Ricordo quel 23 maggio 1992, tranquillo e assolato. Un sabato pomeriggio che pareva normale. Per una commissione mi trovavo al vivaio Vitale di viale Regione Siciliana. Nell’attesa, accesi la radio e la notizia che davano era tremendamente inquietante. Da due ore in autostrada dall’aeroporto di Cinisi per Palermo allo svincolo di Capaci era successo il finimondo. Lo speaker parlava concitato e a mozzichi dava notizie drammatiche altalenanti: “Lui – diceva – però è rimasto vivo, la moglie pare di no... La scorta saltata in aria... Presumibilmente il detonatore che ha fatto saltare in aria il troncone di autostrada pare che sia tritolo... Difficili i soccorsi, perché l’autostrada non c’è più!”. Notizie a singhiozzo, facevano a caldo intuire la tragedia. Pregai. Piansi di rabbia per questa ennesima strage che umiliava ancora una volta gli onesti Siciliani. La vittima illustre, quel “lui” era infatti Giovanni Falcone. L’avevo incontrato il 6 gennaio 1990, al Palazzo dei Normanni per commemorare il decennale della uccisione dell’altro grande, il presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella. All’uscita, sgomitai per raggiungerlo bypassando i cordoli della scorta. Fu gentilissimo e mi sussurrò: “Padre, preghi per me...”. Lessi le sue paure e mene ricordai quel pomeriggio nel quale, come scrisse qualcuno: “moriva la speranza dei Palermitani”. Di Falcone si è scritto tantissimo. E oppositori ne incontrò anche tra coloro che avrebbero dovuto con lui e come lui combattere per lo stesso ideale. Ogni volta che percorro quel tratto di strada, ora corredato da due cippi per la memoria, mi sovviene dalla Storia greca quel che al passante veniva affidato: “annuncia agli Spartani che, alle Termopili, qualcuno ha sacrificato la vita per la loro libertà”. Tutti eroi sacrificati. Severo il monito per i rimasti. Essi immaginavano i rischi costanti per difenderci dal “mostro dai mille tentacoli e dalla memoria di elefante che non dimentica” (Falcone). Qualcuno ai funerali implorò la conversione dei criminali: “mettetevi in ginocchio, per il perdono”. Continuò desolata: “ ma questi non cambiano mai!”. Aveva ragione, a meno di due mesi il 19 luglio in via d’Amelio, a Palermo, replicheranno con Borsellino e altra Scorta. Quando percorro di sera il tratto di strada guardo sempre la lucetta sul poggio che sovrasta la strada, accesa a dire al passante il dolore di chi provò a salvare la nostra libertà. Da quel posto infatti si attivò la regìa che aveva scatenato l’inferno. Mi s’incupisce il ricordo e qualche inavvertita lacrima scorre anche sul viso.
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