Non c’è due senza tre, recita l’antico adagio. E così, dopo In libertà d’amore (2016) e Palermo dono di perle in versi (2017) l’eclettico frate cappuccino Domenico Spatola, assai noto anche per sua la sua “Missione san Francesco” per i poveri, ci regala questa terza raccolta poetica, Vangelo di Marco in versi (2017), a sigillo di una trilogia che svela la ricchezza della sua anima, condividendo quel “tesoro” da cui egli continua ad attingere, evangelicamente, “cose nuove e cose antiche” (Mt 13, 52).
L’impresa nella quale fra Domenico si è cimentato è, questa volta, davvero ardua. Infatti egli ha trasposto in rima baciata tutto il Vangelo di Marco che, in questo anno liturgico, la Chiesa legge e medita nelle assemblee domenicali, affiancando alla fedeltà narrativa del testo, con rara maestria e gusto, la magia della recitazione derivante dalla scansione poetica.
Nelle pagine introduttive (7-20) fra Domenico ci regala un excursus, breve ma assai documentato, sia su Marco e il suo Vangelo come pure degli interessanti Cenni di erudizione tematica, relativi al testo evangelico che dimostrano nel frate cappuccino, prima ancora che il poeta, lo studioso e frequentatore delle Scritture Sacre e il teologo che dell’ecclesiologia ha fatto terreno fertile d’incontro con i fratelli in cammino, in ansia di annuncio.
In ultima di copertina, fra Domenico ha voluto essere ermeneuta di se stesso e della sua ultima fatica letteraria: “Lo scritto, che nell’antichità offriva ai primi evangelizzatori la trama su cui tessere la Buona Novella, ha interessato la mia rilettura in versi. La tendenza al ritmo, sperimentata in gioiosa cadenza musicale che accresce magia alla parola in versi e con rime, ha consentito inediti portali e insospettate intuizioni”.
E come dargli torto? Infatti l’ordito su cui fra Domenico tesse la sua ritmata narrazione evangelica, in questo gustoso volumetto, assembla in mosaico ideale proprio quella “elegante sequenza di quadretti o finestre per la luce del messaggio che, anche con simboli, traduce ansia di bellezza nella fedeltà al testo in ermeneutica da diletto e passione”, come l’Autore sottolinea.
Il Vangelo di Marco, proprio per la sua essenzialità, si offre infatti all’annunzio, alla catechesi e alla lectio divina con il suo linguaggio immediato, frizzante, spontaneo, nella sostanza soprattutto piuttosto che nello stile, tutt’altro che “versione abbreviata” di quello di Matteo come aveva ipotizzato, niente poco di meno che il grande sant’Agostino!
E così fra Domenico ripropone il kérigma di Marco in rime baciate, nulla tralasciando della rivelazione che il verbo evangelico vuole trasmettere e rispettando le due principali tappe del percorso di lettura: la prima ambientata in Galilea, aperta dalla Predicazione del Battista, si conclude con La professione di Pietro (pp. 23-84) e la seconda che si svolge a Gerusalemme e porta all’affermazione di Gesù come “Figlio di Dio” (pp. 85-163).
Rinviando alla lettura meditata del Vangelo di Marco in versi, in una sorta di ruminatio monastica che può essere, nel tempo dei messaggi abbreviati, cui ci stanno asservendo sempre più i social network in questa “società liquida” (Bauman), utile esercizio mnemonico per piccoli e adulti nel tentativo di rafforzare una delle qualità in via d’estinzione nel nostro orizzonte cognitivo: la memoria, appunto. Il proclama di Gesù in Galilea: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1, 15) è così declamato da fra Domenico: “La Galilea fu terra ove andare, / prescelta da Gesù a evangelizzare: / nelle case, nelle vie e nei mercati, / ovunque chiedeva ascolto e alleati / per l’impegno di salvare il mondo / e cambiare fino in fondo / il cuore a ognuno, e in ciascuno liberare / capacità solo d’amare” (p. 28).
