parlò del "Giuda" che aveva tradito, ma non fece nomi. Il 19 luglio dello stesso anno toccherà a lui e alla sua scorta in via d'Amelio. A trent'anni i dubbi perciò rimangono. Ogni anno, il 23 maggio, la ricorrenza viene celebrata da tutta l'Italia in via Notarbartolo, dov'è la casa che fu di Falcone. È diventato religiosamente un totem l'albero che porta il suo nome all'ingresso del palazzo a simbolo del riscatto. Soverchiato da frasi che assicurano ricordi e promettono cambiamenti. Sembrano lontani quei giorni ad alta tensione, quando ogni strada prncipale di Palermo gridava il nome del suo morto illustre. Pappalardo cardinale arcivescovo di Palermo si sentì stanco d'essere chiamato "il vescovo degli uomini illustri ammazzati". Se ne lagnò pubblicamente, e la sua fu ribellione morale. Il "dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur" di Sallustio, con l'applucazione da lui fatta alla situazione di Palermo, lo rese famoso al mondo intero. Celebrava infatti nella chiesa di San Domenico, pantheon degli uomini illustri siciliani, il 4 settembre 1982, i funerali del generale Dalla Chiesa e della moglie Emanuele Setticarraro. Da lì iniziò il calvario del triste decennio che separerà le due stragi "Dalla Chiesa/Falcone" disseminato di altri uccisi più o meno illustri. Ci chiediamo se la mafia sia scomparsa, con la morte dei suoi capi storici, o si sia resa carsica, inabissandosi nei fondali della politica, quella del malaffare, si intende? La storia in futuro potrà dare risposte. In attesa, leccate le ferite per il bene non fatto, e per l'arretratezza in cui versa ancora la nostra Sicilia, celebriamo i trent'anni, a perpetua memoria, sperando che la Storia insegni e abbia finalmente discepoli.
Fra' Domenico Spatola
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