Compirebbe 81 anni, Lucio Dalla. Ogni anno mi ritorna, a termentone, quel ritornello del suo primo ricordo. Narrata come favola la sua nascita. Col racconto che ti prende da fanciullo e te lo porti latente, ma lo senti vigile in cuore. Era la sua storia, ma poteva essere di tanti o di tutti. Cantata da menestrello birichino, o da visionario.
Tale respiro da sognatore regalava in libertà di canto da ininterrotta rapsodia che confermava passione: il mare. "Com'è profondo il mare!". Ne alludeva spazi infiniti di libertà all'anima sognante. Della sua Genova, il mare portava dentro. Pressoché in ogni canzone, costringendo a inseguire i suoi sogni, come pesci volteggianti gioiosi in acque limpide o tormentati nella sua fantasia.
Mai tuttavia dettò paranoia, ma solo lucidità a volte troppo arguta da essere incompresa. Musica e canto, sua passione con versificazione in fraseggi duttili in metriche note o avveneristiche e moderne da laboratorio incessante come la vita.
Preziosi gorgheggi e cinguettanti suoni che ad arte sortiscono balbettanti come incipienti linguaggi inediti fino a lui. Il clarinetto fu suo piffero magico da eterna favola, tra le le dita danzanti dello gnomo buono. Lo ripenso, in data resa memorabile, con nostalgia di sua canzona ancor non intonata, per questa età, nostra, di paura e di egoismo.
Ci manca infatti la sua arguzia, che aveva anticipato guardinga attenzione, in tempi non sospetti: "Attenti al lupo!", fu la ultima profezia, per noi!
di Domenico Spatola
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