La professione di fede di Pietro (Mc 8, 29) è resa da fra Domenico con un simpatico, animato quadretto: «Essi risposero che altrui, /a prima vista, / pareva ‘il Battista’ / altri sul ‘chi sia?’ / rispondevano ‘Elia’, / per i più quieti / era ‘uno dei profeti’. / Insoddisfatto per tali risposte, / chiese quali le attese in essi riposte. / Pietro tra loro / rispose dal coro: / ‘Tu sei il Cristo!’» (p. 83).
Il racconto delle apparizioni di Gesù Risorto (Mc 16, 12-18) offre al nostro Poeta l’occasione per restituirci sensazioni e sentimenti, tra delusione e speranza, di personaggi diversi: la Maddalena (e con lei il Risorto a colloquiare stette), i viandanti di Emmaus (sfiduciati a oltranza: andavano in campagna / e, per la via, ognuno si lagna / della di lui morte) gli Undici discepoli, riuniti a mensa che (furon diffidati / per incredulità pervicace / anche dinanzi all’ovvietà verace” (p. 161).
Abbiamo voluto offrire, con l’evidente imbarazzo della scelta, qualche piccolo saggio di lettura dell’amorosa trascrizione in rima baciata del Vangelo di Marco, scaturita dall’ispirazione vulcanica di fra Domenico che sembra superare, con la sua cascata di versi, la difficoltà espressa da Montale in “Non chiederci la parola” in cui il poeta può offrire all’uomo in ricerca “qualche storta sillaba e secca come un ramo”.
Concludendo, possiamo dire che sì, è vero, la letteratura sul Vangelo di Marco è oggi assai fitta ma vogliamo associarci, volentieri e con grande gioia, all’auspicio espresso dallo stesso fra Domenico che riprende l’espressione di Terenziano Mauro (III secolo d.C.), attribuita abitualmente ad Orazio, a proposito dei libri: “pro captu lectoris habent sua fata libelli”. Tradotta liberamente, la frase ci ricorda che il destino dei libri, anche questo originale Vangelo di Marco in versi di fra Domenico, che si rivela, a modo suo, utile sussidio e strumento di apprendimento biblico, è legato alla capacità dei lettori di apprezzarne il contenuto e di recepirne il messaggio, grazie anche alla musicalità dei versi che ne rende scorrevole e piacevole, manco a dirlo, la lettura.
L’impresa nella quale fra Domenico si è cimentato è, questa volta, davvero ardua. Infatti egli ha trasposto in rima baciata tutto il Vangelo di Marco che, in questo anno liturgico, la Chiesa legge e medita nelle assemblee domenicali, affiancando alla fedeltà narrativa del testo, con rara maestria e gusto, la magia della recitazione derivante dalla scansione poetica.
Nelle pagine introduttive (7-20) fra Domenico ci regala un excursus, breve ma assai documentato, sia su Marco e il suo Vangelo come pure degli interessanti Cenni di erudizione tematica, relativi al testo evangelico che dimostrano nel frate cappuccino, prima ancora che il poeta, lo studioso e frequentatore delle Scritture Sacre e il teologo che dell’ecclesiologia ha fatto terreno fertile d’incontro con i fratelli in cammino, in ansia di annuncio.
In ultima di copertina, fra Domenico ha voluto essere ermeneuta di se stesso e della sua ultima fatica letteraria: “Lo scritto, che nell’antichità offriva ai primi evangelizzatori la trama su cui tessere la Buona Novella, ha interessato la mia rilettura in versi. La tendenza al ritmo, sperimentata in gioiosa cadenza musicale che accresce magia alla parola in versi e con rime, ha consentito inediti portali e insospettate intuizioni”.
E come dargli torto? Infatti l’ordito su cui fra Domenico tesse la sua ritmata narrazione evangelica, in questo gustoso volumetto, assembla in mosaico ideale proprio quella “elegante sequenza di quadretti o finestre per la luce del messaggio che, anche con simboli, traduce ansia di bellezza nella fedeltà al testo in ermeneutica da diletto e passione”, come l’Autore sottolinea.
