ero già a metà sentiero,
per l'occasione stessa
che dolor ancor mi stressa.
Volevo portare un fiore
a ricordar l'amore
a chi l'aveva dato.
Ma ciò ch'è capitato
a me, che di rimpianto,
mesto facevo il canto.
Vidi una cosa strana,
nitida, seppur lontana:
ad accudir la tomba,
(sua voce ancor rimbomba)
zia Paolina,
a me tanto vicina.
La sapevo morta,
ma la vidi assorta,
ad abbeverar i fiori
Con gli occhi usciti fuori,
giunsi a suoi pressi:
"che voleva che facessi",
le chiesi con paura.
"Sei tu, la zia, o la controfigura?".
"Sono io", disse più vicina,
"la zia Paolina,
titolare dell'ostello,
che, faccio da me bello,
perché nessun ci pensa!".
Qui voce sua intensa
disse come stava.
A me si essiccava
la lingua in bocca.
"Prendi la brocca,
e dammi aiuto
così, prima che vado, ti saluto".
Obbedii atterrito,
ed essa come il rito
del ragno con la tela,
mi disse di salutar la parentela,
che di lei tutta si è scordata.
"Io no" e, con voce più agitata,
le dissi: "Zia,
tu sai che nella via,
che ultima prendesti,
per te gli affetti miei furon onesti".
"Lo so, e per questo ti ringrazio.
Ero sola e questo spazio
ove ora sto
è tutto ciò che ho".
Mi prese un gran magone
per quella discussione
e le promise allora
di tornare ancora.
Pensavo al mio riscatto,
quando qual matto
saltai dal letto:
dal suono della sveglia ormai costretto.
Compresi allora che sognavo,
ma nuovo sentimento io provavo:
tutto per me avea più senso
e la zia mi chiedea sol consenso.
Fra' Domenico Spatola
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