venerdì 6 maggio 2022

Commento di fra' Domenico Spatola al vangelo della quarta domenica di Pasqua: Giovanni 10, 27-30

 
27 Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28 Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. 29 Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. 30 Io e il Padre siamo una cosa sola».

Durante la festa della Dedicazione del Tempio di Gerusalemme, inaugurata da Giuda Maccabeo che volle riconsacrare il santuario nel 165 a.C. dopo la profanazione di Antico IV Epifane, Gesù, venne rabbiosamente accerchiato dalle autorità religiose e accusato di "togliere loro la vita" (sic!). Non sopportavano l'azione di liberazione del popolo, operata da Gesù che lo sottraeva dalle loro disumane leggi. Il Signore passò al contrattacco, con una denuncia: "Voi non credete perché non fate parte delle mie pecore". A quelle autorità religiose che millantavano la vicinanza con Dio, Gesù rimproverava di non potere far parte del suo gregge. Rivendicò le pecore sue, e se stesso il vero pastore. A differenza degli avversari, egli non sfrutta le pecore ma, per esse, è disposto a dare anche la vita. E le pecore lo riconoscono dalla voce. Accolgono le sue parole che rispondono ai bisogni di pienezza che ogni persona porta dentro. In questa opera, Gesù si dichiara motivato perché conosce le sue pecore, e queste lo seguono. Non lo fanno con i loro capi, la cui azione è di soffocare, anziché favorire la vita in loro. Questa vita è eterna, perchè quella che il Padre dà a lui. Nessuno può perciò strappare il gregge dalla sua mano, perché "io e il Padre siamo Uno". Sembrò una bestemmia agli oppositori,  non avendo compreso che il progetto  di Dio sulla umanità, era che ogni uomo diventi suo figlio e abbia la vita divina.

Fra' Domenico Spatola 

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