Il Vangelo di Marco, proprio per la sua essenzialità, si offre infatti all’annunzio, alla catechesi e alla lectio divina con il suo linguaggio immediato, frizzante, spontaneo, nella sostanza soprattutto piuttosto che nello stile, tutt’altro che “versione abbreviata” di quello di Matteo come aveva ipotizzato, niente poco di meno che il grande sant’Agostino!
E così fra Domenico ripropone il kérigma di Marco in rime baciate, nulla tralasciando della rivelazione che il verbo evangelico vuole trasmettere e rispettando le due principali tappe del percorso di lettura: la prima ambientata in Galilea, aperta dalla Predicazione del Battista, si conclude con La professione di Pietro (pp. 23-84) e la seconda che si svolge a Gerusalemme e porta all’affermazione di Gesù come “Figlio di Dio” (pp. 85-163).
Rinviando alla lettura meditata del Vangelo di Marco in versi, in una sorta di ruminatio monastica che può essere, nel tempo dei messaggi abbreviati, cui ci stanno asservendo sempre più i social network in questa “società liquida” (Bauman), utile esercizio mnemonico per piccoli e adulti nel tentativo di rafforzare una delle qualità in via d’estinzione nel nostro orizzonte cognitivo: la memoria, appunto. Il proclama di Gesù in Galilea: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1, 15) è così declamato da fra Domenico: “La Galilea fu terra ove andare, / prescelta da Gesù a evangelizzare: / nelle case, nelle vie e nei mercati, / ovunque chiedeva ascolto e alleati / per l’impegno di salvare il mondo / e cambiare fino in fondo / il cuore a ognuno, e in ciascuno liberare / capacità solo d’amare” (p. 28).
La professione di fede di Pietro (Mc 8, 29) è resa da fra Domenico con un simpatico, animato quadretto: «Essi risposero che altrui, /a prima vista, / pareva ‘il Battista’ / altri sul ‘chi sia?’ / rispondevano ‘Elia’, / per i più quieti / era ‘uno dei profeti’. / Insoddisfatto per tali risposte, / chiese quali le attese in essi riposte. / Pietro tra loro / rispose dal coro: / ‘Tu sei il Cristo!’» (p. 83).
Il racconto delle apparizioni di Gesù Risorto (Mc 16, 12-18) offre al nostro Poeta l’occasione per restituirci sensazioni e sentimenti, tra delusione e speranza, di personaggi diversi: la Maddalena (e con lei il Risorto a colloquiare stette), i viandanti di Emmaus (sfiduciati a oltranza: andavano in campagna / e, per la via, ognuno si lagna / della di lui morte) gli Undici discepoli, riuniti a mensa che (furon diffidati / per incredulità pervicace / anche dinanzi all’ovvietà verace” (p. 161).
Abbiamo voluto offrire, con l’evidente imbarazzo della scelta, qualche piccolo saggio di lettura dell’amorosa trascrizione in rima baciata del Vangelo di Marco, scaturita dall’ispirazione vulcanica di fra Domenico che sembra superare, con la sua cascata di versi, la difficoltà espressa da Montale in “Non chiederci la parola” in cui il poeta può offrire all’uomo in ricerca “qualche storta sillaba e secca come un ramo”.
Concludendo, possiamo dire che sì, è vero, la letteratura sul Vangelo di Marco è oggi assai fitta ma vogliamo associarci, volentieri e con grande gioia, all’auspicio espresso dallo stesso fra Domenico che riprende l’espressione di Terenziano Mauro (III secolo d.C.), attribuita abitualmente ad Orazio, a proposito dei libri: “pro captu lectoris habent sua fata libelli”. Tradotta liberamente, la frase ci ricorda che il destino dei libri, anche questo originale Vangelo di Marco in versi di fra Domenico, che si rivela, a modo suo, utile sussidio e strumento di apprendimento biblico, è legato alla capacità dei lettori di apprezzarne il contenuto e di recepirne il messaggio, grazie anche alla musicalità dei versi che ne rende scorrevole e piacevole, manco a dirlo, la lettura.
Fra' Giovanni Spagnolo
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