Gesù provò ancora, con parabole, a rendere comprensibile il suo messaggio. Sapeva che la gente era stata educata a nutrire le attese di rivalsa su tutte le Nazioni. Il "Regno" annunciato da Gesù poteva apparire inaccettabile. Il genere della "parabola" era dunque arguzia che consentiva a Gesù di ricondurre, senza traumi gli interlocutori, al proprio punto di vista. La parabola dei "quattro terreni" aveva significato le diverse risposte del terreno. Ad essa Gesù fece seguire quella del seme che manifesta le sue potenzialità. Il contadino lo getta nel terreno e, senza ansia, ne rispetta i tempi della maturazione: "prima spunta lo stelo, poi la spiga nello stelo e infine il chicco pieno nella spiga". Il frutto maturo infine "si consegna", e "la falce" fa la sua parte della allegra "mietitura". Tale è la maturazione di chi "si offre" quando raggiunge il compimento della crescita. Così aveva fatto il Battista e altrettanto farà Gesù offrendo pienezza di dono. La maturazione individuale di ciascuno consente quella collettiva del Regno. Con "la parabola della senape", Gesù evidenzia gli effetti del seme e di coloro che lo accoglieranno. Scandalosamente minimalista poteva apparire l'umiltà del modello: il chicco di senape, era troppo piccolo per confrontarlo al Regno. Cresce nell'orto ma diventa, tra gli ortaggi, il più alto. L'immagine contrastava volutamente con quella del cedro del Libano usata da Ezechiele, più atto a descrivere di Israele il Regno davidico per gli alti monti su cui cresce e rami da dominare gli uccelli, dove sono adombrati i pagani, che vi nidificano, sottomessi, all'ombra. La senape adottata da Gesù a immagine del Regno, cresce nell'orto e non mostra attitudini al dominio. I pagani, come gli uccelli ghiotti dei suoi semi, potranno trovarvi nutrimento. Se tuttavia le parabole servivano per evitare traumi alla gente, ai discepoli il messaggio andava chiarito e, in privato, spiegata ogni cosa.
Fra' Domenico Spatola
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