1 «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. 7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.
Due parabole di Gesù nel genere dell'allegoria. Ogni nome corrisponde simbolicamente a un personaggio reale. Il "Pastore" che si presenta alla porta del recinto, è Gesù che viene a rilevare il gregge, ossia il popolo di Dio di cui si erano abusivamente impossessati i capi dei Giudei: sacerdoti, scribi e farisei. Il "recinto" è l'atrio del tempio, dove "i falsi pastori" avevano rinchiuso, soggiogando, con una interpretazione disumana della Legge, il Popolo di Dio ("gregge"). Si erano infiltrati illegalmente (era questa l'accusa fatta da Gesù) per sabotare il progetto di Dio, quello cioè di dare vita al popolo. Gesù ha le carte in regola del "vero Pastore" e può legittimamente presentarsi alla porta del recinto. Custode è il Padre suo, che lo conosce e gli apre per consegnargli le pecore. Gesù chiama ciascuna per nome ed esse ne riconoscono la voce. Opposta a quella angosciante e malefica di chi le odia. Gesù, che teneramente parla loro d'amore, esse seguono ed egli, a fatica, le spinge fuori. Lotta infatti per strapparle dalle mani di coloro che le hanno rese prigioniere della loro ideologia e le soggiogano per convenienza. Qui evocato è il profeta Ezechiele (cap. 34), perché, sei secoli prima, aveva denunciato la stessa tragedia. Il Pastore "vero" cammina avanti e le pecore lo seguono. La "Porta" che figura nella seconda parabola, è l'immagine che Gesù applica a sé. Merita una nota di chiarimento. Le pecore, per essere sacrificate, dovevano passare attraverso la "porta probatica" del Tempio che conduceva dritta alla mattanza. Gesù, autodichiarandosi "Porta", ne vuol cambiare la finalità. Con lui infatti non si è introdotti a morire, ma ad uscire, come nuovo esodo perenne per la libertà. "Pascolo" in greco "nomé" diverso da "nomos" ossia la "legge", è il suo amore, gratuito e generoso. Con queste due parabole Gesù difese se stesso dall'accusa di "peccatore", dichiarando ai farisei che il vero peccato è il disinteressarsi del bene dell'uomo accecato dal loro bieco legalismo.
Fra' Domenico Spatola